11 gennaio 1994
Melito di Napoli (NA)

Rosario Mauriello

I sogni, le speranze e i progetti di vita di Rosario e della sua famiglia si schiantarono tragicamente contro la cultura di morte della camorra, contro i suoi codici di violenza.

La camorra, si sa, ha i suoi codici e i suoi immaginari. Addirittura nel tempo ha costruito un suo vocabolario. È una questione importante e delicata, perché spesso sono proprio questi codici e questi immaginari ad alimentare la percezione distorta che se ne ha all’esterno, talvolta addirittura enfatizzando un velo di fascinazione. Ecco, la parola “specchiettista” è uno di questi codici, un lemma di questo dizionario di morte e violenza che la camorra ha costruito. Chi è lo specchiettista? Che ruolo ha? Nel gergo mafioso gli specchiettisti sono quelli che, senza dare nell'occhio, hanno il compito di avvisare il gruppo di fuoco, pronto a compiere un agguato, che l'obiettivo del raid è in zona. Dal suo “via libera” dipende insomma l’azione di morte. Ma, naturalmente, anche gli specchiettisti possono sbagliare.

Ecco, Rosario Mauriello morì per questo. Per un errore dello specchiettista. Perché lui con l’azione di morte che ne troncò tragicamente la vita - e con le ragioni che l’avevano determinata - non c’entrava assolutamente nulla. Lui, Rosario, era un ragazzo di 21 anni, onesto e perbene. Altri sogni, altre ambizioni, altri percorsi di vita. 

Rosario Mauriello era nato nel 1973. Viveva con la sua famiglia a Melito di Napoli, un paesone di quasi 40 mila abitanti alla periferia nord di Napoli, ai limiti dei quartieri di Scampia e Secondigliano. Era arrivato dopo 4 anni di matrimonio, un figlio voluto e desiderato e poi era nata anche la sua sorellina, lucrezia. La sua era una famiglia onesta, il papà impiegato delle Poste e mamma Teresa casalinga, e così era venuto su anche lui. Un ragazzo normalissimo, il volto incorniciato da lunghi capelli castani raccolti dietro al collo, per questo gli amici lo avevano soprannominato capa bianca, due penetranti occhi scuri. Sognava di fare il poliziotto, elemento questo che sembra già da solo raccontare i valori ai quali era stato educato, a partire da un profondo senso della giustizia e della responsabilità. Quella stessa responsabilità che lo portava spesso, benché ancora un ragazzo, a occuparsi e prendersi cura di sua nonna, presso la cui casa si trasferiva anche per periodi piuttosto lunghi. E poi c'era il calcio, la sua grande passione. Ecco, era questa la vita semplice di questo ragazzo di 21 anni, con i suoi sogni, le sue speranze e i suoi progetti di vita. 

L’11 gennaio del 1994

Tutto questo - sogni, speranze e progetti di vita, suoi e della sua famiglia - si schiantò tragicamente contro la cultura di morte della camorra, contro i suoi codici di violenza. 
Il giorno 11 gennaio del 1994 era un martedì. Faceva particolarmente freddo quel pomeriggio. Rosario era in strada, tra via don Raffaele Abate e via Aniello Marrone, assolutamente inconsapevole di quello che, di lì a pochi minuti, sarebbe accaduto. Il ruolo chiave, in questa storia assurda e tragica, ce l’ha proprio lo specchiettista, un ragazzo giovane, figlio di un imprenditore locale, arruolato dalla camorra proprio con il compito di indicare ai killer la presenza sul posto della vittima dell’agguato che era pronto per essere eseguito. Ma quel ragazzo giovane sbagliò. Strinse la mano a Rosario, che non c’entrava nulla. Il segnale era chiaro. Il gruppo di fuoco dei Di Lauro – il clan che, in quegli anni, esercitava indisturbato il proprio dominio nell’area a nord di Napoli, alimentando un mercato della droga che fruttava più di 500 mila euro al giorno e che aveva reso Secondigliano il più grande mercato della droga all'aperto d'Europa - entrarono immediatamente in azione. Gli spararono a freddo, senza che Rosario potesse accorgersi di niente e nonostante, a quanto pare, lo specchiettista, accortosi di quello che aveva determinato, gli gridasse di fermarsi. Ma ormai era troppo tardi. Rosario non ebbe scampo. 

L’indomani i giornali parlarono dell’ennesimo “omicidio di camorra a Melito”. Lo fecero peraltro attribuendo al ragazzo amicizie e frequentazioni che in realtà non aveva mai avuto. Insomma, il solito meccanismo: se era stato ammazzato così, qualcosa doveva pure aver fatto. Ma Rosario non aveva fatto niente. I suoi familiari lo gridarono sin da subito che era innocente, che non aveva niente a che fare con quella gente, con chi lo aveva ammazzato. Gli schizzi di fango non si fermarono e ci sono voluti 24 anni per far venire fuori la verità. 

Nell’ottobre del 2017 Maurizio Prestieri parla di questa storia tragica. Lui - potente boss del Rione Monterosa di Secondigliano, riconosciuto da tutti come la persona più fidata di Paolo Di Lauro - era finito in galera nel giugno del 2003. Dopo quattro anni di carcere decide di collaborare con la giustizia. Parla a lungo anche con Roberto Saviano, con cui si incontra in una località segreta per registrare una puntata del docufilm “Kings of Crime”. In un passaggio di questa lunga intervista c’è la verità sulla morte di Rosario Mauriello.

“Si doveva ammazzare un ragazzo perché questo dava fastidio ai nostri cantieri delle famiglie a Marano. Ci troviamo a Melito, traversa Marrone. Io sto giù, da appoggio logistico, vicino alla scena del crimine e c’era il nipote di un imprenditore che conosceva la vittima, mentre noi la vittima non la conoscevamo. Per il nipote di questo imprenditore il segnale era dare la mano. Era tutto pronto, si aspettava solo che arrivasse questo che gli desse la mano. Arrivò un ragazzo (Rosario Mauriello, ndr). Questo stupido gli tende la mano. I killer scendono e cominciano a sparare. Mentre sparano, lui grida “no no!”. Il ragazzo a terra era ancora in vita. Il killer con la pistola non sa cosa fare, prende e gli spara altri quattro colpi e lo finisce. La cosa che mi ha colpito di questa storia più di tutto è che la mamma di questo ragazzo - ricordo che era impiegata alle Poste - andò in più di una trasmissione a dire che suo figlio non era un camorrista. Ma nessuno le credette”.
Maurizio Prestieri - collaboratore di giustizia

Noi della famiglia lo abbiamo sempre saputo, ora però lo sanno tutti. All’epoca dell’omicidio ne dissero di cotte e di crude, ora è stato riconosciuto che, invece, Rosario è una vittima innocente. Un sospiro di sollievo per i suoi genitori, che oggi sono anziani”.

Dichiarazione alla stampa dei familiari di Rosario Mauriello

Vicenda giudiziaria

Nonostante l’impegno di Prestieri a raccontare tutto quello che sapeva su quella tragica vicenda, non c’è stata nessuna verità processuale. Resta la memoria di questa ennesima giovane vittima innocente, un ragazzo di 21 anni con il sogno di diventare poliziotto, assassinato dalla violenza senza freni della camorra. 

Memoria viva

Ventiquattro anni per riconoscere che quella madre aveva ragione, che suo figlio era una vittima innocente. Rosario è stato riconosciuto vittima innocente della camorra.
Nel 2018 il Comune di Melito ha deliberato di intitolare la Villa Comunale al giovane. 

Nei primi tempi, subito dopo l'omicidio di Rosario, mia madre implorava gli inquirenti perché scovassero i motivi di quell'assurda uccisione. Ricordo l'allora capitano Cortellessa, al comando della compagnia carabinieri di Giugliano, a cui erano affidate le indagini, quando diceva che dalle carte in possesso dell'Arma non risultava nulla contro il ragazzo. L'ufficiale parlava a mamma prendendola per mano. Era un modo per confortarla, un gesto di tenerezza.
 
Lucrezia - sorella di Rosario