9 luglio 2009
Poggiomarino (NA)

Nicola Nappo

Questa è un'altra di quelle storie che proprio non si riescono a digerire. Lo sono tutte quelle delle vittime innocenti, naturalmente. Ma questa è una di quelle dove tutto appare enormemente più assurdo e insensato. La Campania, Napoli e la sua provincia, troppo spesso sono le scenario privilegiato di queste storie.

Perché qui è accaduto più che altrove di morire senza una ragione, per un errore, per uno scambio di persona, per una pallottola che non era destinata al corpo che ha dovuto subirla, alla vita che si è portata via. Quella di Nicola Nappo è una di queste storie. La sua vita una di quelle portate via, innocentemente, da una violenza cieca, folle, illogica. La violenza della camorra, che pensa di disporre della vita e della morte di chiunque, anche di un giovane di 23 anni che con queste storie non aveva nulla a che fare. 

Nicola, classe 1986, era un ragazzo perbene. Semplice, come la sua famiglia. Papà Mario e mamma Elisa erano due lavoratori della terra. Persone umili, oneste, che con il sacrificio e il sudore della fronte avevano sfamato e avviato alla vita i loro quattro figli. I primi ad arrivare erano stati Nicola e Antonio, due gemelli. A loro poi erano seguiti Giulia e un altro maschio, Andrea. A Poggiomarino, paesone di poco più di 20 mila abitanti a una trentina di chilometri da Napoli, tutti sapevano che quella era una famiglia di “faticatori”, gente che vive del proprio lavoro. Nicola, in particolare, ancora molto giovane aveva scelto di imparare un mestiere e contribuire così all’economia familiare. Aveva cominciato a lavorare come fabbro. Era stato educato a cogliere il valore e la dignità della fatica e lui interpretava con integrità questo valore. Era bravo Nicola, era onesto, e, soprattutto, aveva tutta la vita davanti a sé. 

Il 9 luglio del 2009

Piazza de Marinis è il cuore di Poggiomarino. È una piazza piccola e irregolare, sulla quale si affacciano una bella chiesa e la sede del Comune. Di lì, parte via Roma, uno stradone lungo costellato di negozi e botteghe. E panchine scure in pietra lavica. Sulla prima di queste panchine era seduto Nicola la sera del 9 luglio del 2009. Non era solo quella sera. Con lui, a chiacchierare sulla panchina, c’era una giovane ragazza, di poco più piccola di lui. Ciò che accadde poco dopo le 22.30 di quel maledetto 9 luglio è qualcosa che mai, neanche nel peggiore dei suoi incubi, Nicola avrebbe potuto immaginare. I due killer irruppero a sconvolgere per sempre la vita della famiglia Nappo. Avevano barbe finte a camuffare il volto e in mano una calibro 9. Senza dire nulla, con una violenza inaudita, esplosero sei o sette colpi di pistola all’indirizzo di Nicola. I proiettili lo raggiunsero al torace e al volto. Uno, di rimbalzo, colpì la ragazza alla gamba. Fu un inferno di fuoco, che non lasciò scampo a questo ragazzo perbene e innocente, che morì sul colpo. Lei, invece, sotto choc e ancora incredula, fu portata di corsa all’ospedale “Mauro Scarlato” di Scafati, dove le fu estratto dalla gamba il proiettile. Si salvò. La vita di Nicola invece si spense su quella panchina, quella maledetta sera di giovedì 9 luglio 2009.

Vicenda giudiziaria

Che Nicola fosse innocente lo pensarono tutti e subito. Era incensurato, lavorava, non aveva grilli per la testa. Si pensò a una rapina finita male, ma le modalità dell’agguato erano troppo violente per non essere ricondotte alla camorra, al suo modo di regolare i conti. Doveva esserci qualcosa di più: perché Nicola era stato ucciso? Perché avrebbe dovuto meritarsi di morire in quel modo a soli 23 anni? Gli investigatori capirono che a quelle domande bisognava dare una risposta, che a quella famiglia perbene bisognava dare una spiegazione, assicurare giustizia, consegnare una verità. Le indagini partirono immediatamente e ben presto si indirizzarono sulla strada giusta. Gli inquirenti andarono convincendosi sempre di più che ciò che pensavano era giusto: Nicola davvero non c’entrava nulla e quella morte doveva essere la conseguenza drammatica di un assurdo errore. Una tesi che, qualche tempo dopo, trovò conferma nelle dichiarazioni di Carmine Amoruso, un giovane all’epoca ventisettenne affiliato al clan dei Giuliano - Fabbrocino, attivo nelle zone di Poggiomarino e Ottaviano: “Nicola è stato ucciso al posto mio”. I due si somigliavano molto e, per giunta, la ragazza che quella sera era con Nicola - una semplice amica e non, come pure si era detto, la sua fidanzata - era l’ex di Amoruso. Una circostanza che deve avere ulteriormente ingannato i killer, inducendoli a uccidere Nicola. L’unica certezza, insomma, è che Nicola non doveva morire, non era lui la vittima designata. Amoruso sarebbe dovuto essere ucciso perché, poco tempo prima, aveva preso a schiaffi Sebastiano Sorrentino, figlio del boss Giuseppe, elemento di spicco del clan cosiddetto dei Campagnoli. A ordinare la sua esecuzione - dichiarò Amoruso - era stato Antonio Cesarano, 32 anni, anch’egli esponente del clan Sorrentino, che avrebbe peraltro prestato la sua auto ai killer per compiere l’omicidio. 

Cesarano è stato arrestato nel novembre del 2012 con l’accusa di essere il mandante dell'agguato. Il processo di primo grado, celebrato con rito abbreviato, si è concluso il 22 gennaio 2014, con la condanna all’ergastolo di Antonio Cesarano e l’assoluzione dell’altro imputato, Giovan Battista Matrone. Condanna e assoluzione confermati anche in appello, nel settembre del 2015. Poi, nel dicembre 2016, in Cassazione, l’annullamento e il rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli del processo. Processo che si è a sua volta concluso con la condanna a 20 anni di Cesarano. Infine, nel luglio del 2020, l’ultimo colpo di scena, con il secondo annullamento con rinvio del processo. A oggi dunque la morte di Nicola non ha ancora colpevoli condannati in via definitiva. Da oltre 10 anni, la sua famiglia - costituitasi parte civile insieme alla Fondazione Pol.I.S. della Regione Campania - continua a lottare per avere verità e giustizia. 

Memoria viva

Ma, nonostante tutto, la memoria di Nicola oggi è viva e dà frutti di speranza e cambiamento. Nel 2013, a Scafati, una manciata di chilometri da casa sua e dal luogo dell’omicidio, è nato il Presidio di Libera che ne porta il nome e che accompagna la famiglia nel suo percorso di impegno e testimonianza. Presidio che, nel 2017, ha dato vita al Concorso scolastico Nicola Nappo, con centinaia di studenti impegnati ogni anno a riflettere, nel nome di Nicola, sui valori della legalità, dell’accoglienza, dell’ambiente. Un anno prima, nel 2016, la sua storia era finita nel libro “Storie sbagliate” di Tonino Scala. Nel 2018, poi, l’ennesimo segno di una memoria più che mai viva, con l’intitolazione del Fondo agricolo Nicola Nappo, 12 ettari di terreno tra Scafati e Poggiomarino confiscati a Pasquale Galasso e subito diventati una straordinaria esperienza di riscatto e partecipazione. A Scafati, ogni estate, la storia di Nicola viene consegnata a decine di giovani che scelgono di dedicare una settimana del loro tempo ai campi di E!State Liberi! Segni di speranza, come si diceva, ma anche di forza per i familiari di Nicola. 

In occasione del 21 marzo 2021, Rainews ha mandato in onda lo speciale "La memoria riparte dalla terra. Un fondo agricolo per Nicola Nappo, vittima innocente della camorra".

Nicola era un ragazzo fantastico, speciale. Si faceva volere bene da tutti. Era un ragazzo che dava il cuore, dava tutto di se stesso. Ogni volta che vengo su questo Fondo (Fondo Nicola Nappo, ndr) provo una grandissima emozione perché rivivo le cose belle che i ragazzi fanno ma, soprattutto, rivivo la memoria di mia figlio.
Elisa Balzano - mamma di Nicola