7 dicembre 1984
Palermo (PA)

Pietro Busetta

La vendetta di Cosa nostra non si fa attendere se qualcuno osa infrangere la regola del silenzio. La punizione è una sola: la morte. Una vendetta trasversale, senza regole, l'unica cosa che conta è sterminare chiunque sia in qualche modo legato a chi ha tradito la "famiglia".

Pietro Busetta era un uomo intraprendente, dal nulla aveva trasformato la sua passione per l'artigianato siciliano in un'impresa che realizzava ceramiche vendute in tutto il mondo.
L'impresa della famiglia Busetta fu tra le prime a esportare le proprie opere in Corea, in America latina e negli Stati Uniti. E ogni anno esponeva i suoi prodotti alla Fiera di Milano. Credeva profondamente nel suo lavoro, era intransigente e vi si dedicava anima e corpo. Era un uomo allegro, solare, dai tratti nordici, i cui occhi azzurri catturavano sempre l'attenzione di chi parlava con lui. Riusciva sempre a far apparire un sorriso, anche sul viso più triste.
Il suo laboratorio di ceramiche si trova a Bagheria, non lontano dal mare e Pietro si divideva tra la fabbrica e il negozio di articoli da regalo che gestiva con la moglie.
Aveva conosciuto Serafina e se ne era innamorato. Si erano sposati e avevano creato una bellissima famiglia. Cinque figli, dopo quattro bambine era arrivato anche il maschietto, Giovanni, che crescendo avrebbe affiancato il padre negli affari e nella gestione della fabbrica. Pietro aveva un rapporto speciale con il suo unico figlio maschio, quasi fraterno.
L'unica volta in cui prese l'aereo nella sua vita fu per andare a trovare suo figlio in Sardegna, dove stava svolgendo il servizio di leva. Aveva paura di volare e di viaggiare per mare, si spostava solo in auto o in treno. Ma per poter riabbracciare suo figlio, aveva trovato la forza di affrontare un viaggio in aereo.

Un onesto lavoratore che niente aveva a che fare con la mafia. Sennonché sua moglie era la sorella di Tommaso Buscetta, conosciuto come il “boss dei due mondi” e che all’inizio degli anni Ottanta aveva iniziato a collaborare con il pool antimafia di Palermo. Ma Serafina con suo fratello non aveva più rapporti da anni. Da quando Buscetta aveva iniziato la sua collaborazione con la giustizia Serafina e suo marito avevano iniziato ad avere paura. Una paura di quelle che ti attanagliano, che ti cambiano la vita a tal punto che anche il suono del campanello può bloccarti se non aspetti visite. Una paura che cresceva man mano che la vendetta di Cosa nostra nei confronti della famiglia di don Masino si stava trasformando in una mattanza verso tutti i familiari del boss. Anche verso coloro i quali con lui non avevano nessun rapporto, come Serafina e Pietro. Uscivano la mattina presto per andare in fabbrica e tornavano a casa. La loro vita si era ristretta a pochi e indispensabili spostamenti.

Era arrivato un allarme da Roma sul pericolo per i parenti di Tommaso Buscetta, la cui collaborazione con la giustizia aveva svelato ai magistrati del pool antimafia i segreti di Cosa nostra e che aveva portato alla famosa "retata di San Michele" del 29 settembre del 1984, con l'arresto di centinaia di uomini legate alle cosche e aveva costituito l'impianto probatorio del Maxiprocesso. Le dichiarazioni di Buscetta avevano dato l'avvio a quel fenomeno noto in Italia come pentitismo.
La reazione di Cosa nostra non si era lasciata attendere. I due figli, un genero, il fratello e il nipote di don Masino erano stati uccisi. Un tentativo per spaventare il collaboratore e fermare così la sua collaborazione con il magistrato Giovanni Falcone.

Il 7 dicembre del 1984

Quella sera Pietro stava rincasando a bordo della sua 500 dopo aver chiuso il negozio, in auto dietro di lui la figlia Giuseppina e sua moglie. Erano in via Roccaforte, vicino lo stadio comunale di Bagheria, e un killer solitario lo colpì a morte. Il killer era a bordo della sua vespa e non appena Pietro aveva aperto lo sportello, aveva fatto fuoco con una calibro 38, la stessa arma che nei giorni precedenti aveva sparato contro altri collaboratori di giustizia. Il killer solitario riuscì a fuggire tra le stradine laterali senza che nessuno riuscisse a fermarlo. Le uniche testimoni dell'agguato furono sua figlia e sua moglie, punita per il suo cognome. La mafia aveva lanciato l’ennesimo messaggio a Tommaso Buscetta, affinché non parlasse più con i magistrati.

I familiari di Buscetta erano stati inseriti in un elenco del Ministero dell'Interno di familiari di collaboratori da vigilare "saltuariamente". Proprio 10 minuti prima dell'agguato a Pietro, la volante della polizia era passata sotto la casa della famiglia Busetta. Vivevano tutti nello stesso palazzo, anche quattro dei figli di Pietro e Serafina, già sposati.

Pietro Busetta fu ucciso per questo. Perché nonostante non avesse alcun legame con il cognato, boss dei due mondi, era comunque legato a lui. Aveva 62 anni.

Occorre dare una risposta entro pochi giorni: è proprio sulla questione tempo che si manifesta la volontà politica di affrontare o meno il fenomeno delle vendette trasversali.
Paolo Borsellino - all'indomani dell'omicidio di Busetta

La famiglia di Pietro per più di 10 anni ha dovuto vivere sotto scorta. L'azienda di famiglia è stata messa in forte crisi, nessun operaio voleva più lavorarci, avevano paura. Così come quasi più nessuno faceva ordini. E’ stata la tenacia della famiglia Busetta a tenere in piedi la fabbrica, tutt’ora in attività a Bagheria.

Video testimonianza di Giovanni Busetta, figlio di Pietro Busetta

Memoria viva

Questo ennesimo omicidio nei confronti un familiare di un collaboratore, diede la spinta decisiva affinché la legislazione italiana si adeguasse e prevedesse forme di tutela non solo verso coloro che decidevano di intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia, ma anche verso i loro familiari.

A Bagheria, in piazza Vittime della mafia, ci sono una targa e un ulivo in memoria di Pietro Busetta.

Io mio padre me lo sento sempre accanto. I miei figli sono cresciuti nel mito e nel ricordo, di questo nonno che non hanno conosciuto, ma era sempre lì con noi. Il "nonnino" come lo chiamano tutt'ora non li ha mai abbandonati, per loro è stato ed è una certezza. La mia più grande rivincita è quella di non averlo fatto morire una seconda volta, mollando tutto quello a cui aveva creduto e realizzato nel suo lavoro. Perché lui vive ancora tra i suoi disegni, nella sua fabbrica di decorazioni di porcellane.
Giovanni - figlio di Pietro