27 ottobre 1981
Acquappesa (CS)

Lucio Ferrami

Nel clima di paura e omertà di un piccolo paese calabrese dei primi anni Ottanta, il coraggio di Lucio Ferrami di ribellarsi al racket diventa un atto di straordinaria potenza.

Lucio Ferrami nasce a Casalbuttano, in provincia di Cremona, il 22 febbraio 1949 ma il suo destino è legato indissolubilmente alla Calabria dove, mentre risiedeva per lavoro ad Acquappesa, conosce Maria Avolio, che sposerà il 30 ottobre 1971. Ad aprile del ’72 nasce il primo figlio, Pierluigi, e a giugno del ’79 il secondo, Paolo. La coppia risiede prima a Guardia Piemontese marina e, successivamente, in località S. Iorio, frazione di Acquappesa, in una casa di loro proprietà.

Nel frattempo, la ditta per cui lavora si sposta a Battipaglia. Dopo qualche anno, Lucio decide di lasciare il lavoro di geometra e apre un negozio per la vendita di piastrelle, sanitari e rubinetterie lungo la S.S. 18, a Guardia P.se marina. È lì che riceve le richieste di estorsione che lo porteranno a rivolgersi alle Forze dell’Ordine per denunciare i suoi aguzzini.

Sono i primi anni Ottanta, siamo a Cetraro. Ha qui inizio l’affermazione di Franco Muto, definito “il Re del pesce”. La ‘ndrangheta è già forte, ma vive una fase di espansione in una provincia già insanguinata dalla guerra che da anni interessa il capoluogo calabrese. Una guerra iniziata con l’omicidio di Luigi Palermo, detto “U Zorru”.

(…) Cetraro, un paese in ginocchio per la paura, dove tra il 79 e l'83 furono commessi ben 11 omicidi - tutti rimasti senza esecutori o mandanti - e 51 attentati dinamitardi.
Giancarlo Summa - “Per il delitto Losardo la Cassazione conferma: tutti da assolvere”, l’Unità, 22 gennaio 1988

Solo qualche mese prima, il 21 giugno 1980, proprio a Cetraro era stato ucciso il consigliere del PCI Giannino Losardo, che aveva denunciato pubblicamente la complicità fra le ‘ndrine locali e pezzi dello Stato, dell’economia e della politica. È in questo clima di paura e omertà, di silenzi e rassegnazione, che quello di Lucio Ferrami diventa un atto di straordinaria potenza.

[…] Perché accettano tutto questo? Perché nessuno si ribella? Perché consentite a qualcuno di fare tanto male alla vostra terra?
Lucio Ferrami

In questo clima di timori e paure, Maria, sua moglie, gli propone di lasciare la Calabria, di ricominciare da un’altra parte, in un posto in cui la ‘ndrangheta non potesse arrivare con le sue minacce. Ma Lucio non vuole andarsene. Lui amava la sua terra d’adozione, come ricorda sua sorella Franca nella video inchiesta de L’altro Corriere Tv:

Appena scendeva in Calabria, passata la Valle del Noce, gli si apriva un panorama dominato dal mare e lui diceva che gli si apriva il cuore.
Franca Ferrami, sorella di Lucio - “Calabria dell’altro Mondo”, video inchiesta de L’altro Corriere Tv

27 ottobre 1981

È il 27 ottobre 1981, quando, a soli 32 anni, Lucio Ferrami viene crivellato di colpi in contrada Zaccani, ad Acquappesa. È in macchina, con la moglie, l’ultimo suo pensiero prima di morire. Per salvarla, le fa da scudo con il suo corpo, lasciandola indenne mentre lui muore sul colpo. Ad attenderli, a casa, c’erano i figli Paolo e Pierluigi, di tre e nove anni.

Conservo pochi e preziosi ricordi perché quando è morto mio padre avevo solo 9 anni: passavamo delle belle giornate nella nostra casa in collina, giocavamo insieme, la sera trascorrevamo del tempo davanti al camino e poi al mare, con il canotto.
Pierluigi Ferrami, figlio di Lucio – “Il no alla ‘ndrangheta di Lucio Ferrami, un atto di straordinaria potenza”, www.corrieredellacalabria.it

Vicenda giudiziaria

Le indagini portarono alla condanna all’ergastolo, in Corte d’Assise, di Francesco Muto e di suo figlio Luigi, in aggiunta alle condanne per altri quattro gregari. In secondo grado, però, furono tutti assolti con formula dubitativa.

Ma la moglie di Lucio, Maria Avolio, non si rassegna di fronte alla mancata condanna degli assassini di suo marito e senza timore parla di “allucinante silenzio degli organi dello Stato, dinanzi alla lotta solitaria di un uomo, mio marito, contro la cosca locale”.

Davanti a una sentenza ingiusta, Maria decide di denunciare la Procura della Repubblica di Paola, accusandola di omissione di atti d’ufficio. Incolpa i magistrati di non aver fatto il possibile per impedire l’omicidio, avendo non solo trascurato le denunce di suo marito, ma anche di altri cittadini di Cetraro che avevano segnalato l’escalation mafiosa in tutta la zona.

Non posso vedere gli assassini di mio marito a passeggio. (…) È allucinante il silenzio degli organi dello Stato, dinanzi alla lotta solitaria di un uomo contro la cosca locale. (…) La ‘ndrangheta è alimentata dall’indifferenza e da una preoccupante assuefazione all’illegalità che rafforza il potere mafioso.
Maria Avolio, moglie di Lucio Ferrami – “Lucio Ferrami, il delitto consumato «nei campi arati dell’indifferenza”, Corriere della Calabria, 20 marzo 2022

Sul banco degli imputati finiscono i silenzi delle istituzioni, della magistratura e delle forze dell’ordine, ma mandanti ed esecutori dell’omicidio di Lucio Ferrami restano ignoti.

Memoria viva

Per molti anni la storia di Lucio Ferrami è caduta nell'oblio, ma nel tempo le cose sono cambiate, soprattutto grazie all’impegno dei suoi familiari, come sua moglie Maria e sua sorella Franca, da sempre attiva nella rete di Libera.

Lucio Ferrami non è stato dimenticato, come dimostra il murales che lo ritrae in contrada Zaccani, ad Acquappesa. Proprio nel luogo dell'agguato, il suo ricordo è reso indelebile da un mosaico realizzato dagli studenti e da alcuni docenti del liceo artistico di Cetraro.

Nel 2014 l'associazione antiracket di Cosenza ha deciso di prendere il suo nome, così come il presidio di Libera sorto a Cetraro.

Ogni giorno percorro questa stessa strada, e il dolore è sempre lo stesso. Dimenticare l’episodio e quello che è successo dopo è impossibile. Ma ho scelto di restare qui per lottare e resistere in suo nome.
Maria Avolio, moglie di Lucio