Domenica De Girolamo nasce a Saline di Montebello Jonico, piccolo paesino della provincia di Reggio Calabria, il 23 maggio del 1920.
Si impegna, si forma, è curiosa e altruista e all’età di 27 anni viene assunta, come impiegata, dalle “Poste e Telecomunicazioni” e assegnata alla sede di Platì. Lì non solo inizia la sua carriera, ma conosce Francesco, un giovane originario del luogo, impegnato in politica, colto, pacato, gentile e intelligente.
I due ragazzi si innamorano sin da subito e, dopo il fidanzamento, si sposano nel paese di Domenica, nel gennaio del 1951. La giovane coppia, innamorata a felice si stabilisce a Platì. Sono diversi caratterialmente, ma alla base del loro rapporto c’è un amore profondo e un grande rispetto, che fa di loro una coppia molto affiatata e unita.
La loro vita scorre serena e presto, si aggiungeranno tre grandi gioie: la nascita delle loro bambine, Maria, Francesca e Michelina, da tutti chiamata Lilla.
Domenica è da sempre convinta che la realizzazione personale e l’indipendenza economica siano un aspetto molto importante nella vita di una donna, al pari di sposarsi e avere dei figli. Crede che se la donna ha la possibilità di lavorare, questo può contribuire al benessere della famiglia e all’armonia della stessa. Suo marito Francesco la appoggia senza indugio e così Domenica si divide tra la famiglia e il lavoro, riuscendo sempre a non far mancare mai affetto e presenza, nonostante i tanti impegni di lavoro.
Fra i tanti insegnamenti uno dei più grandi è stato quello di aiutare il prossimo. L’aiuto, sosteneva nostra madre, doveva essere offerto con delicatezza per non ferire la sensibilità altrui, doveva avere il sapore di una carezza.
È una mamma dolce, amorevole, attenta, sempre pronta ad ascoltare e dare consigli, molto precisa e scrupolosa sul lavoro. Presta servizio a Platì fino a quando, grazie a un concorso interno, viene promossa direttrice. Viene trasferita a Bivongi, Careri e dopo circa un anno rientra nell’ufficio di Platì, dove intanto si era liberata la sede di direttore. A Platì ha continuato a svolgere il suo lavoro con rigore, professionalità e competenza tanto da essere insignita dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana. Con il tempo si guadagna la stima e la fiducia non solo dei collaboratori e superiori, ma dell’intera comunità.
Gli anni scorrono serenamente. In paese sono una famiglia nota per la loro serietà, contegno e riservatezza. Nella loro vita privata e familiare sono molto allegri, gioiosi e nella loro casa regna un grande armonia. Sono entrambi molto dediti e attenti alla crescita delle loro figlie e, nonostante gli impegni lavorativi, cercano di ritagliarsi quanto più tempo possibile da trascorrere con loro. Accompagnano con cura la crescita delle loro bambine, trasmettendo i loro valori. Insegnamenti che hanno consentito alle figlie di affrontare la vita dopo la loro tragica morte.
Nel 1978 Francesco abbandona la vita politica e si ritira nella sua tabaccheria dedicandosi a quell’attività con passione e attenzione all’altro. Nel 1985 anche Domenica va in pensione e da quel momento lo aiuta con la tabaccheria. Nel frattempo due delle loro figlie, dopo aver terminato i loro percorsi di studi, sono andate a vivere fuori: Maria, la più grande, si è trasferita a Benevento, mentre Francesca si è sposata e vive a Rogliano, con suo marito e le loro figlie. Solo Michelina vive ancora con i genitori, è iscritta all’Università di Messina e sta ultimando il suo percorso di studi.
L’11 febbraio del 1986
Molto rigide quelle giornate di febbraio, fa freddo e la sera dell’11, i due coniugi sono come sempre nella loro rivendita di tabacchi. All’improvviso sono sorpresi da individui che li aggrediscono e feriscono con corpi contundenti, fino a ucciderli.
A trovare i loro corpi sarà Michelina che, introno alle 18.30, non vedendo salire a casa la sua mamma, come invece era solita fare, si preoccupa e scende in tabaccheria. Lì farà la terribile scoperta: per il suo adorato papà non c’è più nulla da fare, ma la sua cara mamma è ancora viva. Così seppur sotto shock, urla, chiede aiuto. E’ un passante il primo a rispondere alle sue richieste di aiuto e insieme riescono a trasportare Domenica in auto, per portarla nel più vicino ospedale, quello di Locri. Ma quella corsa disperata non servirà. Domenica morirà poco dopo, a causa delle gravi lesioni riportate.
Le sue figlie sono sconvolte da un dolore così grande, improvviso e inspiegabile.
“Mi sono trovato di fronte a una scena raccapricciante, un fatto selvaggio e orribile, mai visto.” – commenta il giudice Macrì, recatosi sul luogo subito dopo il delitto.
Il giorno del loro funerale a Platì verrà proclamato il lutto cittadino.
L’omicidio ha fatto piombare tutta la comunità in uno stato di angoscia, paura e insicurezza mettendo in allarme le stesse Istituzioni, in quanto nessuno si è sentito più sicuro.
A distanza di un mese il 6 marzo del 1986, il reparto Tuscania ha messo in atto una maxi-operazione che ha bloccato il paese per oltre 24 ore, ogni casa è stata perquisita. Lo Stato ha così risposto alla recrudescenza criminale, ha voluto far «sentire» la sua presenza in un paese in cui si respira un clima di tensione e di paura.
Vicenda giudiziaria
Le indagini sono difficili da portare avanti. Platì è un piccolo comune dove la presenza delle cosche è fra le più alte nella zona jonica - reggina e la violenza giovanile confluisce spesso nella mafia. L’omicidio di Francesco e Domenica, eseguito con così tanta ferocia, è di difficile lettura.
Solo grazie al referto autoptico si riuscirà ad accertare che i coniugi Prestia sono stati uccisi con un corpo contundente. Ma per il resto nulla sarà mai chiarito, né saranno trovati i responsabili del duplice omicidio.
Infatti, in un primo momento si scava nella pregressa attività di amministratore pubblico di Francesco, ma le indagini non porteranno a nulla Così si fa largo l’ipotesi di un tentativo di rapina finito male. Dopo circa due mesi dalla loro morte, vengono arrestati due ragazzi, Rocco Marando e Antonio Barbaro. Accusati di aver ucciso i coniugi Prestia per aver reagito, opponendosi, all’ennesima piccola estorsione.
Ma i due verranno scarcerati per non aver commesso il fatto (insufficienza di prove), mentre viene condannato Sergi Rosario per falsa testimonianza in quanto aveva dichiarato che il Barbaro Antonio la sera del duplice omicidio si trovava nel suo bar.
A distanza di 35 anni nessuna risposta di verità e giustizia è stata data alla famiglia.
Quello che però appare certo è il contesto in cui si è sviluppato l’omicidio, un contesto ad alta densità mafiosa. Platì, a pochi chilometri dal Santuario della Madonna di Polsi, in cui ogni anno si riunivano i boss dell’Onorata Società, roccaforte della ‘ndrangheta. Un paese in cui nulla si muove se non è deciso o non ha il benestare delle ‘ndrine.
Se allora ci fosse stata la possibilità di fare indagini più accurate come quello del Dna, di certo sarebbe venuto fuori qualcosa. Il caso venne chiuso come episodio delittuoso a carico di ignoti. E noi allora, non riuscimmo a trovare la forza di insistere, di chiedere giustizia. La realtà che abbiamo dovuto affrontare era surreale, siamo state travolte da una tragedia così grande che ci ha pietrificato e impedito di prendere qualsiasi iniziativa volta a fare chiarezza sullo tsunami che si era abbattuto sulla nostra famiglia
Memoria viva
Il 9 Aprile del 2017 a San Vito di Gaggiano è stata apposta una targa con il loro nome su uno degli alberi del bosco dei Cento Passi, bosco che sorge su un’area di 16 ettari confiscata a un clan mafioso.
Le figlie di Francesco e Domenica, dopo anni di dolore vissuto in solitudine, hanno deciso di testimoniare e chiedere con forza che venga fatta verità e giustizia per i loro genitori.
Per tantissimi anni abbiamo considerato il nostro dolore esclusivamente privato, da custodire gelosamente, convinte che nessuno potesse capirlo. Il pudore e la riservatezza verso i nostri sentimenti ci ha portate a chiuderci nella nostra sofferenza e affrontare le difficoltà sempre crescenti con un dolore e un senso di impotenza indescrivibile. La nostra solitudine e il nostro silenzio sono durati più di 30 anni. E poi la SVOLTA! Ci siamo avvicinate all’Associazione Libera che attraverso le sue varie iniziative consente di tenere alta la memoria e il ricordo delle vittime innocenti di mafia e della criminalità. Memoria intesa non come mera celebrazione, ma come trasformazione della memoria in speranza e giustizia. In Libera ci siamo aggrappate come naufraghe, siamo uscite dall’immensa solitudine che ci ha attanagliato il cuore per tutti questi lunghi anni. Dopo decenni abbiamo trovato la forza di parlare, di condividere con gli altri famigliari la nostra pena, la nostra sete di giustizia e sottolineare, in tanti casi come il nostro, anche l’assenza riscontrata da parte dello Stato. Ci siamo sentite accolte, considerate e ascoltate in questa nuova Famiglia. Siamo convinte che mantenere vivo il ricordo di queste vittime innocenti significhi risvegliare le coscienze e arrivare alla consapevolezza della gravità di determinate azioni che non possono e non devono essere dimenticate.
Si parla dei coniugi Prestia in un capitolo del libro "LA MIA RAI dalla Lottizzazione alla Occupazione 25 anni di storia in Calabria" di Santi Trimboli, edito da Pelllegrini.
Nell’ambito del Progetto realizzato da Libera con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Pari Opportunità, che ha coinvolto alcuni studenti nel raccontare attraverso la scrittura storie di donne vittime della criminalità, la Classe VA liceo linguistico E. Berard-Aosta (2018) ha cercato di immaginare gli ultimi istanti di vita di Domenica, la storia si chiama 30 anni di BUIO.
Carissimi,
avremmo voluto avere il registro della vostra classe per indirizzare la presente lettera ad ognuno di Voi, per ringraziarvi del lavoro realizzato e dedicato a nostra Madre. Siete stati molto bravi perché pur avendo poche informazioni siete riusciti a costruire la tragedia che si è abbattuta sulla nostra famiglia ma soprattutto grazie per aver capito e trasmesso la nobiltà d’animo e di sentimenti dei miei genitori.