15 settembre 1990
Bresso (MI)

Piero Carpita

Non esistono le vittime per caso, perché non si muore mai per caso. Le mafie al Nord sono un problema vero, reale, concreto, di cui è necessario avere consapevolezza. Tutti. Piero era un uomo semplice, aveva una famiglia che amava, dei sogni e dei progetti. La sua vita è stata spezzata e nessuno può dimenticarlo.

Piero e Maria si occupavano del servizio di portineria di un palazzo in via Roma. Siamo a Bresso, periferia nord di Milano, in quella pianura padana settentrionale ricca e industrializzata che garantiva benessere e lavoro. Avevano messo su una famiglia tranquilla. Simona, la maggiore delle due figlie di Piero e Maria, il 5 settembre del 1990 aveva compiuto sette anni. Emanuela, la più piccola, il 3 dello stesso mese, ne aveva compiuti quattro. Piero era un marito amorevole, un padre attento e un uomo buono. La sua vita si divideva tra gli impegni familiari, una partita a carte con gli amici e, soprattutto, il lavoro. Un lavoro cui si dedicava con scrupolosità e impegno, fino a undici ore al giorno. 
A Bresso, nel 1990, si faceva fatica a sentire pronunciata la parola mafia. Cosa fosse la ‘ndrangheta in pochi lo sapevano e, soprattutto, nessuno pensava che lì, nella pianura padana a nord di Milano, ci si sarebbe mai potuto avere a che fare. E invece a Bresso la mafia c’era, e da tempo, già nel 1990. La ‘ndrangheta in particolare, che in quella zona aveva trovato nel traffico di droga un affare enorme, un’occasione imperdibile di ricchezza. La ‘ndrangheta aveva portato con sé non solo affari illeciti e ricchezza, ma anche le sue strategie e le sue modalità. La violenza, in particolare. Quella con cui i clan e le famiglie di mafia sono abituate a risolvere controversie e scontri, a imporre il proprio dominio sul territorio, a dimostrare chi comanda. 

Video testimonianza di Emanuela, figlia di Piero Carpita

Il 15 settembre 1990

Il 15 settembre del 1990 era un sabato. Un sabato come tanti altri, nel quale Piero, in attesa di tornare al lavoro, intorno alle 15.00, si era intrattenuto con due amici nel bar Roma, sulla via omonima, nel centro storico di Bresso, per una partita a briscola. Di fronte a lui c’era seduto Attilio Merlo, un ferramenta. Anche lui di lì a poco sarebbe ritornato al lavoro nel suo negozio. A partita finita - racconta Attilio il giorno dopo al quotidiano la Repubblica - Piero si era alzato per un caffè e per tornare al lavoro. Un attimo dopo, il portinaio è fuori dal bar. Poi l’inferno. Arrivano due auto di grossa cilindrata. Una in particolare, una Porsche nera. Due gruppi rivali si affrontano, armi in pugno, sparando all’impazzata. Decine di persone si gettano a terra, terrorizzate. Qualche minuto dopo, Piero rientra nel bar. È ferito al torace e sanguina vistosamente. Muore poco dopo, a 46 anni. Negli stessi minuti, sul marciapiedi di fronte, un altro uomo, Luigi Recalcati, un pensionato di Bresso trasferitosi a Milano, è sulla sua bicicletta e si accascia al suolo, colpito al fegato da una pallottola. Non servirà a nulla la corsa in ospedale. Morirà anche lui sul letto della sala operatoria. È una strage. A Bresso, periferia nord di Milano, la ‘ndrangheta fa strage di innocenti. 

Vicenda giudiziaria

Di killer e vittime designate, però, neanche l’ombra. Resta sul posto, abbandonata pur di scampare alla morte, quella Porsche nera. La macchina risulterà intestata a Francesco Coco Trovato, evidentemente l’uomo nel mirino dei killer. Lui e Giuseppe Pepè Flachi. Secondo gli inquirenti e secondo il racconto dei pentiti, sono due uomini d’onore, col tempo diventati padroni indiscussi della malavita che controllava l’area della Lombardia che va dalla periferia nord di Milano fino a Como e Lecco. Al centro dei loro affari, l’eroina. Ed è proprio il mercato della droga l’origine dello scontro con l’altra famiglia di mafia della zona, quella dei Batti. Uno di loro, Luigi Ciro Batti, si scoprirà, ha sparato quel 15 settembre, per rappresaglia dopo il fallito agguato a suo zio Salvatore e a sua figlia, avvenuto il 30 giugno in Campania. Insomma, una vera e propria guerra di mafia, nel profondo nord dell’Italia. Una guerra che, dopo la strage di Bresso, lascerà a terra un’altra ventina di morti ammazzati. Compreso Luigi Ciro, schiacciato in una pressa insieme alla sua macchina dal cartello vincente dei Trovato-Flachi-Schettini.

Memoria viva

Maria resterà a Bresso solo ancora un paio di anni dopo la morte di Piero, prima di decidere di lasciare per sempre quel posto. Una decisione che prenderà soprattutto per proteggere le sue due bambine. I ricordi, nella loro mente, sono sfocati. Lo shock per le sue due figlie di non vedere più il padre tornare a casa ha fatto sì che loro rimuovessero quasi tutto. Per anni, racconta Emanuela in un'intervista, ha vissuto con un enorme vuoto dentro, perché pensava che suo padre fosse semplicemente una vittima del caso. Poi l’incontro con Libera e un cammino lento di memoria e impegno, che riesce a cambiare forma a quel dolore. Per anni in casa Carpita non si è parlato di ciò che era successo. Maria, quel giorno, dalla finestra, vide gente in strada che correva e andò subito a tentare di soccorrere Luigi Recalcati, l’altra vittima innocente, che era agonizzante su una panchina. Subito dopo le fu detto che tra le vittime c’era anche Piero, che era riuscito a raggiungere un bar, ma che non c’era più nulla da fare. 

Qualche anno prima, nel 2013, la storia di Piero era finita in un libro. Si intitola “Alveare” ed è stato pubblicato la prima volta nel 2011. Parla di ‘ndrangheta. E parla anche della strage di Bresso del 1990, cui l’autore Giuseppe Catozzella, all’epoca quattordicenne, aveva assistito personalmente. Anche quel libro servirà a Emanuela per trovare delle risposte alle sue tante domande. 
“Qualche volta ritorno a Bresso - scriverà la figlia di Piero all’autore - forse con la stupida idea di poter incontrare e conoscere mio padre, (magari proprio nel bar di Dina dove il sabato pomeriggio andava a prendere il caffè) il cui ricordo è sempre più sfocato”.

Un mio dolce ricordo risale a un paio di settimane prima della sua morte.. Il mio ultimo compleanno con papà... Era il 3 settembre, avevo compiuto 4 anni e per l'evento mi aveva regalato la mia prima bicicletta. Io ero emozionatissima e non vedevo l'ora di usarla, andammo nella portineria dove lavorava e me la montò subito con rotelle annesse...ero felice!
Non gli diedero neanche il tempo di insegnarmi davvero ad andare in bicicletta, lo uccisero 12 giorni dopo.
Emanuela - figlia di Piero

Il presidio di Libera a Morbegno è dedicato alla memoria di Piero Carpita e di Luigi Recalcati.

Quando è venuto a mancare mio padre avevo, da appena 10 giorni, compiuto 7 anni... Spesso mi chiedo cosa darei per poter ricordare tutti i momenti, le giornate trascorse insieme al mio papà e invece, davvero poco riaffiora nella mia mente. Un bellissimo ricordo che mi accompagnerà sempre è il viaggio dell'ultima estate tutti insieme, una lunga notte in macchina, in direzione della calda Sicilia( terra della nostra mamma) i profumi, le luci, la musica alla radio, l'autogrill. Da quel giorno, in ogni viaggio, rivivo parte delle emozioni che ho vissuto in quell'ultimo viaggio tutti insieme che rimarrà sempre nel mio cuore.
Simona - figlia di Piero