Giorgio Verdura nasce a Messina. Ben presto decide di entrare a far parte del corpo dei reali Carabinieri di cui farà parte, con orgoglio e dedizione, e ci resterà per ben 13 anni.
Giorgio si sposta spesso per lavoro e in uno dei tanti viaggi conosce una ragazza, Maria Lo Faso. I due, ancora molto giovani, si innamorano e si sposeranno poi subito, coronando così il loro sogno d’amore.
La loro vita scorre serenamente fin quando un’importante novità li travolge: con decreto del 31 maggio 1877, Giorgio è nominato sindaco del Comune di Santa Maria dell’Ogliastro, oggi Bolognetta (Palermo), per il triennio 1876-78.
Tale scelta viene giustificata del questore di Palermo dal fatto che Giorgio gode di stima da parte dell’intera opinione pubblica, ha una buona posizione economica e sociale e, pur essendo originario di Messina, ha in Ogliastro “una parentela stimata e piuttosto estesa”, avendo sposato Maria Lo Faso, originaria proprio di quel Comune. Inoltre - elemento niente affatto trascurabile - Verdura viene considerato estraneo alle due fazioni in lotta per il potere municipale e allineato su posizioni filo-governative.
La denuncia di Verdura
I primi anni dell’amministrazione di Verdura scorrono velocemente e senza intoppi fino a quando entra in crisi a causa del non piegarsi di Giorgio a forme di condizionamento esterno. A partire dal 24 luglio 1878, infatti, invia alle autorità della provincia e del circondario una circostanziata denuncia contro i fratelli Antonino e Rosario Benanti, i fratelli Giovanni e Giuseppe Monachelli, il medico Antonino Calivà e il notaio del paese, tutti appartenenti al cosiddetto “partito Benanti”. Verdura li accusa di star ideando il suo assassinio e quello del farmacista Lorenzo Bannò, così come della devastazione nelle proprietà di campagna di Ignazio Romano, collettore delle imposte e tesoriere comunale. Gli esecutori materiali del progetto criminoso sono indicati da Giorgio in Giampaolo Natale di Rosolino e Francesco Di Fresco, dietro la promessa di 300 lire di ricompensa. La coraggiosa denuncia del Sindaco contraddice la presunta generale omertà dei siciliani, segnalata qualche anno prima dalla celebre inchiesta degli aristocratici toscani Franchetti e Sonnino, secondo cui nell’isola “nessuno denunzia, nessuno porta testimonianza, nemmen l’offeso”.
E la reazione all’esposto da parte dei fratelli Benanti non si farà certo attendere, è anzi forte e decisa. Meno di dieci giorni dopo inviano un’infuocata contro-denunzia al Prefetto di Palermo: viene descritta l’ascesa del Sindaco diventato - a loro parere - tale perché ritenuto persona al di sopra delle fazioni locali, seguita dalla delusione da parte dei notabili del paese per il comportamento di Verdura. Quest’ultimo infatti, secondo il loro scritto, una volta diventato Sindaco, si sarebbe montato la testa, mostrando di “aver fatto troppo sciupìo della fortunata autorità per caso acquistata”, e viene accusato di aver perseguitato onesti cittadini con “ingiuste misure di rigore”.
A seguito di questa denuncia, il Prefetto invia un funzionario a Ogliastro per ascoltare direttamente da Giorgio la sua posizione rispetto a tali gravi accuse e decide di aprire un procedimento penale, alla fine del quale la Prefettura si riserva di prendere gli opportuni provvedimenti. Giunti al termine di tali indagini, il funzionario si convince che l’esposto del Sindaco sia da attribuire al clima infuocato instauratosi nell’ambito amministrativo, in cui “vari partiti si contendono accanitamente il governo della cosa comunale, non rifuggendo dai più biasimevoli maneggi e dalle arti più basse e malvagie per raggiungere l’intento”. Si ritine inoltre che la lotta tra le due fazioni ha prodotto un grave disordine nel Comune, un malcontento generale degli abitanti nei confronti degli attuali amministratori, particolarmente verso il Sindaco, giudicato perciò un uomo pusillanime e assai limitato di capacità, che non offre sufficienti garanzie di buona gestione. In base a tale relazione, il rappresentante del Governo perviene quindi alla conclusione che quanto scritto da Giorgio nella sua denuncia sia stata una menzogna, dettata da rimorsi di parte e da ragioni di inimicizia personale. Alla luce di tale quadro, perciò, lo stesso decide di chiedere la rimozione di Verdura dall’ufficio di Sindaco.
Per i sei mesi successivi viene così inviato in paese un delegato straordinario, nella persona dell’avvocato Eugenio Dionese, che si mette all’opera per affrontare le questioni amministrative più urgenti, giungendo poi a nuove elezioni.
Nel frattempo, Giorgio Verdura, non più sindaco ma semplice consigliere comunale, si convince a ritrattare la denuncia: forse per amore di pace, oppure nell’illusione che la pubblicità del complotto ne scoraggiasse gli ideatori, o, ancora rassegnato di fronte alla difficoltà a essere creduto dalle superiori autorità.
Ma i fatti daranno ben presto ragione a quella denuncia di Giorgio.
L’attentato
Mercoledì 7 maggio 1879, sul far del giorno, Verdura si sta recando a Palermo a piedi con un gruppo di compaesani, forse al seguito dei carrettieri che partono all’alba in gruppo. Nel corso del cammino, accompagnato a tale Vincenzo La Barbera, l’ormai ex sindaco si distanzia dalla comitiva di circa trecento metri e poi, all’improvviso, da un campo coltivato a frumento, vengono sparati innumerevoli proiettili di fucile, alcuni dei quali andranno a segno, colpendolo gravemente alla gamba destra e alla coscia sinistra. Vincenzo si getta subito a terra, mentre dal gruppo un altro consigliere comunale risponde al fuoco costringendo il killer a darsi alla fuga verso la campagna.
Giorgio viene immediatamente soccorso e portato all’ospedale più vicino, ma le sue ferite sono troppo gravi e morirà solo alcune ore dopo, non prima però di aver parlato con i parenti e gli inquirenti, raccontando tutto ciò che ha visto e che sa.
Si interrompe così la sua giovane vita, lasciando sola la sua amata moglie Maria, di appena 27 anni e infrangendo il loro sogno di diventare genitori.
In base alle sue dichiarazioni però il giudice è in grado di emettere subito un mandato di cattura, prontamente eseguito dai Carabinieri nei confronti di Ficarrotta Giuseppe e Giuffrida Giuseppe, entrambi sospettati dell’omicidio.
Il contesto storico e le indagini sull’omicidio
Il 9 maggio il Giudice istruttore convoca tre persone: Francesco Lo Brutto, che aveva difeso a mano armata l’ex sindaco, Antonino Verdura, fratello del defunto, e Maria, la vedova di Giorgio.
Gli ultimi due indicarono Ficarrotta come autore materiale del delitto, con la complicità di Giuseppe Giuffrida, mentre i mandanti, a loro dire, erano da individuarsi nei noti fratelli Benanti. Infatti, così come aveva denunciato Giorgio circa dieci mesi prima. Secondo i familiari del defunto, Ficarrotta sarebbe stato informato del programma di Giorgio di partire quel mattino alla volta di Palermo da Giuffrida, persona di fiducia di Lo Brutto, l’unico a sapere in anticipo del viaggio. Il fratello e la moglie della vittima riferiscono inoltre al magistrato che il giorno dell’assassinio lo stesso Giuseppe Giuffrida aveva fatto suonare a morte le campane della chiesa di Ogliastro.
A seguito di tali rivelazioni, i familiari di Giorgio divengono oggetto di pesanti intimidazioni da parte dei fratelli Benanti. Come prima cosa Antonino Benanti, facente adesso funzione di sindaco, applicando alla lettera le norme vigenti, revoca subito la licenza di “spaccio privilegiato” al fratello di Giorgio, che aveva chiuso l’esercizio commerciale nei giorni del lutto, concedendola a una persona a lui vicina. Come se non bastasse, soli venti giorni dopo, il notaio Vincenzo Benanti, vedendo uscire da casa la vedova e il fratello di Giorgio per recarsi a testimoniare in Questura, rivolge loro a voce alta pesanti e pubbliche intimidazioni, accusandoli di volere, con le loro confessioni agli inquirenti, gettare fango su innocenti abitanti del paese. Il comportamento minaccioso e scorretto dei Benanti viene però fortunatamente rilevato dal Questore di Palermo che, in una nota riservata al Prefetto, gli fa notare come si voglia compromettere il sereno e regolare svolgimento delle indagini, intimidendo e minacciando gli unici testimoni.
I giorni passano e grazie al costante e tenace lavoro degli inquirenti e al coraggio della famiglia che non si lascia intimidire, presto si riesce a scoprire che i killer erano due e che il complice era Monachelli Giovanni, persona che in passato era stato licenziato da scrivano del municipio proprio su proposta di Giorgio. Quest’ultimo elemento, unito ai precedenti già riscontrati, induce così il Giudice istruttore di Palermo a emettere, in data 6 giugno 1879, mandato di cattura nei confronti di Giuseppe Monachelli di anni 29, e del fratello Giovanni, in qualità di complice dell’assassinio.
Ma, nel mese di agosto dello stesso anno, si verifica un’altra delle previsioni annotate da Giorgio nella denuncia scritta un anno prima di morire: vengono infatti tagliati 510 tralci di viti a danno di Romano Ignazio. Il Questore perciò scrive immediatamente al Prefetto rilevando che quanto accaduto corrisponde pienamente a quando in precedenza denunciato proprio da Giorgio, aggiungendo che lo stesso, solo 10 mesi prima, fu creduto un calunniatore e per questo destituito anche dalla sua carica di Sindaco. Il questore conclude poi la sua missiva affermando che “le famiglie Benanti-Monachelli, rappresentano in Ogliastro la maffia locale più audace e sanguinaria tanto più baldanzosa perché finora protetta da un vasto partito”. L’allora Prefetto concorda pienamente con tale analisi e propone per le persone in oggetto una stretta sorveglianza con domicilio coatto.