7 aprile 1992
Bianco (RC)

Stefano Ceratti

Stefano Ceratti era un medico, un politico, un uomo di cultura e dal grande rigore morale. Non riusciva a tollerare quel clima di diffusa illegalità che si respirava all'interno delle istituzioni cittadine: clientele, affari loschi, legami equivoci. Un malaffare che trovava espressione in un uso distorto delle risorse pubbliche, in particolare nel settore degli appalti. Per lui tutto questo era intollerabile e andava denunciato

Quella del medico di base è stata sempre una figura di riferimento nelle comunità, soprattutto in quelle più piccole. Una vera e propria istituzione. Un po’ come il sindaco, il parroco, il farmacista.

Ecco, la famiglia Ceratti aveva rappresentato questo per Bianco e Caraffa del Bianco, due piccoli comuni sulla Costa dei Gelsomini, fascia ionica di Reggio Calabria, a una ottantina di chilometri ad est del capoluogo. Una famiglia di professionisti che aveva prestato al paese il suo servizio attraverso figure diventate punti di riferimento: il medico, il farmacista, il sindaco. Stefano aveva seguito questa scia, anzitutto come medico e poi come politico. 

Stefano Ceratti era nato a Caraffa il 26 marzo del 1937. Suo padre Umberto era stato direttore delle Poste e poi, negli anni ’70, era diventato sindaco del paese. Una famiglia da sempre attiva nel sociale. Lui, Stefano, come del resto i suoi fratelli Pasquale e Adolfo, era stato educato ai valori cattolici. Aveva frequentato le scuole superiori, fino alla licenza ginnasiale, presso l'Istituto dei Salesiani a Soverato, poi il liceo classico "Campanella" a Reggio Calabria e infine l’Università, prima a Messina e poi a Torino, specializzandosi in Cardiologia presso l'Università di Napoli e in Igiene generale a Messina, dove si era perfezionato anche in Bronchiologia.

Aveva iniziato la sua attività di medico all'Ospedale di Melito di Porto Salvo, per poi passare a quello di Locri. Infine la scelta di dedicarsi alla medicina generale. Stefano era anzitutto un medico e anche sul lavoro era un uomo scrupoloso, attento, intransigente, rigoroso.

Lo stesso rigore con il quale aveva educato i suoi tre figli - Umberto, Pasquale e Giuliana - nati dal matrimonio con Anna Maria Nicita. I due si erano sposati nel 1971. Lei era la Preside della Scuola media di Gerace, una quarantina di chilometri più a nord sulla Costa dei Gelsomini. Dai racconti dei suoi figli emerge la figura di un uomo premuroso e affettuoso ma molto rigoroso. Pretendeva il massimo dai suoi figli, a scuola come nella vita.

L'impegno politico

Ma è al suo impegno politico che bisogna guardare per trovare la chiave di lettura di questa storia. Una storia drammatica, in cui la violenza delle cosche è un elemento tragicamente ricorrente. La famiglia Ceratti aveva già conosciuto il lutto e il dolore, quando, nel 1978, Umberto era stato assassinato senza pietà. Un omicidio rimasto impunito. Fu dunque anche per raccogliere il testimone di suo padre che Stefano decise di darsi attivamente all’impegno politico.

Sin da ragazzo, aveva coltivato una profonda passione per la politica. Una lunga militanza, dapprima tra i giovani della Democrazia Cristiana e poi con un impegno sempre più intenso anche nelle istituzioni. Era un cattolico molto credente ma anche profondamente critico nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche. La sua era una visione dinamica, attiva, militante della fede. La cultura cattolica era per lui un riferimento imprescindibile, ma era soprattutto alle sue implicazioni nella concretezza delle dinamiche sociali e politiche che guardava con particolare attenzione. Leggeva molto, riempiendo gli scaffali della sua biblioteca di riviste, libri, saggi.

In seguito divenne segretario della DC di Caraffa e poi fu eletto in Consiglio comunale, indicato dai suoi colleghi come capogruppo di minoranza. Fu una battaglia politica dura quella di cui si assunse la responsabilità. Stefano non riusciva a tollerare quel clima di diffusa illegalità che si respirava all’interno delle istituzioni cittadine: clientele, affari loschi, legami equivoci. Un malaffare che trovava espressione in un uso distorto delle risorse pubbliche, in particolare nel settore degli appalti. Per lui tutto questo era intollerabile e andava denunciato. E lo denunciò. Sui manifesti affissi in città, nei suoi interventi in Consiglio comunale, nelle sue lettere al Prefetto, ai magistrati, persino al Presidente della Repubblica.

In terra di ‘ndrangheta cose del genere non passano inosservate e, soprattutto, non possono restare impunite

Ci avevano provato già nel 1984, con un agguato in cui rimasero coinvolti Stefano e i suoi due fratelli. Fortunatamente tutti uscirono illesi. Poi un mese dopo fu preso di mira Pasquale, la cui auto fu crivellata di colpi. Anche in questa circostanza però senza conseguenze.

Il 7 aprile del 1992

Il 7 aprile del 1992 Stefano era nel suo ambulatorio di Bianco. Con lui c’era un paziente, Bruno Moio, disteso sul lettino. Aveva da poco finito di eseguire un elettrocardiogramma, che in quel momento Stefano teneva tra le mani. L’azione del killer fu fulminea. Entrò nello studio a volto scoperto e armato di una calibro 7,65 esplose tutto il caricatore all’indirizzo del medico, che non ebbe scampo. 5 colpi diretti alla testa. Stefano morì sul colpo, a 55 anni.

La vicenda giudiziaria

L’omicidio colpì profondamente l’opinione pubblica. Si pensò che la testimonianza dell’anziano paziente presente al momento dell’agguato potesse consentire di chiudere velocemente il cerchio attorno al killer. Ma non fu così, perché l’uomo si rifiutò di collaborare, dichiarando di essersi rannicchiato di spalle, di non aver visto in faccia l’assassino. Per questa reticenza, fu anche arrestato con l’accusa di favoreggiamento. E l’omicidio di Stefano rimase a lungo impunito, proprio come era accaduto per suo padre. Si pensò anche a motivazioni legate all’attività di piccoli imprenditori dei Ceratti, proprietari di alcuni prestigiosi vigneti. Ma su questa, come su altre piste battute dagli inquirenti, nessuno riscontro.

La svolta arrivò solo nel 2009, 17 anni più tardi. 10 anni prima, nel 1999, a chilometri di distanza da Caraffa, era finito in manette un uomo ritenuto legato alla cosca dei Pelle di San Luca. Si chiamava Sergio Prezio ed era di Montalto Uffugo, un paese a più di 200 chilometri da Caraffa. Fu bloccato dalle Forze dell’Ordine con addosso un modesto quantitativo di eroina. Una volta dietro le sbarre, Prezio decise di collaborare con la giustizia. Dai suoi racconti, affiorò anche la vicenda dell’omicidio Ceratti. L’uomo raccontò di quell’agguato mortale con dovizia di particolari, autoaccusandosi dell’omicidio. I dettagli delle sue deposizioni convinsero gli inquirenti che quel racconto era credibile e che davvero era stato lui a uccidere il medico. Poi, dopo una prima fase di collaborazione, Prezio improvvisamente ritrattò tutto, decidendo di uscire dal programma di protezione. Ma ormai gli elementi nelle mani degli investigatori erano sufficienti a istruire un processo.

Così, il 6 giugno del 2009, Prezio fu raggiunto da un ordine di cattura mentre già era in carcere a Vibo Valentia per altri reati. L’accusa era quella di avere assassinato Stefano Ceratti su ordine dei Pelle di San Luca, nella logica di uno scambio di favori tra cosche di ‘ndrangheta che disvelò una volta di più la struttura federata della mafia calabrese. Il 12 luglio dell’anno successivo, la condanna a 30 anni, confermata nel 2011 anche in Appello e, successivamente, in Cassazione. Le motivazioni della sentenza sono chiarissime nel ricondurre la morte di Stefano ad un delitto di matrice politico-mafiosa. Stefano - come dichiarò Prezio - “dava fastidio” e andava punito per il rigore e l’intransigenza del suo impegno pubblico. I mandanti, individuati nella cosca dei Pelle, non sono mai finiti sotto processo.

Memoria viva

Mio padre era anzitutto un medico. Ha dedicato tutta la sua vita alla professione medica, che ha svolto con grande passione.
E poi aveva un hobby, che era quello per la politica. Avendo studiato presso i Salesiani ed essendo cresciuto in un’epoca di grande sviluppo ed evoluzione sociale in tutta Italia, aveva maturato idee in cui credeva fortemente, pur avendo molto rispetto delle idee altrui.
Si dedicava a fare politica nel piccolo contesto in cui viveva e lo faceva con grande passione. Passione che, da come è emerso nel processo, alla fine gli è costata la vita
Pasquale - figlio di Stefano

Quando suo padre fu barbaramente assassinato, Pasquale aveva 18 anni. Crescendo, ha deciso di raccogliere il testimone di suo padre, laureandosi in medicina a Ferrara e poi decidendo di tornare a vivere in Calabria. Ha riaperto, dopo anni, lo studio medico di suo padre e, come suo padre, si è prestato alla politica, arrivando a ricoprire importanti incarichi pubblici nel suo paese. Nel 2016, da vicesindaco, è stato posto sotto tutela. Grazie ad alcune intercettazioni, gli inquirenti hanno scoperto un piano per ucciderlo. Lui è rimasto al suo posto.