Alfonso Sgroi nasce il 3 dicembre 1934. Aveva cinque fratelli e un’unica sorella, che adora. Anche da adulto, ogni volta che va a trovarla le porta un fiore. È sposato ed è papà di due splendide bambine. All’improvviso, e per cause non dipendenti da lui, si trova senza lavoro. Alfonso non sa stare senza lavorare e deve mantenere la sua famiglia, così non si perde d’animo e si mette subito alla ricerca di una nuova occupazione. Grazie alla sua caparbietà e al suo impegno trova lavoro come guardia giurata. Alfonso non ha mai tenuto un’arma in mano, ma nonostante questo non si abbatte; studia, fa corsi e, anche se non è semplice, impara a destreggiare con sicurezza un’arma da fuoco. Svolge il suo nuovo lavoro con dedizione e professionalità, consapevole delle responsabilità e dei rischi che corre. È così entusiasta di questa nuova opportunità, che regala ai suoi fratelli una sua foto in divisa per festeggiare. Ogni volta che la indossa, sua moglie lo guarda fiera e orgogliosa.
Lavora tutte le notti, senza mai lamentarsi. È sempre stato profondamente grato alla vita e sa che questo lavoro è una grande opportunità per lui e la sua famiglia. Finalmente, dopo tanti anni di lavoro notturno, ottiene un trasferimento: il servizio di vigilanza nelle ore d’ufficio presso la filiale della Cassa di Risparmio in centro, a Palermo.
Ogni sera al suo rientro a casa, è accolto dai baci e dagli abbracci delle figlie e della moglie e lui si diverte a far apparire magicamente delle caramelle per le sue figlie. È felice, dal suo sguardo si sprigiona una grande tenerezza nei confronti delle donne della sua vita, il suo bene più prezioso, il suo universo.
Il 26 aprile 1979
Alfonso in questa piacevole mattina di primavera è di servizio davanti alla sede della Cassa di Risparmio, in via Mariano Stabile, a Palermo. Come sempre svolge il suo lavoro con attenzione e professionalità, non fa mancare un sorriso a nessun cliente che si accinge a entrare in filiale ma, allo stesso tempo, controlla tutto con rigorosa concentrazione e accuratezza. Sono passate da qualche minuto le dieci, quando quattro uomini, vestiti come uomini d’affari, arrivano davanti alla banca. Due di loro restano fuori dall’istituto, mentre altri due entrano, passano nel vasto salone a pianterreno, dove si trovano gli sportelli per il pubblico, e salgono al primo piano, dove ci sono gli sportelli di cassa. Sono così ben distinti e tranquilli che si confondono con i numerosi clienti, in prevalenza anziani in attesa di riscuotere la pensione. All’improvviso e con grande disinvoltura e maestria estraggono due pistole. Uno di loro si apposta ai piedi della scalinata, in modo da aver sotto controllo anche i movimenti del piano terra, mentre l’altro si rivolge al cassiere intimandogli di consegnare le cassette con il denaro. Avviene tutto in pochissimi secondi e, non appena impossessatisi del denaro i rapinatori si accingono a scappare. Scendono le scale, ma in quel mentre Alfonso si accorge di loro e senza esitazione tenta di intervenire e di dirigersi verso di loro. Viene però subito bloccato dai due complici che erano rimasti all’esterno della banca. Ma Alfonso non ci sta, non può arrendersi e assistere inerme a quella rapina, vuole fare il suo dovere, vuole difendere le persone presenti nella banca e non vuole permettere che i rapinatori fuggano con il bottino, così si ribella ai due e ne scaturisce una violenta colluttazione. In quegli attimi concitati gli altri due rapinatori escono dalla banca e la situazione precipita; infatti, uno dei rapinatori appena usciti dalla banca, in poche frazioni di secondo e sotto gli occhi atterriti delle decine di persone che affollano la filiale, spara tre colpi di pistola rivolti ad Alfonso. Quei proiettili lo colpiranno in pieno petto e alla testa non lasciandogli scampo. A nulla servirà la disperata corsa al Pronto Soccorso della Croce Rossa di via Roma; Alfonso morirà durante il tragitto, all’età di 45 anni, lasciando sole la sua amata moglie e le sue due adorate bambine.
I quattro rapinatori nel frattempo fuggono su una Fiat 128, su cui li aspetta un quinto complice, non molto distante dall’ingresso della filiale; con loro porteranno un bottino di quasi cento milioni di lire.
Vicenda giudiziaria
La data del 26 aprile 1979 verrà poi identificata da Paolo Borsellino come “l’inizio della fine”.
Delle indagini se ne occupa sin dal primo momento il Capo della Squadra Mobile, Giorgio Boris Giuliano, esperto in faccende di mafia. Due giorni dopo la rapina, il 28 aprile, scopre il covo di corso dei Mille 196. Lì, sotto la copertura di un’officina che si occupa di tappezzeria per auto, si cela il luogo di ritrovo del clan con annesso un vero e proprio arsenale e, quando gli agenti di Polizia intervengono con un blitz, eseguono anche tre arresti eccellenti: quelli di Giovanni Greco, Rosario Spitalieri, Giovanni e Girolamo Mondello (tutti e quattro condannati poi anche come componenti della banda dei rapinatori). Non passeranno neanche 24 ore da quella brillante operazione che giungerà a Boris Giuliano la prima intimidazione.
Giuliano in quel periodo era intento a cercare di sventare i traffici di droga tra il capoluogo siciliano e New York e aveva intuito che l'assalto armato del 26 aprile, costato la vita ad Alfonso, aveva cambiato il corso degli eventi e il modo di procedere dei capi clan sui quali stava lavorando. Era riuscito a scoprire che la rapina alla Cassa di Risparmio era stata organizzata da Cosa Nostra, proprio dalla famiglia mafiosa di corso dei Mille e che due dei componenti del gruppo di fuoco, erano due mafiosi di alto rango come Pino Greco, detto Scarpuzzedda, e Pietro Marchese.
Tutte le sue intuizioni si rivelarono giuste. Giuliano aveva capito che il percorso da seguire per arrivare ai vertici dell’organizzazione era quello del denaro, così, grazie anche ad altre indagini, stava riuscendo a sventare il giro d’affari dei Corleonesi e la mafia doveva fermarlo. Infatti, il 21 luglio dello stesso anno, verrà freddato da Leoluca Bagarella, non potendo così più dare il suo prezioso contributo anche alla risoluzione del caso di Alfonso. Si conferma così la matrice mafiosa dell’omicidio di Alfonso e la centralità di quanto accaduto quel giorno dal punto di vista investigativo.
… l’operazione di polizia iniziata il 26 aprile 1979 a seguito dell’omicidio del metronotte Alfonso Sgroi in servizio dinanzi alla sede di Palermo della Cassa Centrale di Risparmio V.E., oggetto di rapina, e conclusasi nei giorni successivi con l’arresto di cinque dei presunti componenti la banda dei rapinatori Rosario Spitalieri, Giovanni Greco, Pietro Marchese, Girolamo e Giovanni Mondello – e con la scoperta del “covo”, luogo di riunione degli associati, in Corso dei Mille, ove erano stati rinvenuti e sequestrati micidiali armi, radio ricetrasmittenti, corpetti antiproiettile e denaro di sospetta provenienza.
Memoria viva
Il nome di Alfonso è ricordato, insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Alfonso ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa ad Alfonso che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendola vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.