Punta Pezzo è il lembo di terra della Calabria più vicino alla Sicilia, all’ingresso settentrionale dello Stretto di Messina. Nella terse mattine d’inverno, il fenomeno ottico conosciuto come Fata Morgana fa apparire le coste siciliane vicinissime. La punta si trova a poco più di un chilometro dal porto di Villa San Giovanni, che costituisce il terminal principale del traghettamento per la Sicilia, da cui è separato da 3 chilometri di mare. L’attività marittima ha costituito da sempre uno degli elementi principali, se non il principale, dell’economia di questa città. Ancora oggi, sono tantissimi i villesi che lavorano nel traghettamento. Per tutti loro, e non solo per loro, il porto è il luogo simbolo di questa città, ne costituisce in qualche modo il punto centrale, l’essenza.
Giovanni Trecroci non era nato qui ma qui si era trasferito, ancora ragazzo, dalla provincia di Cosenza, insieme a tutta la sua famiglia. Era nato il 9 giugno del 1943 in una famiglia borghese, che gli aveva consentito di studiare, di formarsi, di costruirsi una vita attiva, dinamica, impegnata. L’amore per le materie umanistiche lo aveva spinto a diventare un insegnante. Ma era l’idea stessa dell’educazione dei giovani che lo affascinava e lo appassionava. E dunque, all’insegnamento presso la scuola media di Sant’Eufemia d’Aspromonte, una quarantina di chilometri più a nord nell’entroterra, aveva ben presto affiancato l’impegno educativo negli scout cattolici del Masci. I valori cattolici erano forti in lui e avevano ben presto condizionato anche la sua cultura politica. La Democrazia Cristiana era stato dunque lo sbocco naturale quando nel 1977, a 34 anni, aveva deciso di candidarsi al Consiglio comunale di Villa, risultando eletto. Da allora, non aveva più lasciato le istituzioni comunali. Nel 1985 era diventato assessore ai lavori pubblici, ricoprendo anche la carica di vicesindaco. Ruolo nel quale era stato riconfermato anche dopo le elezioni del 1988, che avevano visto uscire vincitori dalle urne democristiani, socialisti e repubblicani. Una giunta con a capo il DC Domenico Aragona, amico personale di Giovanni.
Politica e appalti
Fare politica in terra di ‘ndrangheta non è roba facile. A maggior ragione quando ti occupi di cose come i lavori pubblici, gli appalti, l’urbanistica. Giovanni conosceva bene dinamiche e meccanismi che troppo spesso governano questi settori. E del resto Villa San Giovanni, proprio a partire dal 1985, stava vivendo un periodo particolarmente difficile, al centro di una violentissima faida fra cosche rivali che stava insanguinando l’intero reggino. Una faida che si sarebbe chiusa solo nel 1991. Troppo tardi perché Giovanni potesse vederlo. In questo contesto, lavori grossi come quelli per la metanizzazione di Villa e di altri 12 comuni del comprensorio o quelli per il potenziamento degli approdi navali suscitavano appetiti assai forti. Un giro di soldi enorme, tra i 29 miliardi destinati alla metanizzazione e gli addirittura 250 miliardi per il potenziamento del porto. Una posta in gioco troppo alta perché la ‘ndrangheta potesse restare a guardare. E a risentirne non poteva che essere anche la politica, attraversata da malumori e scontri interni che avevano investito la stessa DC, protagonista in quegli anni di uno scontro durissimo che aveva spaccato in due il partito. Erano anni davvero faticosi e faticoso, oltre che coraggioso, era impegnarsi in politica.
Ma Giovanni lo faceva con amore. Lo stesso amore con cui aveva costruito la sua bella famiglia. Sua moglie, Annamaria Cassone, gli aveva regalato già uno splendido bambino, cui presto si sarebbe aggiunta anche una bimba. Con Annamaria si era trasferito a Cannitello, poco più a nord della città di Villa, uno dei più caratteristici e suggestivi borghi marinari della Calabria. La loro casa era praticamente sulla spiaggia, a 30 metri dal mare.
Dunque, insegnamento, scoutismo, politica e amministrazione erano i poli della vita di Giovanni. Ma era la sua attività amministrativa a impensierirlo di più, per quanto si considerasse un professionista solo prestato alla politica. Sapeva bene cosa si muoveva intorno a lui. Ma sapeva bene anche che la sua presenza sarebbe stata un argine a qualsiasi tentativo di infiltrazione, di collusione, di complicità. Lo ripeteva continuamente: sugli appalti non si scherzava. Perché Giovanni era un uomo onesto, perbene, integerrimo; un amministratore intransigente, serio, di grande rigore morale. Alla politica era arrivato per dare un contributo alla comunità, con uno spirito di servizio che era figlio della sua apertura agli altri, del suo animo empatico e della sua profonda umanità. Sugli appalti non si scherzava.
Il 7 febbraio del 1990
Mercoledì 7 febbraio era stata convocata una seduta del Consiglio comunale di Villa. La discussione, che aveva riguardato anche alcune importanti pratiche edilizie, si era protratta fino a circa le 23.00. È verso quest’ora che Giovanni lascia la sede del Municipio per tornare a casa da sua moglie e suo figlio. Annamaria è incinta di sei mesi, Giuseppe ha 2 anni appena. Per raggiungere Cannitello, percorre pochi chilometri verso nord, passando sul lungomare, dove incrocia suo cognato Vincenzo. Enzo ha 25 anni e vive nello stesso stabile di sua sorella Annamaria. I due si salutano al volo, Giovanni è solo in auto. Enzo sarà l’ultimo a vederlo vivo. Quando, di lì a poco, farà rientro a casa, troverà Giovanni agonizzante accanto alla sua BMW amaranto, ancora le chiavi della macchina strette nella mano destra. Non potrà fare nulla, se non raccogliere il suo ultimo respiro. Pochi minuti prima, uno o forse più killer, gli hanno scaricato addosso, da distanza ravvicinata, 5 pallottole calibro 9. Tutte alla testa, esplose forse con un silenziatore.
Per Giovanni, nessuno scampo.
La notizia si diffonde in pochi minuti. È un colpo durissimo per la comunità di Villa. Il professore Giuseppe Caminiti, anestesista e vicino di casa, è la prima persona ad accorrere sul posto, insieme a magistrati e Forze di Polizia. La matrice mafiosa dell’agguato appare subito evidente.
Vicenda giudiziaria
E ci sono pochi dubbi anche sul movente che ha armato la mano degli assassini. Il capo del Commissariato Pietro Zagarella lo dice chiaramente: “l’omicidio va inquadrato nell’attività politica della vittima”. Insomma, Giovanni aveva mantenuto la promessa e si era messo forse di traverso a qualche losco affare, a qualche tentativo di infiltrazione o di condizionamento degli appalti. I magistrati dispongono il sequestro di alcune importanti pratiche amministrative. Ma c’è chi avanza anche un’altra ipotesi, che lega l’omicidio d una sorte di vendetta ritardata per la partecipazione di Giovanni, qualche tempo prima, alla giuria popolare in Corte d’Assise per alcuni importanti processi di mafia. La pista privilegiata rimane però senza dubbio quella dell’attività politica e amministrativa. I colleghi di Giovanni sono sconvolti. In testa il Sindaco, scrivono un appello pubblico in cui denunciano la delicatezza della situazione, i rischi a cui sono esposti; chiedono di non essere lasciati soli. Viene proclamato il lutto cittadino. Villa ha perso un suo nobile concittadino, un uomo onesto, ammazzato a 46 anni semplicemente per aver fatto il proprio dovere.
Nonostante la chiarezza del contesto, la morte di questo amministratore integerrimo non ha mai avuto giustizia. Ancora oggi, non si conoscono i nomi dei mandanti e degli esecutori di questo orribile delitto.
Memoria viva
Di Giovanni resta la memoria di una persona perbene, in grado di compiere scelte coraggiose ma, per lui, educato al servizio e al senso delle istituzioni, del tutto normali.
Resta l’intitolazione dell’Aula Magna del Liceo Classico di Villa, luogo di educazione e cultura, valori per i quali non si era mai risparmiato.
Restano le parole e la testimonianza di Annamaria, che pochi mesi dopo l’omicidio diede alla luce Stefania.
Di Giovanni non potrò mai dimenticare il suo sorriso, il suo sguardo, i suoi occhi, da cui traspariva una sincerità interiore che si trasmetteva su tutti coloro che lo circondavano. Era il suo essere che si trasferiva sugli altri e rendeva nobili tutte le cose e le persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo.
A Giovanni, è intitolato il Presidio di Libera a Este, in provincia di Padova, che, nel segno di una memoria viva e condivisa, continua a indicare in lui un esempio e un testimone di legalità, di rigore morale e di una politica al servizio del bene comune.
La comunità M.A.S.C.I. di Villa San Giovanni è dedicata alla sua memoria.