8 giugno 1982
Isola delle Femmine (PA)

Vincenzo Enea

Vincenzo Enea aveva scelto di fare l'imprenditore edile, nonostante vivesse in terra di mafia. E aveva scelto di fare bene il suo lavoro, senza accettare compromessi, ricatti, ambiguità e scorciatoie. Un atto rivoluzionario, nella Sicilia degli anni '70 e '80. Un atto che ha pagato con la vita.

Fare impresa in terra di mafia a volte può essere davvero un atto rivoluzionario. Soprattutto quando il settore di cui ti occupi è quello dell’edilizia, storicamente crocevia di interessi criminali. E soprattutto quando vuoi fare impresa ispirandoti ai valori di legalità, onestà, correttezza a cui sei stato educato e in cui credi fermamente. 

Vincenzo era un uomo perbene. I giudici lo hanno messo nero su bianco anche nella sentenza di condanna del suo assassino: 

Enea Vincenzo veniva descritto dai più come uomo mite e remissivo, sempre pronto ad aiutare chi si trovasse in difficoltà.

Faceva il costruttore a Isola delle Femmine, in provincia di Palermo, in un contesto nel quale la pressione di Cosa nostra era tangibile. Un territorio stretto nella morsa degli interessi criminali del boss locale, Rosario Riccobono, che verrà poi ammazzato dai Corleonesi di Totò Riina

Fu proprio nella villa di Riccobono che venne decretata la morte di Vincenzo. La sua onestà, la sua intransigenza erano diventati ostacoli insormontabili per la mafia locale, per Riccobono, per Salvatore Lo Piccolo, per Francesco Bruno. Un ostacolo che andava rimosso, perché intralciava in maniera non più tollerabile gli investimenti e gli affari della criminalità organizzata nel settore dell’edilizia. 

Vincenzo, proprietario anche del lido Village Bungalow, era consapevole dei rischi a cui si stava esponendo. E con lui, la sua numerosa famiglia, un pezzo della quale ha dovuto decidere di abbandonare Isola, riparando negli Stati Uniti, per il peso insopportabile delle pressioni di Cosa nostra anche dopo l’omicidio di Vincenzo. 

Dal suo matrimonio con Giuseppa Cataldo erano nati sei figli: Pietro, Riccardo, Valerio, Maria Teresa, Rosalia e Elisa. Quest’ultima, la più piccola, aveva appena due mesi e mezzo quando suo padre venne barbaramente assassinato.

In questa storia ci sono alcuni episodi che, in qualche modo, possono essere considerati la goccia che fece traboccare il vaso, il punto di non ritorno che indusse i mafiosi ad emettere la sentenza di condanna a morte. 

Intorno alla fine degli anni ’70, Vincenzo era impegnato nella costruzione di un complesso residenziale a Isola, nei pressi del residence “Costa Corsara”. Proprio lì accanto, la società “BBP”, riconducibile ai fratelli Bruno, era impegnata con le proprie attività e, senza farsi il minimo scrupolo, aveva sconfinato nei terreni di proprietà di Vincenzo. Una lite cui avevano fatto seguito alcuni chiari ed inquietanti segnali di ritorsione, come l’incendio di un bungalow, il pestaggio del cane da guardia, il danneggiamento del materiale edile e l’incendio di un magazzino. Segnali di fronte ai quali Vincenzo aveva deciso di non indietreggiare. 

Per dirimere la lite, si era proposto come mediatore Benedetto D’Agostino, che cercò di sfruttare la sua conoscenza con il boss di Partanna Mondello, Saro Riccobono, per convincere i Bruno a desistere dai loro propositi. Tentativo che non solo andò a vuoto, ma al quale i mafiosi risposero con l’omicidio di D’Agostino. 

Ma c’è di più. Stando alla ricostruzione degli inquirenti Francesco Bruno aveva tentato di impadronirsi dell’impresa edile di Enea, proponendogli di “accoglierlo” come socio occulto. Una richiesta inaccettabile per Vincenzo, che si rifiutò.  Una condotta irreprensibile, di fronte alla quale i mafiosi decisero di punire l’imprenditore, condannandolo a morte. 

L’8 giugno del 1982

Intorno alle 8.00 del mattino dell’8 giugno 1982, una telefonata alla caserma dei Carabinieri di Isola avvisò i militari dell’uccisione di Enea. Quando arrivarono sul posto, a poca distanza dal Villaggio Bungalow, i Carabinieri trovarono il corpo senza vita di Vincenzo riverso in una pozza di sangue nella sua Renault. Il suo corpo era crivellato di colpi, ammazzato senza pietà a 47 anni. 

La vicenda giudiziaria

Le indagini sull’omicidio di Vincenzo Enea non sono state per nulla semplici. Nel corso degli anni, hanno subito numerose battute d’arresto e diverse archiviazioni. L’ultima, il 4 settembre del 2000. 

Un’archiviazione arrivata pochi mesi dopo le dichiarazioni di uno dei figli di Vincenzo, Pietro, fuggito negli Stati Uniti per paura delle ritorsioni dei boss. 

Nell’aprile del 2000, Pietro decide di parlare e di raccontare quello che ha visto e che sa. Incontra gli inquirenti, parla della lite con i Bruno e del tentativo di quest’ultimi di diventare soci occulti dell’impresa di suo padre. Riferisce anche che la mattina dell’omicidio, tornando da una battuta di pesca, aveva notato Francesco Bruno nei pressi del luogo del delitto. Bruno, all’epoca latitante, lo aveva addirittura salutato. Pochi minuti dopo, in un bungalow, Pietro aveva trovato il corpo senza vita di suo padre. 

Le dichiarazioni di Pietro riaprono dunque le indagini sul ruolo di Francesco Bruno nell’omicidio, ma vengono archiviate pochi mesi dopo per alcune incongruenze. 

Poi, nel 2010, la svolta. Le rivelazioni di Pietro Enea vengono accostate a quelle di tre collaboratori di giustizia - Gaspare Mutolo, Francesco Onorato e Rosario Naimo - che indicano anch’esse in Bruno (ma anche in Salvatore Lo Piccolo e Riccobono) gli autori del delitto. Le indagini ripartono. Per Lo Piccolo non vengono trovati riscontri mentre Riccobono intanto è morto da tempo. 

Alla fine, il 22 maggio del 2013, Bruno, già in carcere all’ergastolo per altri due omicidi (tra i quali quello di D’Agostino) viene condannato a 30 anni di carcere. Il 19 febbraio del 2015,  la condanna viene confermata in Appello e poi, nell’ottobre del 2016, anche in Cassazione. 

La famiglia Enea si è costituita parte civile nel processo. 

Memoria viva

Quanti anni di lacrime e dolore. Mio padre non tornerà in vita, ma da oggi potrà riposare in pace
Elisa Enea - figlia di Vincenzo

Le parole di Elisa, affidate a un post su Facebook pubblicato nel giorno della sentenza della Cassazione che ha reso definitiva la condanna, concentrano in poche battute una sofferenza lunga 34 anni. Un percorso lungo e difficile che restituisce dignità alla memoria e alla vita di un imprenditore onesto e intransigente. 

A lui, il Comune di Isola ha dedicato una piazza, eternando la testimonianza di libertà e giustizia incarnata da Vincenzo.