Domenico Cannata nasce il 15 gennaio del 1925 a Polistena, un grosso centro della piana di Gioia Tauro, distante circa 75 chilometri da Reggio Calabria. La sua è una famiglia umile e onesta. Ben presto sceglie di seguire le orme del suo papà e diventare elettricista come lui.
È un uomo che si fa da solo Domenico, e, a seguito di anni di duro lavoro, diventa un imprenditore nella lavorazione del marmo. Lavora bene, è preciso e attento ai dettagli tanto che gli affidano anche i lavori per la costruzione dell’altare nella chiesa di Polistena.
Si innamora di Concetta e la sposerà presto. Da quell’amore nascono 4 figli: Teresa, Marino, Francesco, Espedito. Domenico è un padre attento e amorevole, presente nella vita dei suoi figli, che ama gioire anche delle piccole cose quotidiane, dei primi passi dei suoi figli, delle loro prime parole e dei sorrisi quando si è a tavola tutti assieme. Un uomo normale, dedito al lavoro e alla famiglia.
Le richieste estorsive
Ma un giorno la vita tranquilla di Domenico e della sua famiglia viene inaspettatamente interrotta da alcune lettere anonime indirizzate al suocero – imprenditore e proprietario terriero della zona - in cui si chiedeva il pagamento di ingenti somme di denaro. La famiglia unita non si piega a queste richieste e la mafia alza il tiro, mettendo in atto la propria strategia del terrore, minacciando di sequestrare i nipoti o eseguire un attentato dinamitardo se non si fossero decisi a pagare quanto richiesto.
Nonostante le numerose minacce la famiglia di Domenico non si piega, va avanti lavorando onestamente e decisa a non pagare quell’ingente richiesta estorsiva che avrebbe significato una rinuncia alla propria dignità di uomini liberi e onesti lavoratori.
E la risposta della mafia non si fa attendere. È la notte del 16 Aprile del 1972, Domenico e i suoi figli sono a letto nella loro casa di via Matrice 26, dopo una di quelle che sembrava essere una serata come tante altre. All’improvviso, nel silenzio della notte, si sente uno scoppio che sveglia tutti. Domenico si alza dal letto, controlla che moglie e figli siano tranquilli, dice all’amata moglie: “vedo fumo, scendo al piano inferiore, tu guarda i bambini”. Passa velocemente nella stanza dei bambini e gli dice, rassicurandoli, di stare con la mamma, lui tornerà presto. Si avvicina così all’interruttore centrale e prova a staccarlo per evitare un incendio, poi scende. Qualche attimo dopo, un altro boato, ancora più assordante del precedente, una luce nel buio, il rumore dei vetri che si frantumano e infine il silenzio assoluto che fa da cornice a una grande paura che avvolge lo stabile.
La deflagrazione lo investe completamente. La sua amata famiglia troverà il suo corpo dilaniato dall’esplosione.
Domenico morirà alle 4.39 all’ospedale Santa Maria degli ungheresi dove era stato trasportato d’urgenza nel disperato tentativo di salvargli la vita.
La giunta del Paese dichiarerà il lutto cittadino e una giunta straordinaria del Consiglio comunale decise di assumere a proprio carico le spese per il funerale.
Vicenda giudiziaria
Secondo gli inquirenti, la prima carica di tritolo era indirizzata ai proprietari del bar di fronte, i quali avevano ricevuto anche loro richieste estorsive. Appena Domenico scese al piano di sotto per staccare il contatore ed evitare un incendio, esplose la seconda carica, alla quale era stata attaccata una miccia più lunga. L’esplosione fu tremenda e per lui non ci fu scampo.
Domenico viene riconosciuto vittima innocente della ‘ndrangheta solo nel 2005. La sua famiglia attende ancora che venga fatta giustizia.
Nel viso del mio papà vedevo la Calabria bella: gli occhi azzurri come il mare, il sole, il verde della campagna. Io lo rappresento così, lo voglio assimilare a questa terra bellissima. E quindi il viso di mio padre era bellissimo.
Memoria Viva
La figlia Teresa nel 2007 costituisce, assieme ad altri familiari di vittime innocenti di mafia, l’associazione “Piana libera” con l’obiettivo di aiutare e accompagnare tutti coloro che hanno perso un loro caro per mano della ‘ndrangheta.