Quello studio era parte della sua vita perché in quello studio c’era il sogno della sua vita. L’avvocatura. Un sogno coltivato sin da ragazzo.
Michele ci era riuscito. A 36 anni si era fatto un nome e una fama. La fama di un avvocato brillante, capace, di successo. Lì, in quelle stanze e tra quei codici, avrebbe continuato a costruire la sua carriera e a coltivare i suoi sogni.
E poi c’era l’altro pezzo della sua vita, ancora più importante. Alessandra, sua moglie, le aveva dato due figli bellissimi: Renata e Ugo. Renata quelle stanze piene di libri e scartoffie le conosceva bene. Il suo papà la portava spesso con sé in quello studio, quasi volesse tenerli inscindibilmente insieme quei due sogni che gli riempivano la vita di soddisfazione e gioia: la famiglia e il lavoro.
Scafati è un comune dell’Agro nocerino sarnese. L’ultimo comune della provincia di Salerno verso il napoletano. Forse per questa peculiarità sulla carta geografica ha finito con l’essere da sempre un crocevia di interessi criminali, un’area cuscinetto tra la periferia sud della città metropolitana di Napoli e una terra difficile come quella dell’Agro. E si sa, quando gli interessi sono tanti, i clan fanno di tutto per accaparrarseli. Se ci riescono, facendo affari insieme. Altrimenti, la soluzione sono le armi.
Michele di mestiere faceva il penalista e queste dinamiche le conosceva bene. Così come conosceva alcuni di quei delinquenti, che per lavoro difendeva nelle aule di giustizia. Tra questi, anche Angelo Visciano, uomo di punta del clan Visciano-Sorrentino, da qualche tempo in guerra con gli avversari del clan Aquino-Annunziata.
Il 22 marzo del 1995
Nel 1995 Renata ha un anno e mezzo. Ugo, il più piccolo, solo quindici mesi. Quel pomeriggio del 22 marzo del 1995 Michele Ciarlo è seduto alla scrivania del suo studio legale, nella centralissima via De Gasperi. Fortunatamente, questa volta Renata non è col suo papà. Alle 18.30, diverse persone armate fanno irruzione nell’appartamento e cominciano a sparare. Il penalista non fa in tempo ad alzarsi: il piombo dei killer lo uccide sul momento.
Vicenda giudiziaria
L’autopsia e la perizia balistica chiariscono che Michele Ciarlo è stato raggiunto da tre diversi proiettili e che a sparare sono state due persone. Le prime piste si indirizzano all’interno degli ambienti della criminalità organizzata, con l’ipotesi che l’omicidio possa essere maturato per contrasti sorti tra Visciano e il suo difensore. Il boss viene messo sotto pressione, ma la pista non trova riscontro. Visciano anzi accusa i boss Galasso e Loreto, passati a collaborare con la giustizia. Il 27 marzo, in una telefonata al 112, una voce anonima, raccontando di particolari sino ad allora sconosciuti, riconduce l’omicidio ad Angelo Visciano. Col tempo, si fa strada nella mente degli investigatori l’idea che Ciarlo possa essere rimasto vittima di una vendetta trasversale, maturata all’interno della faida tra i due gruppi criminali degli Annunziata-Aquino e dei Visciano-Sorrentino.
La svolta arriva a quasi due anni dal delitto. Nel novembre del 1996 viene arrestato per porto e detenzione abusiva di arma illegale Gaetano Albano, che inaspettatamente confessa di aver preso parte, insieme a Federico Nicodemo del clan Annunziata-Aquino, all’omicidio dell’avvocato Michele Ciarlo. L’uomo chiama in correità, oltre a Nicodemo, anche Filippo Veneruso (i due vengono indicati come esecutori) e Carmine Aquino, accusato di essere il mandante. Il movente è “da ricercare - si legge nella sentenza della Corte di assise di Appello di Salerno - nella necessità di dare al Visciano ed ai suoi potenziali successori un segnale di forza colpendone il difensore”. Albano si professa anche l’autore della telefonata anonima, che avrebbe dovuto depistare le indagini. L’uomo si presta ad incontrare Veneruso e a far registrare il colloquio, nel corso del quale lo stesso Veneruso fornisce una conferma della sua colpevolezza.
Carmine Aquino e Filippo Veneruso vengono dunque ritenuti responsabili dell’omicidio dell’avvocato Michele Ciarlo e condannati all’ergastolo. Siamo nel luglio del 1999. Le condanne vengono confermate nel processo di secondo grado (marzo 2001). In relazione al movente, la Corte conferma che Carmine Aquino, attraverso l’omicidio eclatante del difensore del suo rivale Visciano, intendeva colpirne l’immagine criminale e confermare il suo potere. Le condanne sono state confermate anche nell’ultimo grado di giudizio.
Memoria viva
L’omicidio di Michele è una ferita aperta nel cuore di Alessandra Guerra, sua moglie. Parlare con lei, aiuta a scoprire l’intimità di un uomo strappato alla vita troppo presto. È Alessandra a raccontare di Michele come di un avvocato appassionato, un uomo onesto, giusto, semplice. Avrebbe potuto costruire comodamente la sua carriera sul nome di suo suocero, il papà di Alessandra, avvocato di fama in tutta la provincia. Invece volle farsi da solo. Ma Michele era prima di tutto un marito e un padre. Sfogliamo le sue foto insieme ad Alessandra. Nel guardarle, i suoi occhi si riempiono di commozione. C’è lei accanto a Michele in quelle foto. E ci sono i loro figli piccoli. Sono immagini piene di amore e tenerezza. La stessa tenerezza che fa capolino sul viso di Alessandra, in un sorriso appena accennato.
Dopo la morte di Michele, la vita di Alessandra non è stata facile. Parla da madre Alessandra ora, e racconta della fatica di crescere due figli, sforzandosi in ogni modo di proteggerli da un dolore inconcepibile per due bambini così piccoli e di provare lentamente a ritornare alla normalità. Ci racconta del primo incontro con Michele, della loro vita insieme da fidanzati e poi da sposi e genitori. E poi ci mostra quella fede, ancora lì sul suo dito, nonostante siano passati 25 anni.
È un racconto sofferto, si sente. Ma Alessandra lo fa, con pudore. Non si sottrae alle domande degli studenti, che ha accettato di incontrare a casa sua e ai quali ha fatto trovare dolci e caffè. Loro ascoltano anche quando confessa che per lei non è facile parlare di Michele in pubblico e che raramente accetti di farlo. Ma si vede che ora è felice di consegnare la memoria di suo marito a questi giovani raccolti attorno a lei. Un racconto che, di lì a poco, finisce in una pubblicazione e in un video che quegli studenti del Liceo Scientifico di Pompei producono al termine di un percorso accompagnato da Libera. Tra quelle pagine, le ragazze e i ragazzi vogliono pubblicare anche una lettera che hanno scritto immaginando di rivolgersi direttamente a Michele:
Ciao Michele,
non ci hai mai conosciuti ma il caso ci ha fatto conoscere te (…) Sai, vivere in una societa? in cui l’omerta? prevale sul coraggio ci spinge a ricercare modelli di lealta? e correttezza e ad ancorarci a loro, nella speranza di poter emularli e di diventare motori di cambiamento. Questa societa? spesso ci demoralizza, privandoci dei nostri diritti e delle nostre ambizioni, ma tu ci hai mostrato come di fronte ai No e alle difficolta?, sempre molteplici, si possa reagire a testa alta senza scendere ad alcun compromesso (…) Bisogna dare un senso alla tua morte che non può rimanere vana, ma deve trasformarsi in un esempio, deve dare a noi ragazzi, sempre cosi? pigri e indifferenti, una spinta. Tu sei riuscito a rompere quella bolla in cui continuavamo a vivere, ci hai aperto gli occhi per mostrarci una realta? sconosciuta, fatta di lacrime e sofferenza ma al tempo stesso di impegno da parte di coloro che credono che un giorno possa essere rimosso il cancro della criminalita?.
Tu ci hai mostrato la via, adesso tocca a noi continuare a crederci.
Grazie Michele.
“Michele Ciarlo. L’avvocato innamorato della vita" è il titolo che hanno scelto per questo lavoro di ricerca e di riappropriazione della memoria. Un titolo che prova a raccogliere il senso delle parole di Alessandra e che costituisce un esempio di una memoria viva, da cui scaturiscono frutti di impegno e di speranza. Proprio come quel corso di preparazione all’esame di Avvocato che i suoi colleghi dell’Ordine forense di Nocera Inferiore hanno voluto intitolare alla sua memoria. Un modo per indicare, a chi si affaccia alla professione, una direzione chiara e precisa.