6 dicembre 2004
Napoli (NA)

Dario Scherillo

Dario, non era mai stato al posto sbagliato al momento sbagliato, né prima di quella maledetta sera né quella maledetta sera. Perché lui, con la guerra che lo ha ucciso, non c'entrava niente. E non c'è il minimo dubbio che chi era al posto sbagliato e al momento sbagliato non era lui, ma semmai i vigliacchi che gli ha sparato alle spalle.

Ci sono storie che, più di altre, possono aiutare a riflettere su quanto possa risultare odioso, oltre che profondamente sbagliato, il ricorso agli stereotipi narrativi tipici sulle vittime innocenti delle mafie. Il più diffuso, che molti utilizzano in buona fede ma denunciando inconsapevolmente di essere ostaggi della camorra, è che si può morire perché ci si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ora, a rileggere la storia di Dario, davvero ci si può rendere conto di questo cortocircuito narrativo. Perché lui, Dario, non era mai stato al posto sbagliato al momento sbagliato, né prima di quella maledetta sera né quella maledetta sera. Perché lui, con la guerra che lo ha ucciso, non c’entrava niente. E non c’è il minimo dubbio che chi era al posto sbagliato e al momento sbagliato  non era lui, ma semmai i vigliacchi che gli ha sparato alle spalle.

Dario Scherillo era nato a Casavatore, un presone di più di 18 mila abitanti dell’area metropolitana di Napoli, a due passi da Secondigliano. Secondo alcuni dati, è il primo comune italiano per densità abitativa e per suolo consumato. Era un ragazzo perbene, onesto, solare. A 26 anni aveva sul volto il sorriso luminoso di chi ha tutta la vita davanti, di chi ogni giorno si dà da fare per costruire coraggiosamente e con determinazione il proprio futuro. Una famiglia normalissima la sua, con un papà funzionario della Motorizzazione civile, una mamma amorevole, due fratelli affettuosi e uniti. Sogni, speranze, desideri frantumati sul muro della violenza e della cultura di morte della camorra. Aveva una fidanzata Dario, con cui condivideva la sua esistenza da ben otto anni. E chissà quante volte aveva immaginato la sua di famiglia, il suo matrimonio, i suoi bambini. Sognava Dario, come tutti i ragazzi della sua età. Sognava di diventare un servitore dello Stato, di indossare una divisa. E non si era arreso neanche quando le conseguenze alla colonna vertebrale di un brutto incidente lo avevamo costretto a rinunciare a quel sogno. Lui non si era lasciato abbattere. Con i suoi fratelli, Pasquale e Marco, aveva deciso di provare un’altra strada, quella di una Scuola guida. Ed era stata una scelta vincente. Lavorava lì Dario e lo faceva onestamente. Lui con la guerra che lo ha ucciso non aveva nulla a che vedere. Quella guerra però si è abbattuta su di lui, squarciando per sempre la serenità della famiglia Scherillo. 

Il 6 dicembre del 2004

Quel maledetto lunedì 6 dicembre del 2004 Dario si trovava, come sempre, nella sua Scuola guida. Pasquale quel giorno era impegnato con degli esami e dunque la sua presenza era ancora più necessaria. Poi, intorno alle 20, ormai a giornata finita, era uscito dagli uffici per mettersi alla ricerca di un ragazzo che l’indomani avrebbe dovuto svolgere il suo esame. Si era diretto su via Segrè, per raggiungere un bar particolarmente frequentato dai giovani del posto. Il ragazzo che cercava non c’era. C’era invece un suo vecchio amico, con il quale Dario si era fermato per scambiare due chiacchiere. Tutto terribilmente normale. Il posto giusto e il momento giusto, appunto. 

Se non fosse che, davanti a quel bar, evidentemente fino a pochi minuti prima, c’era stato anche qualcun altro. Qualcuno che dovevano star cercando le due persone arrivate poco dopo Dario a bordo di una moto e con il volto completamente coperto da un casco. Quando videro lo scooter di Dario - una Honda SH - i due non ebbero il minimo tentennamento. Presero la mira e spararono, a freddo. Lo colpirono alle spalle Dario quei vigliacchi. Lui non ebbe il tempo di accorgersi di cosa stava accadendo. Morì nel giro di pochi minuti. La sua Honda era del tutto simile a quello della persona che i due killer avrebbero dovuto ammazzare. 

Vicenda giudiziaria

I familiari di Dario appresero la notizia dai due carabinieri che, di lì a poco, si recarono a casa del giovane per la perquisizione di rito. Una voragine di dolore per una morte a cui era ed è tuttora impossibile trovare una spiegazione, un senso, un perché. Gli inquirenti setacciarono la vita della famiglia Scherillo alla ricerca di elementi che potessero in qualche modo spiegare le ragioni di quel delitto. Ma era impossibile, semplicemente perché quel delitto non aveva ragioni. E perché Dario non c’entrava nulla con quella maledetta faida di Secondigliano. Una guerra quotidiana, scoppiata in seno al clan Di Lauro, fatta di morti ammazzati a ogni ora del giorno e della notte. Omicidi, torture, vendette trasversali. Da una parte gli eredi di Paolo Di Lauro, boss indiscusso di Secondigliano; dall’altro gli scissionisti, ex alleati dei Di Lauro, divenuti poi loro acerrimi nemici. La posta in gioco era il controllo degli affari criminali sul territorio, legati in particolare al traffico di droga. 

L’innocenza di Dario fu gridata dai suoi familiari fin da subito. In poco tempo, fu chiaro a tutti che quel ragazzo era innocente, che quel grido della sua famiglia era un grido di verità. Una verità che però mamma Enza non ha potuto mai conoscere fino in fondo. Perché chi ha deciso e voluto quell’agguato, così come chi lo ha messo in atto, non ha un nome, non ha un volto. La morte di Dario Scherillo, l’ennesima vittima innocente della camorra, non ha avuto né verità né giustizia. Il procedimento penale è partito subito dopo l’omicidio per andare incontro a una prima archiviazione, già nel 2006. Poi le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia - Carmine Cerrato, Biagio Esposito e Pasquale Riccio, tutti e tre uomini di spicco del clan Amato Pagano - sembrano riaprire una breccia. Nel fascicolo degli indagati finiscono Raffaele Amato e Cesare Pagano, indicati come mandanti, e Davide Francescone, Paolo Guarracino e Giorgio Scarpato, ritenuti gli esecutori materiali. Il quadro probatorio però sembra profondamente incerto, come incerte e discordanti sono le dichiarazioni dei pentiti. Ricostruzioni spesso contrastanti, che però concordano su un punto: è stato un errore, uno scambio di persona. Nell’ottobre 2018 viene depositata una nuova richiesta di archiviazione, accolta nell’aprile del 2019: gli elementi su cui si basa il procedimento non sono sufficienti. La famiglia si indigna, presenta opposizione. Ma sino a oggi invano. E poco confortano le parole dei giudici sull’innocenza di Dario: “il dato certo è che la vittima era persona estranea al contesto criminale in cui era maturato il mandato omicidiario”. Che Dario fosse innocente loro lo sapevano già. 

Memoria viva

Grazie all’impegno della famiglia Scherillo, la memoria di Dario è diventato strumento vitale di costruzione di percorsi di educazione, riscatto, cambiamento. Una memoria viva testimoniata dalle decine di iniziative nate in ricordo di questo giovane uomo. Nel gennaio 2007 gli è stata intitolata la sala consiliare della sua città. Ad Aversa, nel 2018, è nato nel suo nome - e in quello di Attilio Romanò - un Presidio di Libera. La storia di Dario è raccontata in diversi libri, tra i quali “Al di là della notte” di Raffaele Sardo, promosso dalla Fondazione Polis, e “Ed è subito sera” di Tonino Scala, diventato poi, nel 2019, un film per la regia di Claudio Insegno.
In sua memoria anche un premio giornalistico-letterario, borse di studio e numerose attività sportive, tutte coordinate dall’Associazione "Dario Scherillo - La solidarietà è vita”, nata nel 2007 per volontà dei suoi familiari. 

Salvatore Pettirossi, cugino di Dario ha interpretato questa emozionante canzone "Dario c'è (e anche gli altri)" scritta da Flora Contento su musiche di Gianfranco Caliendo. Prodotto da Officine della Musica e arrangiato da Gianfranco Caliendo in collaborazione con Antonio Gillo.  Regia Lucio Cremonese per conto dell'Associazione P.O.L.I.S.

Ogni 6 dicembre ritornano il dolore, i ricordi. E sembra che il tempo si sia fermato.
Sembra che la mia vita, e quella dei miei cari, siano come cristallizzate e imprigionate in quel giorno. In tutti questi anni l'impegno è stato continuo e costante. Abbiamo percorso tanti chilometri durante le marce del 21 marzo (…) Abbiamo portato in giro la nostra storia, abbiamo incontrato tanti ragazzi, ogni volta rinnovando il dolore e aprendo ferite che all'apparenza sembravano chiuse. Ma proprio i progetti realizzati con le scuole hanno dato un senso a tutto ciò. Solo attraverso la memoria e l'impegno si può sconfiggere qualsiasi forma di violenza.
Pasquale - fratello di Dario