Anna Pace, una donna amorevole, tenace, coraggiosa
di Tea Sisto
“È stata una mamma dolcissima e infaticabile, una nonna paziente e amorevole, un’amica discreta e sempre disponibile. Era stato facile per lei il passare da una condizione economica di benessere, quella dei primi anni di matrimonio, ad una vita di sacrifici, perché lei, vera gentildonna dall’animo nobile, era soprattutto umile. Non aveva mai messo piede in un ospedale, prima di quella maledetta volta. Anche i suoi cinque figli aveva voluto partorirli in casa. In tutta la sua vita non si era mai lamentata di nulla. Io, Angela, la penultima dei sui figli, sento ogni giorno la sua mancanza. Lei, mia mamma, non ha conosciuto la mia seconda figlia e la mia piccola nipote. E’ un grande dolore per me. Sarebbe stata la bisnonna più dolce del mondo. Le sue amiche, ed erano tante, la ricordano come una santa. La sua perdita è stata uno shock per tutti noi, ci ha letteralmente paralizzato”. Ecco, niente più delle parole di una figlia potrebbe spiegare tutto quello che c’è dietro il nome di una persona, una vittima innocente delle mafie. Dietro ogni nome c’è una storia vera, una vita e quella di Anna Pace era stata piena e intensa, fatta di impegno e di amore. Una vita da raccontare, da ricordare e onorare. Anna, di Fasano, in provincia di Brindisi, morì a 62 anni in ospedale, esattamente venti anni fa, il 12 ottobre del 1999, per le gravissime lesioni interne riportate in seguito a un terribile incidente stradale provocato dal furgone capofila di una colonna di mezzi blindati di contrabbandieri di sigarette. Una morte che lasciò nella disperazione il marito, Luigi Colucci, cinque figli, Franco, Elena, Ornella, Angela e Nicola, cinque nipotini che, all’epoca, avevano età comprese tra i sette e i sedici anni, l’intera comunità fasanese e non solo. L’”incidente” avvenne la sera del 5 ottobre 1999. Anna stava rientrando a Fasano dopo aver fatto visita ad una sua cugina che abita nella vicina frazione di Laureto. Alla guida della Fiat Ritmo c’era il marito. Con la coppia, un’altra cugina di lei. Arriva a grande velocità un’autocolonna di contrabbandieri. In testa un furgone Iveco Om (rubato nel Centro Italia), pieno zeppo di cassette di sigarette di contrabbando. Dietro altri due furgoni blindati della stessa banda di trafficanti di “bionde”. Sulla strada statale 172, tra salite e curve, il furgone di testa sbanda e invade l’altra corsia prendendo in pieno la Fiat Tipo guidata da un giovane operaio fasanese. Nella carambola viene coinvolta la Fiat Ritmo sulla quale viaggia Anna con la sua famiglia. Tutti feriti, mentre i contrabbandieri lasciano furgone e cassette di sigarette sparse sull’asfalto per darsi alla fuga. Poco dopo arrivano gli altri contrabbandieri. Non si preoccupano dei feriti e dei lamenti. Raccolgono le cassette di sigarette e fuggono via. Anna e gli atri feriti vengono soccorsi da automobilisti di passaggio. Anna ha riportato molte fratture devastanti: nell’impatto, il cruscotto dell’auto sulla quale viaggiava le aveva quasi spaccato il torace. Dopo una settimana i medici vorrebbero dimetterla. Ma lei non si sente affatto bene. Chiede di restare. Ed è in ospedale che muore il 12 ottobre.
Solo un anno dopo, nel corso di un’operazione della Guardia di Finanza, denominata Gran Premio, che portò in carcere 35 persone tra le quali non solo contrabbandieri ma anche quattro carabinieri di Fasano che accettavano tangenti in cambio di comunicazioni riservate ai trafficanti, grazie alle intercettazioni telefoniche, le forze dell’ordine individuarono l’autista del furgone di sigarette che aveva provocato la tragedia e ucciso Anna. Pietro Sibilio, reo confesso, fu arrestato, processato e condannato per omicidio aggravato.
Anna poteva parlare il giorno dopo l’incidente. Era convinta di potercela fare. Era sopravvissuta. Ai giornalisti che l’andarono ad intervistarla in ospedale disse, senza tentennare neanche per un secondo: “Non sono più contrabbandieri, ma assassini”. Una frase ripetuta, tra le lacrime, dal marito, Luigi Colucci, imbianchino e suo coetaneo, il giorno della sua morte: “Ammazzano persone innocenti per guadagnare centomila lire”. Luigi aveva sul viso ancora i segni di quel terribile impatto con il furgone dei contrabbandieri, killer della strada senza scrupoli per le vite altrui. “Avevo lasciato mia moglie a mezzogiorno con la promessa di rivederci in ospedale nel pomeriggio. Non ho fatto in tempo a riabbracciarla”.
Ecco una piccola parte di ciò che c’è dietro un nome. Ecco chi era Anna Pace, una donna amorevole, tenace, coraggiosa. Una vittima innocente che nessuno potrà e dovrà mai dimenticare.