Michele nasce a Palermo nel 1932. Sin da giovane nutre una grande passione per il bene comune e si appassiona alla politica. Così, ben presto, decide di entrare nel movimento giovanile della Democrazia Cristiana. Da qui inizia la sua intensa attività politica. Michele studia, si forma, ascolta i compagni più adulti, si confronta con tutti e rafforza le sue idee; è intelligente, attento e pragmatico, mosso da profonda passione tanto che nel giro di alcuni anni diventerà uno dei maggiori leader democristiani di Palermo. Infatti, presto presiederà l’amministrazione cittadina e poi quella provinciale e alcuni anni dopo Michele diventerà Assessore e Consigliere Comunale, carica che, grazie alla sua competenza e dedizione, ricoprirà per ben 15 anni.
Nel mentre della sua ascesa politica conosce una giovane ragazza, Marina, della quale rimane affascinato. Ha 30 anni quando si sposa con lei e da quell’amore dolce e profondo nasceranno tre figli.
Il suo spessore e il suo peso politico nel partito continuano a crescere tanto che nel 1976 viene eletto anche segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Palermo. Michele è ormai un personaggio popolare a Palermo, è estroverso, dinamico e lungimirante anche se, a volte, è troppo impulsivo. È uno dei principali fautori e sostenitori della costituzione della nuova maggioranza interna alla DC. Dopo la sua elezione, infatti, contribuisce insieme a Rosario Nicoletti, segretario regionale del partito, alla formazione della giunta Scoma, che rappresenta il primo momento di attuazione della politica di apertura alle sinistre. Agli inizi di marzo del 1979 poi, come segretario provinciale della DC stringe un accordo politico con il Partito Comunista - sono questi gli anni in cui Pio La Torre è tornato alla segreteria regionale del partito lasciando Roma - un accordo che, però, non riscuote l’entusiasmo e l’approvazione di grande parte suo partito; la maggioranza, anzi, si manifesta da subito contraria.
Il 9 marzo 1979
Il pomeriggio del 9 marzo dello stesso anno Michele partecipa al congresso provinciale del PCI esprimendo nuovamente la sua apertura verso i comunisti. Nel suo accorato intervento, ribadisce le linee guida della sua rivoluzione all’interno della Democrazia Cristiana, invitando i membri del PCI a una politica più unitaria. Poi, una volta terminato il congresso, con la sua amata Marina, va a cena da alcuni amici.
La serata trascorre serena e dopo le chiacchiere e le risate tra amici giunge l’ora dei saluti perché l’indomani l’attende un’altra giornata intensa di lavoro e di attività politica. Sono da poco passate le 22.30, quando Michele con sua moglie e una coppia di amici salutano i padroni di casa e si avviano verso la macchina di Michele, un’Alfetta 2000 blu da poco acquistata, parcheggiata in via Principe Paterno, per far rientro a casa. Il dottor Mario Leto, 43 anni, amico di infanzia di Michele ed esponente del PRI, si siede davanti, mentre dietro, sui sedili posteriori, siedono sua moglie Giulia affianco a Marina. Michele sta salendo in auto, lato guidatore, quando all’improvviso una Ritmo grigia affianca l’Alfetta e due giovani scendono, mentre un terzo rimane al volante. I due si avvicinano a passo svelto a Michele e, da distanza ravvicinata, gli sparano contro tre colpi secchi di calibro 38, che lo colpiscono al collo, alla testa e al torace e non gli lasceranno scampo. Michele morirà così, davanti agli occhi dei suoi amici e di Marina, con la quale aveva appena festeggiato diciassette anni di matrimonio, lasciando orfani i tre figli di undici, otto e quattro anni.
Vicenda giudiziaria
Gli assassini si danno subito alla fuga, a bordo di una Fiat Ritmo rubata poche ore prima; la targa applicata sull’auto risulterà più tardi appartenere a una Fiat 128, anch’essa rubata intorno alle 19 del giorno stesso del delitto. Di loro si perderà ogni traccia.
Un’ora e mezzo dopo l’agguato giunge una telefonata al Giornale di Sicilia. Una voce maschile, dall’altra parte della cornetta dice: «Siamo “Prima linea”, - uno dei gruppi armati del terrorismo rosso più attivi in questi anni - abbiamo giustiziato il mafioso Michele Reina.” E la comunicazione viene immediatamente interrotta. Poi, nella notte tra domenica e lunedì, due giorni dopo l’agguato, lo stesso quotidiano riceve un’altra telefonata anonima: «Non siamo stati noi di Prima Linea!», dice la voce di un giovane, prima di interrompere bruscamente la comunicazione. E poi ancora, il 12 marzo, un’altra telefonata con la quale si afferma: «Qui Prima Linea, non abbiamo giustiziato Michele Reina, anche se la mafia fa di tutto per addossarcelo!».
Due sono quindi le piste seguite dagli inquirenti, quella del terrorismo e quella della mafia, mentre si moltiplicano gli interrogativi e si intrecciano le supposizioni di chi propende per l’una o per l’altra tesi.
Sull’omicidio indaga il Capo della Squadra Mobile, Giorgio Boris Giuliano, esperto in faccende di mafia, che sarà però ucciso proprio da Cosa Nostra pochi mesi dopo, non potendo così più dare il suo contributo alla risoluzione del caso.
Una svolta nelle indagini arriverà soltanto il 16 luglio del 1984, dopo che Tommaso Buscetta inizierà a collaborare con la giustizia e racconterà a Giovanni Falcone che l'ordine di uccidere Michele Reina era arrivato direttamente da Salvatore Riina. E così, seppur solo 8 anni più tardi, il 22 aprile del 1992, a Palermo si aprirà il processo per i cosiddetti “omicidi politici” e tra questi anche quello di Michele. Nell’aprile del 1999, dopo i primi due gradi di giudizio, la Suprema Corte di Cassazione, ha confermato sia l’impianto accusatorio che le pene irrogate, condannando all’ergastolo Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Antonino Geraci. Il processo farà emergere che Michele era diventato il principale oppositore di Vito Ciancimino, sia nella lotta politica interna al partito sia rispetto alle disinvolte politiche nella gestione degli appalti relativi alla costruzione della nascente “Palermo2”, che avrebbero fatto fruttare a Cosa Nostra ingenti quantitativi di denaro. Michele, persona molto attenta e scrupolosa, si era opposto fermamente a questo modo di fare politica e, soprattutto, alle commistioni tra politica e mafia, pagando con la vita, vittima di un sistema politico affaristico mafioso che aveva nei Corleonesi e nella persona di Vito Ciancimino un punto di riferimento.
Michele è stato il primo politico ucciso dalla mafia; il 1979, sarà un anno tragico, un anno che sarà segnato da una lunghissima scia di delitti mafiosi, perché Cosa Nostra aveva deciso di alzare il tiro verso obiettivi simbolici dello Stato e della società civile.
Memoria viva
Il nome di Michele è ricordato, insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Michele ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa a Michele che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendola vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.
In quel tragico 1979, segnato da una lunghissima scia di delitti mafiosi, Cosa Nostra alzò il tiro verso obiettivi simbolici dello Stato e della società civile. Fu così che accanto a magistrati, investigatori, giornalisti, Michele Reina fu il primo uomo politico di rilievo a essere assassinato. L'obiettivo della mafia era colpire il tentativo di sottrarsi a condizionamenti e connivenze. Oggi che gli anni drammatici e tormentati degli attacchi alle istituzioni democratiche sono lontani siamo consapevoli del debito di riconoscenza e di ricordo nei confronti di persone che, come lui, hanno subito la violenza omicida a causa della fedeltà ai principi su cui si fonda la nostra Repubblica .