Carlo Milella era approdato da pochi mesi a Roma, negli uffici del Ministero dell’Interno. Era un questore di polizia di Palermo. E a Palermo tornava, ogni volta che poteva, per stare accanto a sua moglie Francesca e a sua figlia Titta. Quel 25 novembre del 1985 era una di quelle volte. Carlo era nella sua città, a respirare gli ultimi raggi di un caldo sole autunnale. “Ho pensato subito a mia figlia - dirà in seguito, pensando a quella mattina e a quel tragico incidente - e lo stomaco mi si è rivoltato”.
Maria Giuditta “Titta” Milella frequentava l’ultimo anno del Liceo Classico “Giovanni Meli”. III B, per la precisione. La foto che la ritrae, quella più diffusa e che ne ha fermato il volto in un’eterna giovinezza, proprio come per quel ragazzo dal viso di fanciullo che le è sempre affiancato, è esattamente lo specchio del suo modo di essere. Quel sorriso aperto alla vita era il segno della sua allegria, della sua solarità. Era una ragazza vivace, ma anche molto riservata. Non parlava tanto davanti agli altri, era profondamente timida, ma quel suo sorriso invogliava tutti a fidarsi di lei.
Aveva passato l’infanzia a spostarsi spesso a causa del lavoro di suo padre e per tanti anni avevano vissuto a Reggio Calabria per poi trasferirsi definitivamente a Palermo.
Il 25 novembre del 1985
Quella del 25 novembre 1985 era una giornata come tante altre. Un lunedì che segnava il rientro a scuola dopo il weekend.
Il lunedì precedente al 25 novembre Titta non era andata a scuola. Era venuta da me, in pigiama, con le maniche che le coprivano le mani. Aveva detto: ‘Ho paura. È come se ci fosse qualcosa che mi vuole distruggere’. Le avevo permesso di restare a casa. È per questo che quel lunedì ho lasciato che uscisse, anche se la sera prima avevamo fatto tardi. Ero ancora a letto. Titta mi ha dato un bacio sulla guancia. Volevo dirle di restare. Poi ho pensato che una settimana prima aveva saltato le lezioni. Sono stata zitta. Mi sono sentita invadere da una felicità pazzesca come se fosse la prima volta che mi baciava.
Quella mattina del 25 novembre 1985 Carlo era poco lontano dalla fermata dell’autobus di via Libertà, dove decine di persone, per lo più studenti, aspettavano la corriera per rientrare a casa dopo le lezioni. Erano passate da poco le 13.30. Le sirene delle tre auto, due gazzelle e una macchina blindata con a bordo i giudici Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta, probabilmente le aveva sentite anche lui. Ma, come gli studenti alla fermata del bus, anche lui era abituato a quel clima di guerra perenne, in una città assediata dalla mafia, dove un magistrato che fa il suo dovere deve temere per la sua vita ed è costretto a passare i suoi giorni sotto un regime di protezione durissimo. Per Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta è proprio così che funziona. Per loro e per tutti i loro colleghi impegnati nel lavoro per avviare il maxiprocesso a Cosa Nostra, il più grande processo penale di cui si abbia memoria.
A quella fermata c’era anche Titta. Le tre auto arrivarono a tutta velocità. La prima gazzella si trovò davanti una Fiat Uno. Fu in quell’istante preciso che si consumò il destino tragico di questa ragazza di 17 anni dal sorriso vivace. La macchina di scorta sbandò e finì come un proiettile sulle persone in attesa. Rimasero a terra una trentina di feriti. E poi due persone, una ragazza e un ragazzo, che subito apparvero come quelle in condizioni più gravi. Lui era Biagio Siciliano, 14 anni. Morì sul colpo. Lei era Titta.
Carlo Milella fu tra i primi a giungere sul posto. Poco dopo, si riversarono in strada decine di genitori in preda al panico, alla ricerca dei loro figli. Titta era a terra, priva di sensi. Lottò tra la vita e la morte per una settimana, senza mai riprendere conoscenza, in una stanza dell’Ospedale Civico di Palermo. Fuori, le preghiere di Carlo e Francesca e, con loro, quelle dei compagni del Meli. Poi, il primo dicembre, anche Titta se ne andò. Nicola Siciliano, il papà di Biagio, distrutto dal dolore, aveva raccolto in quella settimana decine di ritagli di giornale, articoli, titoli. Un diario fitto di quei giorni terribili di agonia. E al termine, una frase tremenda: “È morta anche Giuditta Milella”.
Anche Titta, come tante adolescenti della sua età, aveva l’abitudine di scrivere un diario. Pensieri sparsi di una giovane ragazza che si affacciava alla vita adulta. Dopo la sua morte, sua madre Francesca trovò la forza di riaprire quelle pagine, di rileggerle e commentarle, in un dialogo continuo con quella ragazza andata via troppo presto. Due anni dopo quel 25 novembre, ne venne fuori un libro, con un titolo che denunciava tutta l’assurdità di quella morte: “Voglia di risposte”. Furono i compagni di classe di Titta a portare quegli appunti preziosi alla casa editrice Sellerio che decise di pubblicare il libro. L’atto di amore di una mamma, lo definì Francesca. Un testo da regalare agli studenti e alle studentesse, a cui veniva consegnata la memoria viva di quell’eterna giovinezza.
I funerali di Titta
La mattina dei funerali, nella chiesa di Maria Santissima della Misericordia c’erano un migliaio di persone. Davanti a tutti, Carlo e Francesca, distrutti dal dolore. Accanto a loro, gli studenti del Meli, che appena una settimana prima avevano dovuto salutare per l’ultima volta Biagio e che ora si ritrovavano di nuovo a fare i conti con la morte. In quella chiesa c’erano anche il Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e i magistrati del pool, con chissà quale senso di colpa a pesargli sulla coscienza.
Palermo era una città in guerra. E in guerra, purtroppo, si può rimanere uccisi anche dal fuoco amico, quello dei buoni che si difendono dai cattivi. Una cosa difficile da digerire. La mafia, però, è capace anche di questo: entrare con violenza, distruggendola, nella vita di famiglie perbene; decretare, direttamente o indirettamente, il destino di una città e dei suoi figli.
Memoria viva
A Giuditta Milella e a Biagio Siciliano è dedicato il Presidio di Libera a Udine, che ogni giorno prova dare senso a quelle assurde morti costruendo percorsi di impegno e responsabilità.
La casa editrice Sellerio ha pubblicato il libro “Voglia di risposte”, regalato alle scuole palermitane. Sul tragico incidente, Roberto Puglisi ha scritto il libro “25 novembre 1985” edito da Sigma.