8 maggio 1982
Porto Empedocle (AG)

Giuseppe Lala

Giuseppe Lala, Domenico Vecchio e Antonio Valenti erano tre operai. Di loro sappiamo davvero pochissimo. Se non che morirono insieme e senza una ragione, vittime innocenti della mafia agrigentina e di un colpevole silenzio. Loro non erano le vittime designate. Eppure, il piombo della stidda strappò le loro vite, devastando tre famiglie.

Ci sono storie di alcune vittime innocenti la cui ricostruzione, più di altre, appare particolarmente difficile. Accade per ragioni diverse: i tanti anni passati, la scarsa rilevanza che ebbero all’epoca dei fatti, la semplicità dei protagonisti, il loro essere persone del tutto “normali”. Ci sono poi altre storie per le quali, a queste difficoltà, se ne aggiunge un’altra. Sono le storie degli omicidi plurimi, che vedono più vittime nello stesso episodio violento. Nelle fonti, le vite delle diverse vittime sono in qualche modo cristallizzate nella loro relazione al momento della morte, unite da un destino comune che finisce per l’annullare quasi del tutto - se non addirittura totalmente - le singole storie.

Per Giuseppe Lala e Domenico Vecchio, entrambi di Porto Empedocle, e per Antonio Valenti, di Favara, è andata esattamente così. Di loro - della loro vita individuale, dei loro affetti, dei loro percorsi esistenziali - sappiamo davvero pochissimo. Se non che morirono insieme, un drammatico sabato di maggio del 1982. E che morirono senza ragione, vittime innocenti di una faida legata ad interessi economici di imprenditori mafiosi. Loro non erano le vittime designate. Eppure, il piombo della mafia strappò le loro vite, devastando tre famiglie.

Giuseppe Lala, Domenico Vecchio e Antonio Valenti erano tre operai. Lavoravano presso lo stabilimento di frantumazione e lavorazione degli inerti di Porto Empedocle, a una manciata di chilometri da Agrigento. Il proprietario di quello stabilimento, però, non era uno qualsiasi. Si chiamava Francesco Traina e apparteneva a una famiglia storicamente legata alle vicende della mafia agrigentina.

La mafia agrigentina

Una mafia a lungo rimasta nell’ombra, ma non per questo meno violenta, spregiudicata, efferata. Fino alla metà degli anni ’80, il territorio agrigentino era stato sotto il diretto controllo di cosa nostra, saldamente nelle mani delle famiglie Messina, Gagliano e Albanese. Gruppi criminali che mal tolleravano i tentativi di ascesa di altre famiglie, entrate in contrasto con cosa nostra e per questo consorziatesi in gruppi rivali. Tra questa famiglie, quella dei Grassonelli e, appunto, dei Traina.

L’apertura di quell’impianto di calcestruzzi non passò sotto silenzio. Pietro Marotta - uomo d’onore di Ribera, a non più di 30 chilometri da Porto Empedocle - se ne infastidì profondamente: quell’attività, così simile e così vicina, rischiava seriamente di mettere a rischio i suoi affari e la sua apertura era stato un affronto. Così si rivolse al boss Carmelo Colletti, cui era strettamente imparentato, per chiedere di sistemare quella faccenda. La soluzione che i due trovarono fu quella estrema della violenza omicida. Fu reclutato un gruppo di fuoco appartenente alla cosca dei Lauria di Raffadali, con l’ordine di punire i Traina. L’agguato si doveva consumare proprio nello stabilimento di Porto Empedocle.

L'8 maggio del 1982

I killer si appostarono nell’impianto, nascondendosi dietro un silos. Di qui, all’arrivo di tre persone, esplosero una pioggia di piombo, uccidendo le vittime sul colpo. Ma quelle persone non erano i Traina. Erano invece Giuseppe, Domenico e Antonio. Tre operai innocenti e del tutto estranei alle dinamiche mafiose che avevano determinato quell’azione di morte. I tre non ebbero neanche il tempo di rendersi conto di quanto stesse accadendo. Morirono sul colpo, rispettivamente a 55, 26 e 38 anni.

La vicenda giudiziaria

Una vicenda tragica, resa ancor più drammatica dall’oblio che l’ha avvolta. Un silenzio assordante, alimentato da un clima di veleni e sospetti che troppo a lungo hanno confuso vittime e carnefici. I familiari dei tre operai sono rimasti soli, abbandonati da tutti e lasciati senza alcun sostegno.

È rimasto tutto così, almeno fino al giugno del 1989, quando il Pretore di Agrigento Vincenzo Faravino ha riconosciuto quelle morti come “infortunio in corso di rapporto di lavoro”. Una vicenda di cui fu interessato anche l’allora Presidente della Repubblica. Stando alle cronache dell’epoca, secondo l’avvocato Quattrocchi, la morte dei tre operai avvenne “in conseguenza del lavoro da loro espletato e per un rischio che incombe su tutti i cantieri, attesa la gravità e l’estensione dei fenomeni mafiosi”. Tesi accolta dal Pretore, che condannò l’Inail a corrispondere un vitalizio alle famiglie. Ma il clima pesante, i dubbi e i sospetti non sono stati spazzati via da questa decisione.

C’è stato bisogno di attendere la metà degli anni ’90 perché il lavoro investigativo sfociato nella prima maxi operazione di polizia nella storia della mafia agrigentina - l’operazione Akragas - facesse luce, grazie alle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, anche sulla morte dei tre operai, diradando per sempre la nebbia che aveva avvolto la loro storia e sancendo definitivamente la loro innocenza.

Memoria viva

Tuttavia, si tratta di storie delle quali ancora è timida la memoria. Il sacrificio di Giuseppe e Domenico è testimoniato da una targa apposta in via Marconi, a Porto Empedocle, l’11 maggio del 2002:

In memoria dei concittadini Giuseppe Lala e Domenico Vecchio, vittime innocenti della mafia, barbaramente uccisi sul loro posto di lavoro.

Una strada è stata invece intitolata ad Antonio Valenti nel suo paese, Favara, dove sue figlia Maria ha partecipato a diverse iniziative di cui è rimasta traccia in rete.

Noi vogliamo provare a rendere la memoria di Giuseppe, Domenico e Antonio più viva, a ricostruirne le storie, a scoprirne le vite. Ed è per questo che chiediamo aiuto a chiunque possa fornirci notizie, materiali, documenti, fotografie in grado di tirare fuori ancora di più dall’oblio la vita di questi tre onesti lavoratori, vittime innocenti di una cieca violenza mafiosa.