A Trapani, in contrada Locogrande tra vigneti e uliveti che costeggiano il mare, Alberto Giacomelli aveva costruito il suo rifugio. Un baglio immerso nel verde in cui godersi la meritata pensione e coltivare la sua più grande passione: la campagna.
Nato a Trapani il 28 settembre 1919, figlio di un giudice, aveva seguito le orme del padre e nel 1946 era entrato in magistratura. Per qualche anno Pretore a Calatafimi, dal 1971 ricoprì la carica di giudice presso il Tribunale di Trapani, e poi, dal 1978, quella di presidente di sezione presso lo stesso Tribunale, fino alla pensione il primo maggio del 1987.
Sposato con Antonietta e padre di Fausta e Giuseppe, era un uomo dai gesti generosi e dalle parole chiare, oneste. “Un uomo non studiato, non falso, spontaneo che non aveva paura di mostrarsi così. Presente in famiglia, generoso e amorevole restava sempre un magistrato, in ogni momento e in ogni azione”. Così lo ricorda il figlio Giuseppe, oggi parroco a Trapani, in una delle rare interviste concesse.
(…) Ogni sua espressione era alla ricerca del giusto equilibrio: affettuoso ma non sdolcinato, premuroso ma non invadente, sempre pronto all’ascolto e al confronto senza giudizio.
Giacomelli era un giurista che non si limitava ad applicare semplicemente le regole del diritto. Uomo perbene, sentiva profondamente la responsabilità di amministrare la giustizia, provando a mediare le tensioni della società in cui viveva. Un giurista e non un giustiziere, capace di guardare all’altro, anche a un condannato, come persona.
Forse era proprio questo suo modo d’essere che lo rese tanto benvoluto dalla comunità. E forse anche grazie al suo amore per la terra e alla cura che dedicava ai suoi vitigni e agrumeti, era diventato per tutti semplicemente “u Zu Bettu”.
I suoi colleghi dissero di lui che, oltre alle indiscusse competenze giuridiche, possedeva qualità fondamentali per un uomo di legge: la capacità di ascolto, la calma e il saper attendere il momento opportuno. Ne è prova un episodio accaduto negli anni ‘80 presso il Tribunale di Trapani, quando fu arrestato per corruzione il magistrato Antonino Costa. Il Consiglio Superiore della magistratura ordinò un’ispezione negli uffici giudiziari e Giacomelli fu sottoposto ad indagine perché ritenuto da alcuni “giudice scarsamente aggiornato e professionalmente dequalificato". Dinanzi a una simile meschinità non fece e non disse nulla per difendersi. Aspettò, con la calma che lo contraddistingueva. Chiusa l’indagine e riabilitato con le dovute scuse, si limitò a dire:
Bisognava solo aver fiducia e aspettare. La giustizia, il mio credo, trionfa sempre.
14 settembre 1988
Il 14 settembre 1988, in un ventoso mercoledì di fine estate, Alberto Giacomelli, in pensione da 16 mesi, fu rinvenuto cadavere accanto alla sua auto, a pochi metri da casa, raggiunto da colpi di proiettile al capo e all’addome.
Quando celebro messa e dico «Questo è il sangue versato per voi», non posso non pensare al sangue su quella stradella di campagna, dove mio padre è rimasto per tante ore per terra, che ha macchiato così tanto l’asfalto da dover rifare il manto stradale.
Vicenda giudiziaria
Un delitto inspiegabile: chi mai avrebbe potuto volere la morte di un magistrato in pensione, stimato e benvoluto da tutti? Le indagini non portarono a nulla e le dicerie infamanti costruite ad arte intorno alla sua vita, si dissolsero presto come neve al sole.
A circa un anno dall’omicidio, a seguito di una falsa testimonianza resa da un pentito, vennero arrestati e condannati quattro giovani pregiudicati del luogo, poi assolti nel giudizio di appello.
Per quasi 14 anni, la storia di Alberto Giacomelli cadde nell’oblio. Una vita spesa a servire lo Stato nel nome della giustizia, e lo Stato si dimenticò di lui.
Serviranno le dichiarazioni dei collaboratori Sinacori, Brusca, Milazzo e Canino a fare luce sulla sua morte.
Per capire davvero, bisognerà tornare al 28 gennaio 1985. In quella data, da presidente della sezione di misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, Giacomelli aveva firmato un provvedimento di confisca di ville e terreni a Mazara del Vallo di proprietà di Gaetano Riina e sua moglie Vita Cardinetto.
L’omicidio di un magistrato ormai in pensione (primo e unico magistrato in pensione ucciso dalla mafia), che quasi mai si era occupato di processi di mafia, aveva probabilmente portato gli investigatori a guardare altrove, mentre il movente dell’omicidio si sarebbe potuto trovare semplicemente leggendo le carte della sua attività lavorativa. Sarebbe bastato soffermarsi sul destinatario della confisca per mettere sul tavolo il primo tassello per ricomporre il puzzle: Gaetano Riina era il fratello di Totò Riina, boss del clan dei Corleonesi e capo indiscusso di Cosa Nostra dal 1982 fino all’arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993.
Quel 28 gennaio 1985, il giudice Giacomelli, che aveva semplicemente fatto il suo dovere applicando la legge, stava firmando la sua condanna a morte. Il 9 settembre del 1987 i Riina impugnarono il sequestro e Gaetano cercò di mantenere il possesso del bene facendosene nominare “affidatario”, ma il tentativo fallì e l’anno successivo Totò Riina ordinò il suo omicidio.
Gli esecutori materiali del delitto non sono mai stati individuati. I mandanti, invece, furono identificati in Totò Riina, condannato all’ergastolo in via definitiva, e Vincenzo Virga, che fu poi assolto dall’accusa perché il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori non confermò in aula le dichiarazioni rese in istruttoria.
Memoria viva
La storia di Alberto Giacomelli è poco conosciuta, come quelle di tante altre vittime innocenti delle mafie. La sua vicenda si intreccia proprio con alcune di queste: il 25 settembre, pochi giorni dopo la sua uccisione, sulla statale Agrigento-Caltanissetta furono assassinati il magistrato Antonino Saetta e suo figlio Stefano. Il giorno seguente, il 26 settembre, a Trapani veniva ucciso il giornalista Mauro Rostagno.
Il 14 settembre del 2009, nel ventunesimo anniversario dell’uccisione di Alberto Giacomelli, il Comune di Trapani gli ha intitolato la piazzetta antistante il Palazzo di Giustizia. Un gesto doveroso per strappare all’oblio la storia di un uomo, esempio di coerenza e onestà, che ha fatto dell’ideale di giustizia il suo credo.
Nel 2013, è stato intitolato ad Alberto Giacomelli il Presidio territoriale di Libera Imola.
La sua storia è stata raccontata, insieme a quella di Giangiacomo Ciaccio Montalto, in una delle puntate della trasmissione “La Memoria - Magistrati uccisi da mafie e terrorismo” (Raiplay, 20 ottobre 2021).
La storia di un giusto, tra tanti, da ricordare e onorare perché un Paese che non si assume la responsabilità del ricordo e dell’impegno nel suo nome e in quello delle altre vittime innocenti delle mafie, è un Paese destinato a perdersi.