Quella di Antonio Mazza era una vita piena di passioni. Lui le coltivava tutte con lo spirito combattivo che lo contraddistingueva in tutto ciò che faceva. Il teatro, il suo lavoro di ingegnere, la televisione, la pittura e il calcio. L’amore per il pallone lo aveva portato a diventare presidente della locale squadra di calcio. Quello, altrettanto se non più intenso, per la televisione come strumento di informazione e di verità, a rilevare una tv privata, TeleNews.
In realtà mio padre di calcio non capiva nulla, aveva rilevato la squadra di calcio per amore della sua città ma era davvero incompetente in materia! Era la voglia di fare qualcosa per il suo paese che lo aveva portato a lanciarsi in quest'avventura. Io sin da piccolo sono stato appassionato di calcio e ricordo che ero contento di poter andar a vedere le partite così come amavo la televisione. Dopo la morte di mio padre, nei periodi estivi, ho fatto prima il cameraman e poi il regista (anche se di bassissimo livello).
Barcellona Pozzo di Gotto è il secondo Comune per numero di abitanti della provincia di Messina. Per decenni feudo della Democrazia Cristiana, a Barcellona la mafia è sempre stata capace di fare affari e di influenzare la vita politica e il tessuto economico. Lo ha fatto per lo più in silenzio e in maniera sommersa. Eppure c’era la mafia a Barcellona, eccome. Una mafia capace di alleanze con boss di primo livello della ‘ndrangheta calabrese, della camorra e con gruppi mafiosi di altre aree dell’isola. Tra queste, in particolare la mafia catanese di Nitto Santapaola, che qui a lungo ha esercitato influenza e potere. E ha avuto anche la sua guerra di mafia Barcellona, a metà degli anni Ottanta, che ha lasciato sul selciato più di cento morti ammazzati.
L’esperienza di TeleNews
È qui che cresce Antonio Mazza. Cresce nello stesso quartiere di Beppe Alfano. Si conoscono dall’infanzia e condividono lo stesso amore per la verità e la giustizia. “Eravamo compagni di quartiere, siamo nati a cinquanta metri di distanza - dirà Antonio di Beppe in un’intervista alla Rai, le cui parole sono state riportate nel libro Gli insabbiati da Luciano Mirone. Era sposato Antonio, aveva una bella famiglia. Tre i figli nati da questo amore. Una vita piena.
Beppe denunciava questa realtà triste di questa città male amministrata da quarant’anni dalla stessa amministrazione a vocazione democristiana. Attaccava soprattutto il Palazzo, questo Palazzo che produce sottocultura, e quindi producendo sottocultura produce mafia, perché non c’è dubbio che il posto di lavoro che manca è potenziale mafioso. Il discorso che si faceva con Alfano era questo: "togliamo i ragazzi dalla strada, facciamoli lavorare e così togliamo manovalanza alla mafia, la quale, da sola, con i suoi generali, la guerra non potrà più farla”. È su questa convinzione e con questo spirito che i due si ritroveranno, nel 1990, a condividere l’esperienza di TeleNews. Antonio pensa a Beppe come direttore dei servizi giornalistici quando decide di diventare editore di quella televisione locale. Insieme, Antonio e Beppe, utilizzeranno a lungo quello strumento per mettere alle strette il potere, per denunciare infiltrazioni e connivenze, per smascherare i comitati d’affari, le inefficienze, i silenzi e le complicità. E così in poco tempo i servizi di cronaca di Alfano e gli editoriali di Mazza cominciano a produrre effetti, compresi blitz delle Forze dell’Ordine. Effetti e fastidio.
Su un punto però questi due vecchi amici proprio non si ritrovano: le idee politiche. Lui, Antonio, convintamente repubblicano L’altro, Beppe, vicino al Movimento Sociale Italiano. Ma neanche questa divergenza li distoglierà dal loro proposito quando, alle elezioni amministrative del 1990, decidono di dare vita alla lista civica Alleanza democratica progetto Barcellona. L’obiettivo è di costruire un governo trasversale, fondato sulla voglia di liberare la città dalla morsa opprimente di un sistema di potere logoro e logorante. Alla fine, la lista raccoglierà meno di 1000 voti, pochi anche per un solo consigliere comunale. Non resta che la tv, dalle cui frequenze i due continuano a diffondere notizie e denunce. Sono gli anni in cui Beppe passa a collaborare con La Sicilia, promettendo di non abbandonare l’esperienza di TeleNews, dove intanto Antonio Mazza prosegue il suo lavoro. Continuerà a farlo anche dopo l’omicidio dell’amico e collega Alfano, avvenuto la notte dell’8 gennaio 1993.
La sera del 30 luglio
Pochi mesi più tardi, la sera del 30 luglio, Antonio Mazza giocava a carte con due amici nella sua villetta di Contrada San Biagio, a Giammoro, pochi chilometri da Barcellona. La spedizione di morte si consumò in pochi terribili minuti, poco prima della mezzanotte. I due sicari arrivarono a bordo di una moto di grossa cilindrata e con il volto coperto da caschi integrali. Fecero irruzione in casa e spararono sull’ingegnere con la passione per la verità. Due colpi di fucile calibro 12 e quattro colpi di pistola calibro 38. Per Antonio non ci fu scampo. Aveva 45 anni.
Vicenda giudiziaria
Per anni esecutori e mandanti di quell’omicidio sono rimasti senza volto. Immediatamente gli inquirenti collegarono quella morte all’attività di Mazza, al suo amore per la verità, a TeleNews. E, soprattutto, all’amicizia con Beppe Alfano, alla possibilità che quella piccola tv locale aveva dato al giornalista di fare carriera e di cominciare a raccontare la mafia dalle colonne de La Sicilia. Ma doveva esserci dell’altro. E forse quest’altro furono gli interessi indicibili di una loggia massonica locale. Oppure fu lo scandalo che Mazza scoperchiò grazie a un’inchiesta su un finanziamento irregolare che la Igea Virtus, squadra di calcio che all’epoca era nelle mani della mafia barcellonese di Giuseppe Gullotti e Pietro Arnò, aveva ricevuto dal Comune. Le indagini avviate più tardi accertarono queste irregolarità, collegandole in particolare alla condotta di Arnò, poi a capo dall’AIAS - Associazione Italiana Assistenza Spastici di Milazzo, su cui a lungo condusse le sue inchieste Beppe Alfano e che per anni aveva ricevuto finanziamenti miliardari dalla Regione Siciliana.
C’è voluto il pentimento di Carmelo D’Amico per conoscere, molti anni dopo, di chi fosse la mano di uno degli esecutori. D’Amico, ex capo del braccio armato della mafia di Barcellona e non solo, arrestato nel 2011 nell’operazione Gotha, si è autoaccusato di questo e di un’altra quarantina di omicidi, indicando tra i vertici della famiglia di mafia dei Barcellonesi i mandanti del delitto di Antonio Mazza. I verbali con le dichiarazioni di D’Amico sono finiti nelle carte del processo Gotha 3. Raccontano dell’intreccio perverso tra mafia e massoneria. E raccontano anche di due vittime innocenti, due amici d’infanzia, nati a cinquanta metri di distanza e ammazzati a 6 mesi l’uno dall’altro. Solo perché amavano la verità. Il 17 gennaio del 2019 Carmelo D'amico è stato condannato dal Tribunale di Messina a 30 anni di reclusione.
Memoria viva
Il nome di Antonio è ricordato insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Sebastiano ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa ad Antonio che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendoli vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.