16 aprile 1987
Bova di Reggio (RC)

Paolo Ficara

Ci sono luoghi in cui anche accettare un passaggio da un collega di lavoro può costarti la vita. E' ciò che accadde a Paolo, un pomeriggio come un altro. Ucciso perché si trovava nell'auto con un suo collega, obiettivo dei killer.

La storia di Paolo Ficara inizia con un rapimento. Un rapimento, sia chiaro, nel quale Paolo Ficara non c’entrava nulla. Eppure, le conseguenze di quell’atto criminale sarà anche lui a pagarle, nel contesto di una faida intestina scoppiata tra i membri superstiti della banda che, qualche anno prima, aveva rapito la farmacista di Brancaleone Concetta Infantino, rilasciata pochi giorni dopo senza il pagamento di alcun riscatto. È questo episodio l’antefatto di questa storia tragica, che ha finito per coinvolgere un innocente, la cui unica “colpa” è stata quella di accettare un passaggio.

In terra di ‘ndrangheta può accadere anche questo. Succede così che, in alcuni momenti e in alcuni giorni, il confine tra la vita e la morte si fa talmente labile da non consentire di tenere il conto dei morti ammazzati, perché qui è così che si regolano i rapporti di potere tra le famiglie di mafia. Il 16 aprile del 1987 è proprio uno di questi giorni, nei quali non si fa neanche in tempo a stare dietro agli agguati che si susseguono: 5 morti nell’arco di un solo giorno. Tra di loro, c’è Paolo Ficara. Che, con questa storia di violenza e di morte, non aveva nulla a che vedere.

Concetta Infantino era una farmacista di Brancaleone, un paese di circa 4000 anime a una sessantina di chilometri da Reggio Calabria, sul litorale ionico della Costa dei Gelsomini, noto per essere diventato luogo prescelto delle tartarughe marine "Caretta Caretta”. Poco più a nord, c’è Africo. Scendendo lungo la costa, invece, si arriva fino a Bova. Ed è in questo pezzo di territorio della Locride, storicamente feudo di alcune delle più potenti famiglie di mafia calabresi, che si consuma la faida che costa la vita a Paolo e che è la conseguenza del rapimento di Concetta Infantino, avvenuto il 25 gennaio del 1983. Un rapimento anomalo, strano, con dinamiche tuttora misteriose, finito peraltro con il rilascio della donna avvenuto senza il pagamento di alcun riscatto pochi giorni dopo. Cosa sia accaduto esattamente, è difficile dirlo. Fatto sta che questo episodio è la scintilla che fa esplodere quella che è passata alla storia come la “faida di Motticella”, che, tra gli anni ’80 e ’90,  vide contrapporsi nei paesi di questo pezzo di Locride la ‘ndrina dei Palamara - Scriva - Mollica - Morabito da una parte, e quella dei Morabito - Palamara - Speranza, dall’altra. Una guerra spietata che lascia sul selciato oltre 50 vittime, frutto della guerra scaturita proprio dallo strano sequestro della farmacista e del quale furono ritenuti responsabili i Mollica. Ma, come si diceva, questo è solo l’antefatto.

Di tutto questo Paolo Ficara molto probabilmente non ne aveva neanche mai sentito parlare, se non in qualche racconto di paese riferito sotto voce. E in ogni caso, Paolo con questo ambiente non aveva mai avuto nulla a che fare. Era un operaio della forestale, incensurato, ed è così che trascorreva le sue giornate, semplicemente dividendosi tra il suo onesto lavoro e la sua famiglia, Maria Versace, sua moglie, e quattro splendidi figli: Caterina, Carmela, Agostino e Giuseppe. Una persona assolutamente normale, che mai si sarebbe aspettata di rimanere schiacciata in una guerra nella quale non c’entrava niente.

Il 16 aprile del 1987

Quel 16 aprile 1987 Paolo si era recato normalmente al lavoro. Ma quel giovedì non fu un giorno qualunque per quel pezzo di Calabria. Dalla mattina alla sera si contarono 5 morti ammazzati. Il primo, nella tarda mattinata, fu un trafficante di droga originario di Rosarno, Arcangelo d'Agostino, di 42 anni, freddato dentro la sua abitazione, nel quartiere Corea di Gioia Tauro. Poco più tardi, intorno alle 16.30, era stata la volta di Domenico e Antonio Morabito, padre e figlio, 52 anni il primo e 26 il secondo. Vennero ammazzati ad Africo Nuovo, in un agguato nel quale fu ferito gravemente anche Pasquale Favasuli, 50 anni. Erano tutti e tre operai della forestale, dunque colleghi di Paolo. L’ultimo atto di questa giornata tragica, in serata, sulla strada in costruzione tra Africo e Bova. Ed è questo ultimo atto che ha come protagonista non voluto Paolo Ficara. Terminato il turno di lavoro, Paolo aveva accettato un passaggio da un altro suo collega, Salvatore Morabito, anch'egli operaio forestale, settantenne. Erano saliti entrambi a bordo della Volkswagen Golf di Morabito per fare rientro a casa, dove però non arrivarono mai. Poco dopo, almeno due killer armati di fucili a pallettoni, spararono senza pietà contro l’auto, uccidendo sul colpo Salvatore Morabito e il povero Paolo. Aveva appena 48 anni. Vittima inconsapevole di una guerra che non gli apparteneva.

Memoria viva

Il nome di Paolo è ricordato, insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Paolo ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa a Paolo che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendoli vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.