13 dicembre 1990
Barbariga di Vigonza (PD)

Cristina Pavesi

Cristina era piena di voglia di vivere e di fare. Aveva sempre tanti impegni e tante passioni, soprattutto il teatro. Una tesi da scrivere e il sogno di trasferirsi a Bologna. Questa era Cristina, con i suoi sogni e i suoi progetti proprio lì, davanti a lei. Poi un'esplosione.

Cristina Pavesi nasce a Treviso il 4 settembre del 1968. Presto per via del lavoro di papà Luigi, la famiglia si trasferisce a Conegliano Veneto. Cristina ha un fratello più piccolo e gli anni dell’infanzia trascorrono felici.
Ha tanti sogni da realizzare Cristina, una ragazza timida, dolce e con la testa sulle spalle, ma sempre attiva ed entusiasta della vita. Va sempre di corsa, di fretta, perché ha tante cose da fare, tante cose a cui si dedica perché ha mille passioni e non vuole sprecare neanche un momento della sua vita.  L’arte e il teatro sono le sue grandi passioni. Ha una folta capigliatura bionda e mossa, dei grandissimi occhi azzurri, sguardo dolce e profondo e un sorriso tenero che le illumina sempre il volto. È bellissima Cristina e da molti è definita una ragazza speciale per la sua bontà e generosità. È molto legata alla sua famiglia e soprattutto a sua zia Michela, sorella del papà, con cui trascorre molto tempo e si confida sempre.
Terminati gli studi classici, si iscrive all’università di Padova e ha tanti progetti, perciò studia e non vede l’ora di laurearsi, per poter così iniziare a costruire il suo futuro. Il suo sogno è poter studiare al DAMS di Bologna.

Il 13 dicembre 1990

Il giorno di Santa Lucia del 1990 Cristina è andata in università per incontrare il professore, relatore della sua tesi di laurea. È una giornata importante perché devono scegliere l’argomento del lavoro di tesi e Cristina è tesa, ma allo stesso tempo emozionata. L’incontro va bene, il professore è entusiasta del suo percorso accademico e le assegna un argomento di tesi che le piace molto.
Finito quell’incontro Cristina si sente più leggera, sa che sta per coronare il suo sogno di laurearsi; è felice e sorridente mentre si accinge ad andare in stazione per prendere il treno che la riporterà a casa, a Conegliano.
Non vede l’ora di poter dare la notizia alla sua famiglia. Sale su quel treno regionale, si siede e non può fare a meno di immaginare il giorno della sua laurea. Immagina come papà e mamma saranno fieri ed emozionati, immagina il momento della discussione e poi la gioia della proclamazione e della festa con parenti e amici. È persa nei suoi pensieri felici con lo sguardo che si perde nel panorama fuori dal finestrino.
Un commando d’assalto comandato da Felice Maniero - capo della Mala del Brenta, organizzazione criminale nata lungo la Riviera - prende di mira il treno Venezia-Milano, un portavalori delle Poste. La banda ha deciso di assaltarlo e lo ferma all’altezza di Barbariga di Vigonza, a meno di dieci chilometri dalla città di sant’Antonio. Non a caso perché lì, in quel punto, i treni iniziano a rallentare.
A quel punto, gli uomini di Maniero, con un passamontagna calato sul volto, iniziano un’imponente sparatoria con la polizia ferroviaria. Ma ben presto decidono che è meglio usare qualcosa di più potente e devastante delle pistole: piazzano del tritolo sui binari per spezzare in due il vagone blindato e impossessarsi così del denaro trasportato. E quando l’ordigno viene azionato, però, a saltare in aria non è il vagone postale perché al momento della deflagrazione in quel preciso punto passa un altro treno: quello sul quale viaggia Cristina e che non arriverà mai a destinazione.
Sono circa le 18.30 quando, in quelle campagne padovane di Barbariga, si fa strada un rumore assordante, come un lungo eco e l’odore del bruciato misto al fumo, acre e intenso.
Cristina non arriverà mai a casa, non racconterà ai suoi dell’incontro con il suo professore e quella tesi non la discuterà mai: morirà infatti sul colpo, a 22 anni, sola, in mezzo alla carcassa di quel treno che avrebbe dovuto portarla a casa. I suoi sogni resteranno imprigionati lì, tra le lamiere roventi e le urla disperate di chi cerca di mettersi in salvo.
Altri passeggeri resteranno feriti ma, fortunatamente, in modo non grave.
Nella concitazione del momento, i mafiosi di Maniero riescono comunque a impossessarsi del bottino di 6 miliardi di lire e a sparire nella campagna veneta.

È stato terribile, terribile, come ci è stato detto dell’accaduto. Io ero a cantare e i suoi genitori la aspettavano per cena, a Conegliano, città dove si erano trasferiti per il lavoro di mio fratello, e invece si sono presentati alla porta i carabinieri e il parroco per dir loro che Cristina era morta. A casa mia c'era mia mamma e una giornalista ha chiamato per chiedere cosa fosse accaduto. Logicamente mia mamma non sapeva nulla, quindi è rimasta un po' confusa e la giornalista ha interrotto la telefonata. Ho capito che qualcosa doveva essere successo, anche perché per tre notti avevo fatto dei sogni strani. Il giorno prima che Cristina venisse uccisa, avevo sognato un lungo treno e io morivo, ma non ero io a morire. Ho telefonato subito a mio fratello, che mi ha avvisato di Cristina.
Michela Pavesi - zia di Cristina

Vicenda giudiziaria

Inspiegabilmente, l'omicidio di Cristina non sarà mai contestato a Felice Maniero e alla sua banda. Vengono condannati soltanto a tre mesi per la rapina. Vent'anni dopo uno degli assalitori del convoglio, Paolo Pattarello, dichiarerà: "È uno scandalo che nessuno di noi sia stato imputato per l’assassinio di Cristina Pavesi. Ci hanno contestato la rapina e io non sono mai stato condannato per quell'assassinio.”
E per lunghissimi anni, i magistrati che si occupavano del caso negavano che si potesse parlare di vittima di mafia perché, secondo la loro lettura, in Veneto la mafia non c’era; perché la banda di Felice Maniero, soprannominato “faccia d’angelo”, a capo della mala del Brenta, non era ritenuto al pari dei boss delle regioni del sud Italia.
E invece, alla fine, dopo lunghissimi anni, la banda di Felice Maniero è stata condannata proprio per associazione mafiosa e la mala del Brenta è stata assimilata a tutti gli effetti alle altre mafie.
Cristina e la sua famiglia aspettano però ancora giustizia.

Memoria viva

Il padre di Cristina morirà l'anno successivo, spezzato dal dolore. Da allora è la zia Michela che porta avanti la memoria della nipote.
In sua memoria il Comune di Campolongo Maggiore ha istituito il Concorso letterario per l’assegnazione di una borsa di studio dedicata a Cristina Pavesi, destinato a ragazzi e ragazze tra i 13 e i 19 anni, che prevede la redazione di un racconto breve sui temi della mafia.
La villa confiscata a Maniero, a Campolongo Maggiore, è oggi La casa delle associazioni Cristina Pavesi.