Il ricordo di Domenico Cannata
di Marino Cannata
“Il 16 aprile di quarantasei anni fa è morto mio padre", permettetemi di esternare ad alta voce, l’inno all’amore filiale. Omaggio a una figura mitica come quella del padre.
E tutte le creature che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la sua natura servono, conoscono e obbediscono al loro creatore meglio di te, o uomo.
Inizio con una breve premessa riguardante il nonno: contadino, di famiglia povera, non frequenta la scuola, ma lavora da sempre in campagna con i suoi genitori. Crescendo ed essendo un soggetto molto attento all’evoluzione vegetale, facendo enormi sacrifici e lavorando venti ore il giorno, prima diventa il fattore di un possidente di famiglia ricca, poi proprietario terriero.
Invece, Domenico Cannata mio padre, imprenditore nella lavorazione del marmo. Egli fece anche il primo altare (non tutti ricorderanno che tempo fa i sacerdoti celebravano la messa girando le spalle ai fedeli, poi l’altare è stato spostato con il sacerdote che guarda i fedeli) nella chiesa di Polistena, nostro paese natio. Un giorno accade che inizino ad arrivare via posta, lettere anonime, indirizzate a mio nonno per la sua attività, in cui gli si chiedeva somme onerose di denaro con la minaccia di sequestrare i nipoti o eseguire un attentato dinamitardo. A notte fonda, svegliati nel sonno da un boato impressionante, rammento le ultime parole di mio padre, pochi attimi prima di morire: “vedo fumo (la miccia della bomba che stava per esplodere), scendo al piano inferiore, tu guarda i bambini e voi state con la mamma”. L’estremo tentativo di infonderci, nonostante il pericolo, la serenità. Qualche attimo dopo, un altro boato più assordante, una luce nel buio, il rumore dei vetri che si frantumano e infine il silenzio assoluto che fa da cornice a una grande paura, interrotto da un forte lamento e dal pianto disperato di mia madre.
Mio padre era morto dilaniato dalla bomba.
La perdita di un genitore è uno degli eventi più dolorosi che accadono durante la vita di una persona, le cui conseguenze lasciano profonde ferite nell’anima. Il lutto per la morte di un genitore è un fatto travolgente, tragico e duro da affrontare, poiché non siamo dotati di strutture mentali e affettive tali da consentirci di fare fronte a una situazione così stravolgente. Non ci sono parole che possono lenire la sofferenza...
La perdita della figura genitoriale significa “abbandono", mina il proprio senso di sicurezza, privandoci dell’unico sostegno necessario nei momenti particolarmente dolorosi o penosi della vita. Questo significa dover crescere come "persona" che deve farcela da sola e mostrare agli altri la sua forza d’animo. Come imparò a fare nostra madre. Il mio racconto tocca le profonde corde emotive di ognuno di noi…. soprattutto in chi ha sperimentato lo stesso dolore.
Da mio padre, dalla sua "imago interna", noi potremo trarre quella forza indispensabile per andare avanti, che diventerà nostra alla fine, solo se riusciremo a superare la rabbia. Mi domando, passerà la rabbia? Alla fine si stempererà? Potremo occuparci del dolore, quello profondo per la perdita? La mancanza di giustizia?
Il lutto farà il suo corso e attraverserà diverse fasi, ma questo dolore non sparirà mai completamente e ciò….ci coglie sempre impreparati.
Nella vita si alterneranno momenti in cui penseremo di stare bene ad altri bui, tristi e cupi, durante i quali succederà sempre che un ricordo, un profumo, una fragilità ci riporteranno indietro nel tempo e il dolore riaffiorerà
Mamma, Teresa, Francesco, Espedito ed io: cercheremo sempre quella giustizia che da tanti anni non arriva……
Il nostro papà vive ancora e per sempre con NOI, abiterà nei nostri ricordi e ci guiderà nel cammino della vita.
L'amore spesso supera la morte, il nostro non finirà mai.
Ti voglio tantissimo bene papà e continuerò sempre a tenerti stretto a me.
Marino