10 marzo 1948
Corleone (PA)

Placido Rizzotto

Placido era sempre stato un giovane curioso e sveglio, da subito si era preso cura della sua famiglia, di suo fratello e delle sue sorelle. Si era arruolato tra le file della resistenza partigiana e tornato in Sicilia si era subito messo alla testa del movimento contadino, per chiedere ciò che spettava di diritto ai tanti braccianti siciliani.

Quella di Rocca Busambra è la cima più alta della Sicilia Occidentale, 1613 metri di altitudine sul livello del mare che sovrastano i Monti Sicani. Un territorio impervio, fatto di ripidi pendii e strapiombi, anfratti e pozzi verticali. Le chiamano foibe, vere e proprie caverne verticali, a volta profonde anche decine e decine di metri. È una lingua montuosa che attraversa diversi comuni di questo pezzo selvaggio di Sicilia, tra i quali quello di Corleone. È qui, in una di queste foibe, che la vita di Placido Rizzotto viene brutalmente interrotta, a 34 anni, una sera di marzo del 1948.

A Corleone Placido era nato il 2 gennaio del 1914, primo di sette figli. La madre, Giovanna Moschitta, morì quando lui era ancora un bambino. Il padre Carmelo, invece, ben presto finì arrestato con l’accusa di essere vicino alla mafia e Placido, ancora molto giovane, dovette abbandonare gli studi per dedicarsi alla cura della famiglia. Non dovette essere per lui un periodo semplice. La sua vita successiva ci racconta di un giovane curioso, intraprendente, dinamico. Tutte attitudini che i sacrifici di portare avanti da solo una famiglia così numerosa di certo dovettero mortificare. Ma Placido era un ragazzo forte e coraggioso. Qualità che dimostrò anche quando partì per il servizio militare, prima nel Reggimento Cavalleggeri di Alessandria di stanza a Palmanova e poi in quello di Lucca, di stanza a Tivoli. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo portò invece nella Carnia, in provincia di Udine. Con l’armistizio dell’8 settembre tornò a Roma e si unì alla Resistenza partigiana, nella banda clandestina del Gruppo Napoli. Infine, alla fine del 1945, a guerra ormai finita, fece ritorno a Corleone. E qui mise a frutto tutte le esperienze di quegli anni difficili e intensi. L’esperienza partigiana, in particolare, lo aveva profondamente segnato e ispirato, aprendo la strada a quella attività politica e sindacale che avrebbe completamente occupato la sua esistenza fino al suo ultimo respiro.

Il ritorno a Corleone

Dapprima presidente dei reduci e combattenti dell'ANPI di Palermo, divenne col tempo esponente di spicco del Partito Socialista Italiano e poi della CGIL, fino a essere eletto, nell’ottobre del 1947, Segretario della Camera del Lavoro di Corleone. Furono anni di grandi battaglie, che Placido condusse con coraggio e determinazione, in particolare accanto a contadini e braccianti agricoli, da troppo tempo ostaggio dei grandi latifondisti e proprietari terrieri e della mafia. Nell’ottobre del 1944, Fausto Gullo, il Ministro dell’Agricoltura del Governo Badoglio, aveva voluto e ottenuto l’approvazione di alcuni decreti in materia agraria, che contenevano elementi di forte innovazione. Tra questi, in particolare, la concessione delle terre incolte e mal coltivate ai contadini e la modifica dei contratti agrari. Erano misure importanti a difesa della dignità dei lavoratori della terra, che mettevano in discussione il potere dei latifondisti e dei mafiosi e che per questo in Sicilia erano state puntualmente boicottate e disattese, lasciando nella disperazione, nella povertà e nella schiavitù intere generazioni di contadini. Un’ingiustizia che Placido non riusciva minimamente ad accettare. Ed è per questo che si mise a capo del movimento contadino, strutturandolo, motivandolo e organizzando continue manifestazioni di rivendicazione e di occupazione delle terre.

Le elezioni del 6 ottobre ’46 e successivamente quelle del 20 maggio dell’anno successivo furono un chiaro segnale che quel movimento stava riuscendo a smuovere qualcosa, a raccogliere consensi e favori, a rafforzarsi. La sfida ai “potenti” dunque poteva proseguire ancora più forte. “Blocco del popolo”, la lista di sinistra, raccolse infatti oltre il 44% dei voti. Una vittoria straordinaria e una grande iniezione di fiducia per Placido e i suoi compagni, nonostante la controffensiva di agrari e mafiosi. L’elezione di questo combattivo e determinato sindacalista a Segretario della Camera del Lavoro, nell’ottobre dello stesso anno, dovette essere la goccia che fece traboccare il vaso. La mafia corleonese, all’epoca saldamente guidata dal medico Michele Navarra, provò ancora una volta, come pure aveva già tentato, a fare pressione perché Placido desistesse dalle sue battaglie. Ma non ci fu verso di piegare questo giovane sindacalista, che continuò a guidare le battaglie contadine con il coraggio e la determinazione di sempre, intimamente convinto che quelle schiere di braccianti andassero difese dalla violenza e dai soprusi dei proprietari terrieri e dei gabellotti mafiosi.

Il 10 marzo del 1948

Lo sguardo fiero e rivolto in avanti che Placido mostra in una delle sue poche foto giunte sino a noi dovette essere lo stesso che, la sera del 10 marzo 1948, mostrò ai suoi sequestratori, poco prima di essere brutalmente assassinato. Aveva da poco lasciato una riunione con i suoi compagni di partito e si era incamminato per le strade del paese insieme a Ludovico Benigno. A fare da esca fu Pasquale Criscione, vicino di casa di Placido e sua conoscenza di vecchia data. Criscione si avvicinò simulando un incontro casuale. Quando Ludovico li lasciò per rientrare a casa, Placido e Pasquale continuarono a camminare. All’altezza di via Bentivegna scattò la trappola. Il sindacalista fu bloccato con la forza, caricato di peso sulla 1100 di Luciano Liggio, il luogotenente di Michele Navarra, e condotto in contrada Malvello. Qui fu dapprima pestato a sangue da Liggio, poi finito con 3 colpi di pistola e infine gettato nella foiba di Rocca Busambra. Ed è in questi frangenti che la storia di Placido si incrocia con quella del giovanissimo pastore Giuseppe Letizia. Dodici anni appena, Giuseppe era stato mandato dal padre ad accudire gli animali proprio nei pressi di Rocca Busambra e lì assistette alla scenda del pestaggio e dell’omicidio di Placido. Ne rimase a tal punto sconvolto da cadere in uno stato di delirio che, il giorno seguente, convinse suo padre a portarlo in quell’ospedale Dei Bianchi diretto proprio da Michele Navarra. Al ragazzino fu diagnosticata una tossicosi e fatta una iniezione. “Per calmarlo”, fu detto ai suoi genitori. Giuseppe invece non riaprì più gli occhi, quegli stessi occhi che avevano visto la tragica fine di Placido, ordinata dallo stesso Navarra che avrebbe dovuto curarlo.

Vicenda giudiziaria

Le indagini per la scomparsa di Placido partirono quasi subito, spinte dai compagni di partito e dalla stampa nazionale, che pure si occupò della vicenda e della tragica morte di Giuseppe, parlando chiaramente di un avvelenamento. Non mancarono neanche i tentativi di depistaggio, come sempre accade in questi casi, a cominciare dalla solita pista passionale. La svolta arrivò nell’estate del 1949, quando arrivò a occuparsi del caso l’allora Capitano dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa. Il 4 dicembre dello stesso anno furono arrestati Vincenzo Collura e Pasquale Criscione. I due ammisero le loro responsabilità nel rapimento di Placido e chiamarono in correità Luciano Liggio, indicandolo come l’assassino del sindacalista e facendo importanti dichiarazioni sul luogo dove era stato gettato il corpo. Dalla Chiesa, con l’ausilio dei Vigili del Fuoco, riuscì a recuperare i resti di tre uomini, che furono poi mostrati ai suoi familiari. I verbali del tempo raccontano di come tutti dichiararono “di riconoscere gli scarponi appartenenti al loro familiare Rizzotto Placido”. Sembrava fatta, ma Collura e Criscione davanti ai giudici cambiarono versione affermando che le loro dichiarazioni erano state estorte dai Carabinieri. Il processo si chiuse il 30 dicembre del 1952 con la pronuncia della Corte d’Assise di Palermo che assolse tutti gli imputati per insufficienza di prove. Sentenza poi confermata nel processo di appello, conclusosi nel luglio del 1959, e con la decisione della Cassazione di respingere il ricorso della pubblica accusa. Era il 26 maggio del 1961. Placido, pestato a sangue, ucciso a colpi di pistola e gettato in un pozzo a 34 anni, non avrebbe mai avuto giustizia nelle aule di un Tribunale.

Memoria viva

Eppure, familiari e compagni di sindacato hanno continuato ad urlarla questa richiesta di giustizia, assieme all’appello a recuperare il corpo di Placido. Una richiesta che, se non in un Tribunale, qualcosa è riuscita a ottenere. Nel 2008 la Polizia si mise di nuovo sulla tracce del corpo di Rizzotto e il 7 luglio, grazie a un delicato e complesso intervento di recupero autorizzato dalla Procura di Termini Imerese e avvenuto con l’ausilio di unità speciali dei Vigili del Fuoco, dal pozzo di Rocca Busambra sono stati recuperati dei resti umani. La comparazione del DNA di questi resti con quelli di Carmelo Rizzoto, morto nel 1969 e riesumato per l’occasione, ha accertato che si trattava di Placido. È il 9 marzo del 2012, vigilia del 64° anniversario dell’omicidio. Una settimana più tardi, il Consiglio dei Ministri dispone la celebrazione dei funerali di Stato per Placido. La cerimonia si tiene a Corleone il 24 maggio, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. A Placido intanto era stata attribuita anche una Medaglia d’oro al merito civile:

Politico e sindacalista fermamente impegnato nella difesa degli ideali di democrazia e giustizia, consacrò la sua esistenza alla lotta contro la mafia e lo sfruttamento dei contadini, perdendo tragicamente la giovane vita in un vile agguato ad opera degli esponenti mafiosi corleonesi. Fulgido esempio di rettitudine e coraggio spinti fino all’estremo sacrificio”.

(Motivazione della Medaglia d’oro al merito civile)

Quel giorno di maggio a Corleone accorsero migliaia di cittadini e lavoratori da ogni angolo d’Italia. In chiesa prese la parola anche un altro Placido Rizzotto, nipote del sindacalista. Nelle sue parole ancora una richiesta di verità e giustizia per suo zio e tutti i sindacalisti uccisi. Ma anche il tenero ricordo di un uomo forte e generoso.

Zio Placido,
io non ti ho conosciuto personalmente ma solo attraverso le parole appassionate dette da quanti ti hanno vissuto accanto. Nonno Carmelo, che ha lottato per ottenere giustizia ed avere restituito il corpo del figlio. Nonna Rosa sempre vestita di nero per quel figlio che non tornò più.
Non ho avuto una tua carezza, però ho avuto un grandissimo dono: l’orgoglio di portare il tuo nome! Questo mi ha fatto, spesso, sentire quel figlio che non hai potuto avere. (…) Per te era stata scritta una storia terribile: cancellazione fisica e della memoria. Gettato in una buca “dove nessuno lo troverà più”, disse Luciano Liggio. Il tentativo di cancellare la tua memoria è da subito, però, miseramente fallito in quanto da sempre sei diventato il simbolo di tutti quei dirigenti sindacali che hanno pagato con la vita il loro impegno. Io ho portato avanti il desidero di tutta la famiglia di poter arrivare a questo giorno in cui finalmente potrai riposare in una tomba.
Spesso le date hanno un significato simbolico. Il 24 maggio del 1915 il placido Piave mormorava… “NON PASSA LO STRANIERO”. Oggi 24 maggio da Corleone, nel nome di Placido si levi un grido: “NON PASSI MAI PIU’ LA MAFIA”.
Ciao zio Placido, tu oggi hai vinto. Riposa in pace. Ora tocca a noi vincere.
Placido Rizzotto - nipote di Placido

La memoria di Placido continua a fare miracoli. A lui sono dedicati i Presidi di Libera di Forlì Cesena e di Scandicci. Porta il suo nome la prima cooperativa a marchio Libera Terra, nata nel 2000 a San Giuseppe Jato, sui terreni confiscati ai Corleonesi. E Placido Rizzotto si chiamano anche due vini, uno rosso e uno bianco, frutto della terra di Sicilia e del lavoro onesto e pulito che nasce sui beni confiscati.

Discorso di don Luigi Ciotti ai Funerali di Placido Rizzotto - 24 maggio 2012