Nicola tornò ad essere vivo
di Federica Bianchi
Il nome di Nicola Ciuffreda lo avevamo sentito fare quando si parlava di costruttori ammazzati dalla mafia per essersi ribellati al racket delle estorsioni, ma ben poco si sapeva di lui.
L’unica certezza era che il suo nome era inserito nella “sentenza Panunzio” dove, in maniera cristallina, si decretava che la sua uccisone era stata decisa dalle stesse persone che avevano poi, due anni dopo, ordinato di freddare un altro imprenditore, Giovanni Panunzio. Una sentenza importante per la città di Foggia perché riconobbe, per la prima volta, la natura mafiosa della “Società Foggiana”, che già dalla fine degli anni ‘80 si era infiltrata nell’economia sana della città, in particolare nell’edilizia.
Ma la famiglia di Nicola era sempre stata molto riservata e noi scegliemmo di rispettare quel silenzio, quel dolore così grande che non gli permetteva di parlare pubblicamente dell’accaduto ma che, invece, li spingeva a chiudersi a testa bassa nelle proprie vite, provando a ricucire una ferita troppo profonda. Eppure, nel profondo rispetto di questo dolore, abbiamo sempre sentito il dovere morale di fare memoria di Nicola, di scandire il suo nome quando parlavamo delle vittime innocenti delle mafie, soprattutto in terra di capitanata, e con ancor più forza nella sua amata città di Foggia, che da troppi anni aveva invece scelto di dimenticare un pezzo così importante della sua storia.
E così venne un giorno in cui, a margine di uno dei tanti incontri di preparazione della “XXIII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti della mafie” che si sarebbe tenuta proprio a Foggia, un uomo timido e riservato si avvicinò a noi e, con voce tremante e occhi lucidi, ci disse il suo nome: “Sono Roberto Ciuffreda, figlio di Nicola”.
Riuscì ad aggiungere solo poche parole, un grazie, sentito e profondo, per aver ricordato suo papà in tutti quegli anni trascorsi dalla sua uccisione, per aver restituito un pizzico di verità e dignità a quella storia troppo a lungo ignorata e dimenticata da tutti, per averli fatti sentire memo soli.
A seguito di quell’incontro Roberto ci inviò una lettera, carica di emozione, in cui ci raccontava la vicenda che li aveva travolti. Quella storia di cui noi conoscevamo solo il tragico epilogo o poco più, diventava all’improvviso completa. Nicola Ciuffreda non era più solo un nome letto nelle pagine di cronaca locale ma acquisiva finalmente tutti i colori di una persona vera. Nicola tornò ad essere vivo.
Arrivò il 21 marzo, e sotto una pioggia battente cominciò la lettura degli oltre 1000 nomi delle vittime innocenti delle mafie. La piazza era gremita, il corteo riempiva anche le arterie laterali. Era tutto un susseguirsi di volti, di occhi lucidi e mani strette. Per la prima volta davanti a più di 40mila persone, fu letto anche il nome di Nicola. Fu come un boato, una voce libera si alzò dal palco fino a raggiungere tutte le vie della città e le altre piazze collegate nel resto d’Italia. Finalmente la città di Foggia riabbracciava il suo concittadino che da troppo tempo aveva dimenticato.
L’impegno di quel giorno, le emozioni che ne scaturirono - aggiungendosi al prezioso e costante lavoro svolto negli anni dal coordinamento provinciale, da altri familiari di vittime innocenti e da volontari - ci convinsero a fare di più. Fu così che decidemmo di dar vita al primo presidio cittadino di Libera a Foggia. La scelta di intitolarlo a Nicola Ciuffreda e a Francesco Marcone venne da sé: due uomini di questa stessa terra, due lavoratori, due padri, che hanno saputo vincere la paura scegliendo di stare dalla parte giusta. La loro memoria ricorda a tutti noi la possibilità di scegliere; ci ricorda che ciascuno può incontrare la mafia, ma quello che cambia è l'elemento della scelta su come reagire, perchè solo insieme possiamo fare la differenza.
La storia di Nicola e della sua famiglia racchiude il valore profondo della memoria e della vicinanza alle famiglie delle persone vittime, richiamandoci quotidianamente al nostro impegno per sottolineare con forza che tutte le vittime innocenti delle mafie hanno la stessa dignità, anche se spesso sono oggetto di rimozione da parte dell'opinione pubblica.
La famiglia di Nicola, assieme a quella di Francesco, sono parte integrante di quel Presidio, che ogni settimana si incontra per costruire antimafia sociale, per liberare bellezza e provare a realizzare un sogno: rendere Foggia una città libera dalla mafia.