Angelo Carbotti vive a Taranto ed è un ragazzo come tanti, un po' timido ma con tanti sogni e progetti da realizzare. È altro, magro, occhi e capelli bruni e un grande sorriso che gli riempie il volto. Si dà da fare per mantenersi da solo, per non gravare economicamente sulla sua famiglia accetta ogni lavoro, in attesa di trovarne uno stabile che gli permetta di realizzare i suoi sogni.
Ha 25 anni Angelo e trascorre le sue giornate tra il lavoro di operaio che attualmente svolge e l’affetto della famiglia e degli amici; ama stare in compagnia e non appena finito il turno di lavoro gli piace trascorrere le serate assieme ai suoi amici, in quella Taranto tanto bella ma troppo martoriata dai clan mafiosi che si spartiscono il controllo del territorio. Sì perché dagli inizi del 1989 imperversa in città una guerra tra due clan rivali, una guerra senza esclusione di colpi, una guerra bestiale che farà anche vittime innocenti.
Il 22 aprile del 1990
È il 22 aprile del 1990, una domenica mattina di primavera in cui il sole si riflette sui due mari che dividono la città. Angelo è finalmente libero dopo un’intera settimana di lavoro, è felice di poter andare in centro per passeggiare con i suoi amici ed è assorto nei suoi pensieri quando si imbatte in un incidente stradale avvenuto in periferia. Senza pensarci due volte si ferma per soccorre due persone rimaste coinvolte. Si tratta di una giovane donna e di suo fratello, Sara e Filippo Ricciardi, quest’ultimo uno dei boss del luogo. Angelo non li conosce, non sa chi sono, ma li porta al Pronto Soccorso dell’ospedale civile Santissima Annunziata di Taranto e dopo averli affidati alle cure dei medici, risale sulla sua auto, una Alfasud, per liberare il passaggio del Pronto Soccorso e tornare alla sua passeggiata domenicale. Ma proprio in quel momento spunta un killer, a volto scoperto, con in pugno una pistola calibro 7,65, che prima spara due colpi ai piedi di alcune donne che sostano dinanzi al Pronto Soccorso per allontanarle e poi si avvicina ad Angelo e fa fuoco a bruciapelo. Cinque i colpi esplosi e cinque i proiettili che lo raggiungono senza lasciargli scampo. Morirà in pochi istanti, alle 11.30 di una calda mattina di primavera, davanti al consueto via vai del Pronto Soccorso, ignaro di aver prestato aiuto alle persone sbagliate. Angelo, infatti, è stato scambiato per un affiliato al clan De Vitis che doveva essere ucciso per vendicare l’omicidio di Francesco Fanelli, avvenuto il sabato.
Angelo, ragazzo di appena 25 anni, è così la terza vittima innocente di quella guerra cruenta che imperversa in città per aggiudicarsi il controllo del territorio e la spartizione dei proventi delle attività illecite.
La Squadra Mobile si occupò delle indagini sulla sua morte, ma nonostante il Pronto Soccorso fosse pieno di gente, raccolse poche dichiarazioni. Nessuno testimoniò su quanto era accaduto. L'omicida riuscì a fuggire mescolandosi sulla folla e liberandosi dell'arma, ritrovata insieme al caricatore vicino all'obitorio.
Memoria viva
Il nome di Angelo è ricordato insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Angelo ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa ad Angelo che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendoli vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.