11 febbraio 1986
Platì (RC)

Francesco Prestia

Diventare sindaco a soli 26 anni non è per tutti. Francesco, inoltre, è il sindaco più giovane d'Italia. Quell'Italia che è appena uscita dal secondo conflitto mondiale e che ha scelto di essere una Repubblica. E Francesco ci riesce, grazie alla stima che si è costruito e al suo impegno forte sempre dalla parte dei più deboli.

Francesco Prestia nasce a Platì, piccolo paesino dell’Aspromonte calabrese, il 1° gennaio del 1922.
È un ragazzo intelligente, brillante, riflessivo e pacato. Dopo aver frequentato i primi anni delle scuole superiori, a causa di difficoltà economiche della sua famiglia, non può proseguire gli studi. Non si arrende e mentre lavora, gestendo una rivendita di tabacchi, studia da autodidatta creandosi una ricca cultura.
Francesco ha una grande passione per la politica e si candida alle elezioni per la carica di sindaco di Platì con una lista popolare, guidata da un ex servitore dello Stato che tanto aveva fatto contro la ‘ndrangheta, l’ex maresciallo Giuseppe Delfino. Si fa eleggere perché la gente lo considera una persona capace, tanto da ricoprire nel corso della sua vita politica più volte la carica di sindaco e vicesindaco con il PCI, alternandosi negli anni a un suo grande compagno di partito, Francesco Catanzariti. È il 1948, la Seconda guerra mondiale è da poco finita e l’Italia è diventata una Repubblica quando, a soli 26 anni, Francesco diventa per la prima volta sindaco, il più giovane nell’Italia del dopoguerra.

L’incontro con Domenica

In quegli stessi anni conosce Domenica, una ragazza di Saline di Montebello Jonico, piccolo comune della provincia di Reggio Calabria, che viene assunta, come impiegata, dalle “Poste e Telecomunicazioni” e assegnata alla sede di Platì. I due ragazzi si innamorano sin da subito e, dopo il fidanzamento, si sposano nel paese di Domenica nel gennaio del 1951. La giovane coppia, innamorata e felice si stabilisce a Platì. Sono diversi caratterialmente, ma alla base del loro rapporto c’è un amore profondo e un grande rispetto, che fa di loro una coppia molto affiatata e unita.
La loro vita scorre serena e presto, si aggiungeranno tre grandi gioie: la nascita delle loro bambine, Maria, Francesca e Michelina, da tutti chiamata Lilla.
Francesco è conosciuto, stimato e ben voluto da tutti in paese, soprattutto per la sua onestà, la sua bontà e per il suo profondo senso di giustizia. Nella sua attività da sindaco e vicesindaco si batte sempre in difesa dei più deboli senza scendere mai a compromessi.
Gli anni scorrono serenamente. In paese sono una famiglia nota per la loro serietà, contegno e riservatezza. Nella loro vita privata e familiare sono molto allegri, gioiosi e nella loro casa regna una grande armonia. Sono entrambi molto dediti e attenti alla crescita delle loro figlie e, nonostante gli impegni lavorativi, cercano di ritagliarsi quanto più tempo possibile da trascorrere con loro. Accompagnano con cura la crescita delle loro bambine, trasmettendo i loro valori. Insegnamenti che hanno consentito alle figlie di affrontare la vita dopo la loro tragica morte.

La fine del suo impegno politico

Nel 1978 Francesco abbandona la vita politica, dopo la sconfitta elettorale in cui vinse la DC guidata da Domenico De Maio, ucciso poi nel 1985.
Le Elezioni del 1978 furono molto travagliate: la lista della SPIGA, (capolista F. Prestia) per la prima volta in tantissimi anni non trova candidati. Il clima è molto pesante al punto che pochi giorni prima della scadenza per la presentazione delle liste, durante una riunione nella sezione del partito vengono sparati dei colpi di pistola ad altezza d’uomo. Per fortuna nessuna vittima, solo tanta paura e tanto terrore.
Francesco si ritira nella sua tabaccheria, lavorando con impegno e dedizione e creando sempre una relazione personale con ogni cliente. Domenica è vicina alla pensione e presto lo aiuterà anche lei con la tabaccheria. Nel frattempo due delle loro figlie sono andate a vivere fuori: Maria, la più grande, si è trasferita a Benevento, mentre Francesca si è sposata e vive a Rogliano, con suo marito e i loro figli. Solo Michelina vive ancora con i genitori, è iscritta all’Università di Messina e sta ultimando il suo percorso di studi.

L’11 febbraio del 1986

Molto rigide quelle giornate di febbraio, fa freddo e la sera dell’11, i due coniugi sono come sempre nella loro tabaccheria. All’improvviso sono sorpresi da individui che li aggrediscono e feriscono con corpi contundenti, fino a ucciderli.
A trovare i loro corpi sarà Michelina che, intorno alle 18.30, non vedendo salire a casa la sua mamma, come invece era solita fare, si preoccupa. La loro casa è sopra la rivendita di tabacchi e Michelina percorre le scale per entrare nella tabaccheria. Lì farà la terribile scoperta: per il suo adorato papà non c’è più nulla da fare, ma la sua cara mamma è ancora viva. Così ,seppur sotto shock, urla, chiede aiuto. E’ un passante il primo a rispondere al suo grido di aiuto e insieme riescono a trasportare Domenica in auto, per portarla nel più vicino ospedale, quello di Locri. Ma quella corsa disperata non servirà. Domenica morirà poco dopo, a causa delle gravi lesioni riportate.
Le sue figlie sono sconvolte da un dolore così grande, improvviso e inspiegabile.
Mi sono trovato di fronte a una scena raccapricciante, un fatto selvaggio e orribile, mai visto.” – commenta il giudice Macrì, recatosi sul luogo subito dopo il delitto.
Il giorno del loro funerale a Platì verrà proclamato il lutto cittadino.
L’omicidio ha fatto piombare tutta la comunità in uno stato di angoscia, paura e insicurezza mettendo in allarme le stesse Istituzioni in quanto nessuno si è sentito più sicuro.
A distanza di un mese il 6 marzo del 1986, il reparto Tuscania ha messo in atto una maxi-operazione che ha bloccato il paese per oltre 24 ore, ogni casa è stata perquisita. Lo Stato ha così risposto alla recrudescenza criminale, ha voluto far «sentire» la sua presenza in un paese dove si respira un clima di tensione e di assedio da parte della criminalità.

Vicenda giudiziaria

Le indagini sono difficili da portare avanti. Platì è un piccolo comune dove la presenza delle cosche è fra le più alte nella zona jonica - reggina e la violenza giovanile confluisce spesso nella mafia. L’omicidio di Francesco e Domenica, eseguito con così tanta ferocia, è di difficile lettura.
Solo grazie al referto autoptico si riuscirà ad accertare che i coniugi Prestia sono stati uccisi con un corpo contundente. Ma per il resto nulla sarà mai chiarito, né saranno trovati i responsabili del duplice omicidio.
Infatti, in un primo momento si scava nella pregressa attività di amministratore pubblico di Francesco, ma le indagini non porteranno a nulla, così si fa largo l’ipotesi di un tentativo di rapina finito male. Dopo circa due mesi dalla loro morte, vengono arrestati due ragazzi, Rocco Marando e Antonio Barbaro. Accusati di aver ucciso i coniugi Prestia per aver reagito, opponendosi, all’ennesima piccola estorsione. Ma i due verranno scarcerati per non aver commesso il fatto (insufficienza di prove), mentre viene condannato Sergi Rosario per falsa testimonianza, in quanto aveva dichiarato che il Barbaro Antonio la sera del duplice omicidio si trovava nel suo bar.
A distanza di 35 anni nessuna risposta di verità e giustizia è stata data alla famiglia.

Se allora ci fosse stata la possibilità di fare indagini più accurate come quello del Dna, di certo sarebbe venuto fuori qualcosa. Il caso venne chiuso come episodio delittuoso a carico di ignoti. E noi allora, non riuscimmo a trovare la forza di insistere, di chiedere giustizia. La realtà che abbiamo dovuto affrontare era surreale, siamo state travolte da una tragedia così grande che ci ha pietrificato e impedito di prendere qualsiasi iniziativa volta a fare chiarezza sullo tsunami che si era abbattuto sulla nostra famiglia
le figlie di Francesco e Domenica

Quello che però appare certo è il contesto in cui si è sviluppato l’omicidio, un contesto ad alta densità mafiosa. Platì, a pochi chilometri dal Santuario della Madonna di Polsi, in cui ogni anno si riunivano i boss dell’Onorata Società, roccaforte della ‘ndrangheta. Un paese in cui nulla si muove se non è deciso o non ha il benestare delle ‘ndrine.

Memoria viva

Il 9 Aprile del 2017, a San Vito di Gaggiano è stata apposta una targa con il loro nome su uno degli alberi del bosco dei Cento Passi, bosco che sorge su un’area di 16 ettari confiscata a un clan mafioso.
Le figlie di Francesco e Domenica, dopo anni di dolore vissuto in solitudine, hanno deciso di testimoniare e chiedere con forza che venga fatta verità e giustizia per i loro genitori.
Si parla dei coniugi Prestia in un capitolo del libro "LA MIA RAI dalla Lottizzazione alla Occupazione 25 anni di storia in Calabria" di Santi Trimboli, edito da Pelllegrini.

La nostra solitudine e il nostro silenzio sono durati più di 30 anni. E poi la SVOLTA! Ci siamo avvicinate all’Associazione Libera che attraverso le sue varie iniziative consente di tenere alta la memoria e il ricordo delle vittime innocenti di mafia e della criminalità. Memoria intesa non come mera celebrazione ma come trasformazione della memoria in speranza e giustizia. In Libera ci siamo aggrappate come naufraghe, siamo uscite dall’immensa solitudine che ci ha attanagliato il cuore per tutti questi lunghi anni. Dopo decenni abbiamo trovato la forza di parlare, di condividere con gli altri famigliari la nostra pena, la nostra sete di giustizia e sottolineare, in tanti casi come il nostro, anche l’assenza riscontrata da parte dello Stato. Ci siamo sentite accolte, considerate e ascoltate in questa nuova Famiglia.
Siamo convinte che mantenere vivo il ricordo di queste vittime innocenti significhi risvegliare le coscienze e arrivare alla consapevolezza della gravità di determinate azioni che non possono e non devono essere dimenticate.
le figlie di Domenica e Francesco