25° Anniversario Strage di via Palestro
A cura dei ragazzi e delle ragazze del presidio universitario di Libera Milano, dedicato alle vittime della Strage di via Palestro.
Erano passate da poco le 23.00 quando il 27 luglio 1993 Milano per la prima volta venne colpita da un attentato di stampo mafioso. Una macchina imbottita di esplosivo parcheggiata nella centralissima via Palestro si portò via cinque vite. Quella di Alessandro Ferrari, agente di Polizia municipale, 30 anni. Carlo La Catena, vigile del fuoco, 26 anni. Sergio Pasotto, vigile del fuoco, 34 anni. Stefano Picerno, vigile del fuoco, 37 anni. Driss Moussafir, cittadino marocchino di 44 anni.
Dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, Cosa Nostra aveva deciso di colpire il patrimonio artistico dello Stato italiano. La notte tra il 26 e il 27 maggio ’93 un’autobomba venne fatta esplodere in via dei Georgofili a Firenze, vicino alla Galleria degli Uffizi, provocando la morte di cinque persone, Fabrizio Nencioni (39 anni) e Angela Fiume (36 anni) con le loro figlie Nadia (9 anni), Caterina (50 giorni) e lo studente Dario Capolicchio (22 anni). E poi un mese più tardi in una sola notte, quella tra il 27 e il 28 luglio appunto, le bombe che esplosero furono tre: a Milano l’obiettivo era il Padiglione di arte contemporanea; a Roma invece le chiese di San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano.
Dopo gli anni del terrorismo politico, l’Italia si ritrovò a fronteggiare tra il 1992 e il 1993 la stagione del terrorismo mafioso: sette stragi in poco più di un anno. Stragi che hanno provocato 21 morti e centinaia di feriti, distrutto autostrade, sventrato palazzi, danneggiato irreparabilmente diverse opere d’arte con danni incalcolabili al patrimonio artistico italiano. In quei giorni a Milano furono in pochi a comprendere la matrice di questi attentati.
Eppure, qualche elemento per poter riconoscere la presenza della criminalità mafiosa al Nord lo si aveva. Nel 1974 venne arrestato in via Ripamonti il boss corleonese Luciano Liggio. Nel 1979 il banchiere Michele Sindona fece uccidere da un sicario di Cosa Nostra italo-americana l’avvocato Giorgio Ambrosoli. Negli anni ’80 personaggi come il mafioso Joe Adonis erano stati protagonisti della vita criminale milanese. Senza dimenticare il numero sempre più crescente con il passare degli anni delle vittime dei sequestri di persona organizzati prima da Cosa Nostra e poi dalla ‘ndrangheta. O le circa tremila persone arrestate e processate per associazione mafiosa tra il ’92 e il ’93 grazie alle confessioni di molti collaboratori di giustizia tra cui Saverio Morabito e Antonio Zagari.
Nonostante dunque i segnali non mancassero, nel 1994 in via Palestro fu posta una targa con la dicitura “vittime innocenti di un vile attentato”. Solo nel 2013 la giunta comunale decise di sostituirla con un’altra che recita “vittime di una strage mafiosa volta a ricattare lo Stato”.
A 25 anni di distanza da questi fatti tante cose sono cambiate, a partire da una accresciuta consapevolezza sul fenomeno mafioso. Tuttavia questa storia non è ancora patrimonio comune di conoscenza e memoria. Specialmente gli studenti delle scuole medie e superiori che incontriamo la ignorano.
Per questo, perché ne avevamo già la percezione, nel 2013 decidemmo di intitolare il nostro presidio alle vittime della Strage di via Palestro: volevamo raccontare quei nomi, quelle storie, la Milano di allora, al maggior numero possibile di persone. Fare memoria. Come ci insegna la sociologa Renate Siebert, la memoria ha una valenza politica, è cioè capace di trasformare l’esistente: “Ricordare le persone scomparse, elaborare il lutto della loro perdita, rievoca inevitabilmente le circostanze della loro vita, le cause della loro morte – […] Il ricordo del sacrificio di queste vite pone questioni di responsabilità. Offre parametri di giudizio sul corso degli eventi e insinua il dubbio che ciò che è avvenuto avrebbe potuto anche svolgersi diversamente” .