Quello pedagogico è un elemento connaturato a molti omicidi di mafia. È una vera e propria strategia del terrore alla quale le mafie hanno purtroppo fatto ricorso spesso. Nella follia e nella perversione del linguaggio mafioso, si può uccidere qualcuno per educare tutti gli altri. Nella maggior parte dei casi la vittima è scelta con cura, individuata e condannata a morte perché ha osato opporsi. Guardando al suo destino, tutti gli altri dovranno guardarsi bene dal compiere le stesse scelte. In altri casi però la logica mafiosa ha aggiunto assurdità ad atrocità, decidendo di non individuare la vittima per una sua precisa responsabilità ma di colpire, attraverso la vittima, la categoria alla quale apparteneva, affidando a un vero e proprio atto di terrorismo il suo messaggio pedagogico. Luigi Bodenza è morto così, non perché avesse compiuto chissà quale scelta, se non quella ovviamente di fare il suo lavoro con senso del dovere e onestà. Semplicemente e tragicamente, Luigi è stato colpito per colpire tutto il Corpo della Polizia Penitenziaria, al quale orgogliosamente apparteneva.
Luigi Bodenza era diventato agente penitenziario dopo un percorso che lo aveva portato da Enna, dove era nato il 26 settembre del 1944, a Milano, dove aveva lavorato come saldatore specializzato all’Alfa Romeo. In mezzo, un’esperienza di apprendista idraulico che, ancora giovanissimo, gli aveva consentito di ottenere un contratto di lavoro da una importante azienda del nord Italia impegnata nella realizzazione dei nuovi padiglioni dell’ospedale. Del resto Luigi aveva sempre lavorato. Dopo la licenza elementare, infatti, aveva frequentato la scuola di avviamento professionale con l’obiettivo di imparare un mestiere che gli consentisse di dare una mano alla famiglia e aiutare i suoi genitori a mantenere lui e i suoi due fratelli più piccoli. Imparava in fretta e, qualunque cosa facesse, vi si dedicava con passione e dedizione. Lasciò Milano dopo la chiamata alle armi e, terminato il servizio militare, fece ritorno a Enna.
Il matrimonio
È in questo periodo che, ottenuto il congedo, decide di tentare il concorso per l’ammissione nel Corpo degli Agenti di Custodia. Lo supera tranquillamente e, dopo l’addestramento, viene destinato al suo primo incarico presso la Casa Circondariale di Capraia, 19 chilometri quadrati di isola bagnata dal Mar Ligure e appartenente all’Arcipelago toscano. Un carcere piccolo, immerso nella natura selvaggia di questo pezzo di paradiso, chiuso definitivamente nel 1987. Dopo un paio d’anni di servizio a Capraia, la sua nuova destinazione è Catania. Ed è qui, tornato nella sua amata Sicilia, che conosce Rosetta Maugeri, una ragazza di Gravina di Catania, che ben presto diventerà sua moglie e che gli darà due splendidi figli: Paola e Giuseppe. Proprio a Gravina la famiglia Bodenza si stabilisce, in una casa modesta al quarto piano di una palazzina in via Caduti del Lavoro, a due passi dal centro.
Al netto della fatica per un lavoro non facile, in un carcere con oltre 750 detenuti, gli anni di servizio al carcere catanese di Piazza Lanza passano tutto sommato tranquilli, tra il lavoro e la famiglia. Luigi è un agente serio, ligio al dovere, limpido. Non accetta compromessi, non cede ai tentativi di stabilire, tra i detenuti, privilegi e corsie preferenziali. Sono anni però estremamente difficili e l’aria è pesante anche nelle carceri.
Il lavoro nelle carceri
Dopo la strage di Capaci, si fa più forte la pressione dello Stato sui mafiosi e vengono ulteriormente inasprite le norme in materia di carcere duro, con la possibilità di applicare nuove restrizioni nei confronti dei detenuti per mafia, con l'obiettivo di impedire il passaggio di ordini e comunicazioni tra i criminali in carcere e le loro organizzazioni sul territorio. Per i mafiosi in regime di detenzione al 41-bis la vita si fa veramente dura. Negli ambienti criminali cresce l’insofferenza per questa azione di forza dello Stato, alla quale occorre dare una risposta, un segnale in grado di alzare l’asticella dello scontro e ottenere una mitigazione delle restrizioni. Ed è esattamente in questo clima che matura l’omicidio di Luigi. In realtà che dovesse essere proprio lui la vittima di questa azione dimostrativa della mafia contro lo Stato non era stato deciso con cognizione. Anzi, la strategia era un’altra: non importava chi fosse la vittima, ma qualcuno, un appartenente al Corpo della Polizia Penitenziaria, doveva essere ammazzato, per lanciare un segnale forte e chiaro all’esterno e all’interno degli istituti di pena. Furono addirittura scartati altri due potenziali obiettivi prima di arrivare a Luigi, che non avrebbe mai immaginato di essere addirittura in pericolo di vita.
Il 24 marzo del 1994
Eppure, la notte tra il 24 e il 25 marzo del 1994, mentre stava tornando a casa da lavoro, la Volkswagen a bordo della quale viaggiava fu affiancata da un’altra automobile. Pochi minuti prima, finito il turno di lavoro, Luigi non si era neanche liberato dalla divisa per non perdere altro tempo e tornare dalla sua famiglia il più in fretta possibile. Si era messo alla guida, aveva superato il quartiere di Barriera e poi imboccato via Due Obelischi. Tutto come sempre, se non per i fari di un auto che continuava a seguirlo. Ma per Luigi non c’era ragione di preoccuparsi. Invece, a bordo di quell’auto c’erano i suoi assassini. Uno di loro, raggiunta la Golf di Luigi, cominciò a sparare. Con i lunotti laterali mandati in frantumi dai colpi di pistola, Luigi riuscì a malapena a controllare l’auto ancora per qualche decina di metri, prima di essere raggiunto dai sicari e ucciso con altri sei colpi di pistola al tronco e al volto. Non ebbe scampo. Morì sul colpo, ucciso da una violenza cieca e inaudita che aveva colpito lui quasi come in una roulette russa. Una vittima sacrificale, che lasciava orfani una ragazza di 20 anni e un ragazzo di 14. Luigi di anni ne aveva invece 50 anni non ancora compiuti e il primo luglio di quell’anno sarebbe stato collocato a riposo dopo trent’anni di lavoro. I funerali furono celebrati il 26 marzo nella Chiesa parrocchiale di Gravina, alla presenza del vice direttore degli istituti di pena Francesco Di Maggio e del Ministro della Giustizia Giovanni Conso.
Vicenda giudiziaria
Le indagini sull’assassinio di Luigi Bodenza partirono immediatamente ma senza riuscire a trovare un movente specifico nell’attività di servizio. In fondo, non era destinato a compiti speciali e non c’era stato nessun segnale che avrebbe potuto far pensare a quello che poi sarebbe tragicamente accaduto. Un paio d’anni dopo, si sarebbe parlato di un diverbio con un detenuto al quale Luigi si era rifiutato di stringere la mano, ma nulla di concreto. Già il giorno dei funerali, invece, il direttore del carcere di Catania e i colleghi dell’agente avevano parlato di un gesto dimostrativo, di un attacco alla divisa, un atto di vero e proprio terrorismo mirato a colpire chi, come Luigi, lavorava nella trincea delle carceri in quel momento così delicato. Una pista che troverà conferma quando, nel dicembre del 2009, si diffonde la notizia del pentimento di Giuseppe Maria “Pippo” Di Giacomo, sicario sanguinario e spietato, per un decennio braccio armato della famiglia Santapaola e, ad appena 24 anni, acclamato capo del clan dei Laudani, i famigerati “mussi di ficurina”. Il boss aveva ordinato l’omicidio di un agente di custodia ai tempi della sua detenzione nel carcere fiorentino di Sollicciano, dove era rinchiuso dal 1993. Alla fine, non si è mai capito bene perché, la scelta ricadde proprio su Luigi Bodenza. All’esito del processo, nel quale la famiglia Bodenza si è costituita parte civile, sono arrivate le condanne all’ergastolo per lo stesso Di Giacomo, per Giuseppe Ferlito e Salvatore La Rocca. A 16 anni invece sono stati condannati i collaboratori di giustizia Alfio Giuffrida e Salvatore Troina, quest’ultimo ritenuto l’esecutore materiale del delitto. Lo stesso Di Giacomo aveva fatto partire dal carcere anche l’ordine di uccidere l’avvocato penalista Serafino Famà, difensore della sua ex amante.
Memoria viva
Luigi Bodenza è stato riconosciuto vittima del dovere ai sensi della Legge 466/1980 dal Ministero dell'Interno.
L'associazione di agenti e operatori della casa circondariale di Enna, di Piazza Armerina, di Catania e di Palermo nel 2004 hanno costituito un'associazione che promuove iniziative in sua memoria.
Il 15 ottobre del 2011, a Luigi, già insignito nel giugno del 2004 della Medaglia d’Oro al valor civile, è stata intitolata la Casa Circondariale di Enna, sua città natale. A lui sono intitolate anche la Caserma della Polizia Penitenziaria di Caltagirone e il campo di calcio del carcere di Siracusa.
Nel 2013 a Catania sono stati realizzati dei murales dedicati ad alcune vittime innocenti delle mafie, tra cui Luigi Bodenza, lungo il muro della Casa Circondariale di Piazza Lanza. Il murales è stato realizzato al termine del progetto "Un muro contro la mafia" realizzato dall'associazione Addiopizzo Catania.
Mentre ritornava a casa a bordo della propria auto, dopo aver prestato il servizio presso la locale Casa Circondariale, veniva raggiunto da numerosi colpi d'arma da fuoco sparatigli contro da alcuni sicari in un vile e proditorio agguato, commissionato da una potente organizzazione malavitosa. Mirabile esempio di elette virtù civiche e di alto senso del dovere spinti fino all'estremo sacrificio.