Parole di memoria

Lo preferisco a Fabien Bhartez

21 MARZO NAPOLI

di Fabio Giuliani

Estate torrida quella del ’98, la radio passava due tormentoni: Alex Britti con “Solo una volta”, ma soprattutto Ricky Martin ci abbrustoliva le scatole con la sua “Copa de la Vida”.

Si la coppa della vita, era l’anno dei mondiali di Francia, il re di Francia si chiamava Zinedine Zidane. C’erano altri campioni a far compagnia a re Zizù: Yuri Djorkaeff, Marcell Desailly, e anche un portiere, che personalmente detestavo, anche per le sue idee politiche che si chiamava Fabien Bhartez.

Alberto avrà visto sicuramente quella competizione, avrà visto e si sarà incazzato quando il rigore decisivo di Di Biagio, proprio contro ai cugini d’oltralpe si è stampato sulla traversa. Chissà se ad Alberto piaceva quel curioso portiere, bruttino, bassino, stravagante, ma Alberto era un suo collega, anche lui da ragazzino sognava di fare il calciatore, sognava di difendere i pali della sua squadra del cuore, il Napoli, e girovagava i campi in terra battuta della sua Mugnano.

Non è un caso che lo stadio del Mugnano è a lui dedicato. Dedicato alla memoria di “Alberto Vallefuoco”, alla sua memoria, perché Alberto non c’è più, Alberto è stato ammazzato dalla camorra!

Il 20 luglio del 1998, davanti ad un bar, di fronte al pastificio Russo, Alberto, con i suoi colleghi Rosario Flaminio e Salvatore De Falco vengono trucidati da colpi di Kalashnikov, fucili e pistole. Perché? Cosa ci facevano quei tre ragazzi lì?

I primissimi lanci stampa paventavano subito l’ipotesi di un clamoroso errore “La strage resta ancora un mistero per gli inquirenti che sono costretti a non escludere neppure l’ipotesi più inquietante e angosciosa: un clamoroso errore di persona, l’esistenza di un obiettivo sfuggito miracolosamente ai sicari che avrebbero colpito degli innocenti. Una giornata di febbrili indagini – con un vertice presieduto dal questore Arnaldo La Barbera, l’interrogatorio di decine di pregiudicati e l’esame accurato della vita delle tre vittime della sparatoria non è servita a far luce sull’agguato di via Nazionale delle Puglie. Polizia e carabinieri non trascurano alcuna pista e, partendo dalle modalità del triplice omicidio, analizzano la mappa dei clan della camorra in lotta per la supremazia. L’unica cosa certa, infatti, è che ad agire sono stati killer professionisti e le caratteristiche del commando riportano agli schieramenti del crimine organizzato nella zona. Dopo l’omicidio del boss Antonio Egizio, capoclan storico nell’area di Pomigliano d’Arco, si fanno guerra le famiglie Veneruso e Cirella, che muovono dai vicini paesi di Volla e Casalnuovo per conquistare un’altra fetta di territorio. Affiliati alle due bande sono stati sottoposti alla prova dello «stub» per accertare se abbiano usato di recente armi da fuoco. Ma se questo è lo scenario, resta da capire che cosa mai avessero a che fare con camorra e cosche le vite «normali» di Salvatore Di Falco, Rosario Flaminio e Alberto Vallefuoco. Nulla, giurano i familiari disperati, piegati dal dolore. Nulla, sembra emergere dagli accertamenti in corso da ore da parte degli investigatori che stanno passando al setaccio le vite dei tre uccisi.”

Le cronache successive non furono dello stesso tenore. La storia ce lo insegna, quando sei una vittima innocente, provano ad ammazzarti ancora una volta e un’altra ancora… E’ successo con don Peppe Diana, Giancarlo Siani, Peppino Impastato.

Si cominciò a scrivere che avevano violentato una ragazza, spacciavano droga, uno era un amante di… E’ ancora la reazione vigliacca della camorra, quando non riesce a giustificare di fronte all’opinione pubblica la sua immensa banalità, comincia a gettare fango, prezzolare qualche giornaletto, ecc.

Poi ancora: “uccisi per errore!” Quale errore può giustificare una cosa del genere? Quale errore può giustificare di scendere per strada armati di kalashnikov, fucili e pistole? Non ci sono errori, l’unica cosa sbagliata è l’esistenza della camorra e tutti i comportamenti attivi od omissivi che la alimentano.

Ed ancora: “i tre giovani si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Cosa c’è di sbagliato ad indossare una tuta, un camice, una casacca ed andare a lavorare? Cosa c’è di sbagliato a consumare la meritata colazione con i colleghi con cui hai condiviso anche la fatica? Di sbagliato, ancora una volta, sono quelle armi e quelle pallottole, che si trovavano in un posto sbagliato al momento sbagliato ma che sarebbero state sbagliate ovunque esplose.

La verità, invece era semplicemente e maledettamente quella: Alberto, Rosario e Salvatore erano stati oggetto di scambio di persona. La ragione era banale, semplicissima: il pastificio Russo fino a quel momento aveva pagato il pizzo ad un clan, si era presentato un clan emergente a chiedere il pizzo, e i titolari si erano rivolti, invece di andare alla polizia, al clan a cui avevano sempre pagato. Questi ultimi, in pieno giorno, facevano partire un commando di morte, composto da quattro auto, per “regolare i conti” ed ironia della sorte, dovevano colpire una Y verde bottiglia, e Alberto, Rosario e Salvatore erano in pausa pranzo in una macchina dello stesso tipo e dello stesso colore.

Si in pausa pranzo, perché stavano svolgendo una stage al pastificio, con la promessa di essere assunti. I tre ragazzi stavano realizzando un sogno: una vita più stabile attraverso la dignità del lavoro.

In realtà, Alberto, non era mai stato con le mani nelle mani. Era un tipo ingegnoso, che sapeva arrangiarsi. Era molto bravo ad aggiustare elettrodomestici, aveva un solo problema, che spesso nel commercio è controproducente, aveva un cuore enorme.

Spesso, il prezzo lo faceva a seconda delle possibilità economiche del cliente. Una volta, andò ad aggiustare una lavatrice, si accorse che era irreparabile, come irreparabile era la condizione economica della vecchietta che lo aveva chiamato. Alberto non si perse di coraggio, andò dal papà, si fece prestare dei soldi e regalò una lavatrice nuova di zecca alla signora. Obiettivo raggiunto!!! E i soldi? Per chi ha un cuore grande, i soldi sono l’ultima cosa…

Per questo quando ci fu la possibilità di avere un lavoro più stabile, ad esserne contenti, furono prima di tutti i familiari e la ragazza con la quale stava progettando il matrimonio.

Poi ad un tratto, quel 20 luglio 1998, una vita da costruire che diventa una vita da immaginare! Ma non tutto è perso, non tutto è svanito. Ciò che ci resta non è poco, non è solo una targa impressa sullo stadio di Mugnano “alla Memoria di Alberto Vallefuoco”. Ci resta l’infinito amore dei suoi familiari, che con incommensurabile impegno ci hanno donato il ricordo di Alberto.

Ad Alberto è stato intitolato, oltre allo stadio, un presidio, una scuola. Di Alberto si parla nelle classi di ogni ordine e grado, nelle piazze, nelle associazioni. Di chi ha ucciso Alberto, dei complici, oramai, se ne è perso completamente il ricordo.

La Storia di Alberto continua ogni giorno ad insegnarci qualche cosa, ognuno di noi può prendersi ed immaginarsi il meglio per lui e per tutti noi. Io lo immagino, sorridente, a volare da un palo all’altro, si, sui campi di terra battuta, ma molto meglio di Fabien Bhartez.