26 settembre 1978
Villafrati (PA)

Salvatore Castelbuono

Quel lavoro di vigile urbano Salvatore se l'era conquistato. Lo aveva desiderato con tutte le sue forze. Intanto perché quattro bocche non sono facili da sfamare e lui, con quel lavoro, era riuscito a garantire una vita onesta e dignitosa a Rosaria e ai loro figli. Ma poi perché, soprattutto, lui in quel lavoro ci credeva davvero.

Era profondamente orgoglioso di portare quella divisa, che indossava con grande dignità e fierezza e che ha onorato per tutta la vita, fino all’ultimo respiro. Con quella divisa addosso lui ci è morto.

Salvatore Castelbuono, per tutti Totò, era nato a Palermo il 26 marzo del 1932, ma poi era cresciuto a Bolognetta, un piccolo centro a una trentina di chilometri dal capoluogo dove aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza. Vi si allontanò per la prima volta per il servizio militare, che prestò al nord Italia, lontano da quella terra che amava e nella quale tornò immediatamente dopo il congedo. Qui, a Bolognetta, conobbe la donna della sua vita, Rosaria. I due coronarono presto il loro sogno d’amore con il matrimonio e una famiglia bella e numerosa. Quattro figli: Giuseppe, Carmela, Cesare e Antonio. 

Nel 1958 prese servizio presso il Comando della Polizia Municipale di Bolognetta, dopo aver superato brillantemente il concorso. Vi ha lavorato ininterrottamente per vent’anni. 
Era una persona perbene Salvatore. Sentiva fortemente la responsabilità del suo lavoro e il peso della divisa che indossava. Avrebbe potuto prenderlo più alla leggera quel lavoro e invece, per vent’anni, ha continuato a interpretare con senso del dovere e con coscienza il suo ruolo di pubblico ufficiale, lavorando con rigore e meticolosità, servendo con coraggio, determinazione e lealtà le Istituzioni. Ci riusciva con semplicità, perché in fondo quelle “elevate qualità morali” che gli saranno riconosciute postume erano un elemento innato della sua personalità. 

Del resto Salvatore conosceva molto bene il suo territorio. Aveva imparato a leggerlo, a capirlo. Conosceva gli ambienti, le persone, le dinamiche, anche quelle criminali e mafiose. Ed è proprio questa profonda conoscenza che, col tempo, lo aveva indotto a raccogliere informazioni su alcune delicate indagini  che riguardavano latitanti e mafiosi. Informazioni, notizie e circostanze che, senza il suo prezioso contributo, gli inquirenti non sarebbero mai riusciti a mettere insieme. A lui invece veniva facilissimo. Ed è per questo che il suo rapporto con i Carabinieri di Bolognetta e con il Reparto Operativo dell’Arma di Palermo si fece via via più intenso, diventando un vero e proprio rapporto di collaborazione e di fiducia reciproca. Accadde così in particolare quando si trovò a fornire il suo supporto al lavoro investigativo dei carabinieri seguito all’omicidio del tenente colonnello Giuseppe Russo, avvenuto a Ficuzza il 20 agosto del 1977. Russo era stato tra gli uomini di fiducia del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa all’epoca del comando della caserma di Corleone, negli anni ’50, prima di diventare comandante del Nucleo investigativo di Palermo. I corleonesi finirono subito nel mirino degli investigatori per quell’omicidio. Su Leoluca Bagarella si concentrarono in particolare le indagini, alle quali Salvatore partecipò attivamente, al punto da accompagnare personalmente i militari per un appostamento in un luogo dove si riteneva si nascondesse il boss. Era il 19 settembre del 1978. 

Il 26 settembre del 1978

Quest’episodio fu probabilmente la goccia che fece traboccare il vaso e ne determinò la condanna a morte. Una condanna eseguita appena una settimana più tardi, il 26 settembre. 
Quella mattina, come tante altre, Salvatore aveva indossato la sua divisa, salutato i suoi figli ed era salito a bordo della sua Opera Kadett. Aveva imboccato la Strada provinciale che collega Palermo ad Agrigento, nel tratto tra Bolognetta e Villafrati. Erano circa le 9 del mattino quando, stando al racconto di alcuni testimoni, una BMW di colore scuro con a bordo quattro persone urtò la macchina di Salvatore. Dall’auto scese un uomo e, con la scusa dell’incidente, si accertò che quello al volante fosse proprio l’obiettivo. “Sei Salvatore Castelbuono?”, gli chiese l’uomo. “Sì, sono io”. Fu freddato così, senza pietà, con 5 colpi di P38 esplosi a bruciapelo. Aveva 45 anni. 

Vicenda giudiziaria

All’arrivo dei primi soccorsi, Salvatore ancora respirava. Ma morì pochi minuti dopo. Ad avvisare i Carabinieri di Bolognetta furono alcuni muratori che stavano lavorando nella zona. Giunti sul posto, i militari riconobbero immediatamente il vigile. Tre giorni più tardi, il 29 settembre, una telefonata anonima alla caserma Carini, sede del Reparto Operativo dei carabinieri di Palermo, rivendica l’omicidio: “carabiniere, dica al comandante del Nucleo investigativo che i suoi uomini hanno sfiorato da vicino l'uomo che cercavano. La banda che ha suonato per il vigile urbano suonerà pure per i carabinieri”. Un messaggio inequivocabile, che tuttavia non è bastato per fare luce sull’omicidio di Salvatore e punire i suoi responsabili. Per la sua morte non c’è stato nessun processo, nessuna condanna, nessuna verità e nessuna giustizia. I Corleonesi, che controllavano la zona e che odiavano Salvatore per il suo attaccamento al dovere, l’hanno fatta franca.

L’omicidio fu uno strappo violentissimo nella vita della famiglia Castelbuono. Al momento dell’agguato mortale, il più piccolo dei figli di Salvatore e Rosaria, Antonio, aveva appena 12 anni. Furono momenti terribili, di paura, di angoscia, di dolore. Spesso, anche di solitudine e sconforto. 

Mi hanno tolto la luce, colui che illuminava il mio cammino e quello dei miei fratelli. La mia famiglia è rimasta nel silenzio per molti anni, il caso di mio padre è caduto nell’oblio. Dove abitavamo, qualcuno sapeva che mio padre era stato ucciso perché collaborava con i carabinieri, ma altri ricondussero la sua uccisione ad altri motivi. E qualcuno esortò la mia famiglia a stare in silenzio.
La prima volta che ho parlato di lui è stato dopo 38 anni. Inizialmente non dicevo che era stato ucciso, quasi mi vergognavo, perché la gente arriva anche a farti vergognare. Oggi invece sono molto orgoglioso di mio padre, più di prima, e voglio che lo scorrere del tempo non cancelli il suo gesto e quello delle altre vittime della mafia. Tanti sono caduti nell'oblio, alcuni non sono nemmeno emersi.
Occorre sollecitare la coscienza dei giovani affinché il cancro della mafia venga sconfitto o perlomeno ridotto ai minimi termini. E anche se a volte sono le stesse Istituzioni a non comportarsi bene, noi non ci fermiamo qua, noi andiamo avanti perché vogliamo giustizia e legalità.
Antonio - figlio di Salvatore

Memoria viva

Oggi dunque la memoria di Salvatore vive nella testimonianza dei suoi familiari, che ne raccontano la storia ai giovani perché non se ne smarrisca il valore. Il 26 settembre del 2010, nel luogo esatto dell’omicidio, è stato posizionato un cippo commemorativo che ne ricorda il sacrificio. Poco meno di un mese dopo, il 15 ottobre, a Salvatore è stata conferita la Medaglia d’Oro al Merito Civile. Nella motivazione, gli vengono riconosciute quelle “elevate qualità morali”, che sempre hanno caratterizzato la sua vita e il suo servizio, rendendolo un “mirabile esempio di elevato senso del dovere e di eccezionali virtù civiche”. Anche la Provincia di Palermo ha deciso di conferirgli la Medaglia d’argento per benemerenza civica.