Calamigna è il misterioso toponimo con cui viene comunemente identificato il piccolo paese di Ventimiglia di Sicilia. Il borgo - poco meno di duemila abitanti, arroccato sulle pendici del monte Cane - si trova in una zona interna a una quarantina di chilometri da Palermo. Ancora oggi, per quelle carenze infrastrutturali che caratterizzano molti luoghi della Sicilia interna, non è facile spostarsi da Palermo a Ventimiglia: più di un’ora per 40 chilometri. C’è da immaginare che, nei primi anni ’40 del secolo scorso, fosse anche peggio. Ma Giuseppe quella strada la conosceva molto bene e avrebbe potuto percorrerla a occhi chiusi. La faceva quasi ogni giorno, a bordo dell’unico autobus che collegava il Paese alla città capoluogo.
Giuseppe Puntarello era arrivato a Ventimiglia di Sicilia nel 1932, quando già aveva 40 anni. Vi si era trasferito da Comitini, un comune ancora più piccolo della provincia di Agrigento. Qui era nato, nel 1892, da Carmelo Puntarello e Alfonsa Alaimo. A Ventimiglia aveva dato una svolta alla sua esistenza. Si era sistemato in una casa in via Garibaldi, aveva trovato lavoro e, ben presto, aveva messo su una bella famiglia. Vi si era allontanato soltanto per poco tempo, quando, nel 1939, era emigrato in Eritrea, ad Asmara, da cui era però rientrato solo due anni dopo.
Sua moglie, Vincenza Samperi, gli aveva dato cinque splendidi figli: Carmelo, Alfonsina, Giuseppe, Matteo e Vincenzo. A loro Giuseppe era riuscito a garantire una vita tranquilla e dignitosa, grazie soprattutto a quel lavoro di autista di autobus che aveva ottenuto dalla ditta I.N.T., per la quale si occupava di coprire, alternandosi con un collega, la tratta Ventimiglia - Palermo. Era una lavoratore onesto e rigoroso. Credeva profondamente nel lavoro come strumento di dignità delle persone e, col tempo, si era sempre di più convinto della necessità di difenderlo e tutelarlo, lottando accanto ai lavoratori. Ragioni ideali che, nutrite da forti convinzioni antifasciste, lo avevano convinto, nel dopoguerra, ad aderire al Partito Comunista Italiano, della cui sezione di Ventimiglia divenne segretario, e a fondare la Camera del Lavoro, di cui divenne dirigente. Esperienze politico-sindacali che condusse con grande determinazione, convinto che quella per la difesa dei diritti dei lavoratori e della lavoratrici fosse una battaglia sacrosanta. Cominciò a occuparsi, in particolare, della lotta per la terra dei contadini e dei braccianti e per la concreta applicazione dei decreti Gullo, varati nel 1944 per volontà dell’allora Ministro “dei contadini” Fausto Gullo e che miravano a favorire l’occupazione delle terre incolte e la revisione dei patti agrari. Erano anni di scontri molto duri tra i contadini e la mafia della terra. Anni di battaglie politiche assai difficili e coraggiose, che costarono la vita a diversi esponenti del mondo sindacale. Battaglie delle quali Giuseppe fu in qualche modo protagonista.
Il 4 dicembre del 1945
Il turno del 4 dicembre 1945 non era di Giuseppe. Quella mattina non toccava a lui mettersi alla guida dell’autobus per Palermo. Ma Giuseppe aveva accettato di sostituire il suo collega e così, come al solito, si era svegliato all’alba per raggiungere la rimessa dove era parcheggiato il bus e cominciare la sua giornata di lavoro. Era uscito di casa senza lontanamente immaginare quello che, di lì a poco, sarebbe accaduto. Lungo il tragitto, un commando di killer lo aveva costretto a fermarsi, trucidandolo a colpi di lupara. Giuseppe non ebbe scampo. Morì sul colpo, forse senza neanche rendersene conto. Sua moglie Vincenza aveva 48 anni. Il più piccolo dei suoi figli, Vincenzo, appena 10.
Vincenza, rimasta vedova e senza alcuna entrata economica, dovette affrontare un periodo di grande difficoltà. I nonni provarono a prendersi cura dei figli di Giuseppe. Matteo, sordomuto, fu portato in collegio. Giuseppe invece venne assunto dall’I.N.T. al posto del padre. Ma non durò molto: pochi mesi più tardi, infatti, fu licenziato.
Vicenda giudiziaria
L’omicidio destò grande scalpore, soprattutto negli ambienti politici di sinistra e nel mondo del sindacato. Si mobilità anche la comunità di Ventimiglia, che conosceva Peppino Puntarello come un uomo onesto e perbene, sempre disponibile ad aiutare chi aveva bisogno. Di contro però, le indagini furono condotte in maniera affrettata e superficiale e sembrarono voler accreditare la tesi di uno scambio di persona. Si disse che il vero obiettivo dei killer era il suo collega. Forse, un tentativo di depistare le indagini e offuscare le vere ragioni alla base del delitto. Una tesi fortemente contestata dai compagni di Giuseppe:
Ieri mattina è stato assassinato a Ventimiglia, in provincia di Palermo, il compagno Giuseppe Puntarello, segretario della locale sezione comunista. Già varie volte la sezione aveva ricevuto minacce dalla maffia del luogo, al soldo del separatismo agrario, di cui anche il sindaco è un esponente. C’è di più: il maresciallo dei carabinieri aveva intimato ai nostri compagni la chiusura della sezione minacciando inoltre il confino ai compagni più in vista. Purtroppo non è la prima volta che i nostri compagni rimangono vittime della reazione agraria. E quel che è peggio, le autorità si sono dimostrate sempre incapaci di colpire con la necessaria energia questi delitti della maffia, questa polizia privata dei nostri signori feudali, di quella classe che mentre tenta di stroncare con tutte le armi, dall’assassinio alla calunnia, i movimenti d’avanguardia, sfratta dalla terra i contadini, nega loro le sementi per rappresaglia all’applicazione dei decreti Gullo, e sottraendo il grano all’ammasso affama nello stesso tempo tutto il popolo (…). Attendiamo intanto i provvedimenti delle autorità: ad esse però ricordiamo che in questi casi non agire con la massima sollecitudine, oltre che con la necessaria energia, equivale a non volere agire.
Parole nette e chiare, che riconducevano le ragioni di quell’agguato all’impegno politico e sindacale di Giuseppe a difesa dei contadini e dei braccianti agricoli. Per questo Giuseppe era stato assassinato, ennesima vittima innocente della battaglia per la dignità del lavoro e dei lavoratori. Ennesima vittima innocente senza giustizia e senza verità.
Memoria viva
A lungo, quella di Giuseppe Puntarello è stata una storia dimenticata. Poi la forza dirompente della memoria si è fatta strada, grazie soprattutto all’impegno della CGIL, che, negli anni, ha promosso numerose iniziative in ricordo di Giuseppe, del suo impegno e del suo sacrificio. Una memoria viva, che ancora oggi, insieme a quella dei tanti altri sindacalisti rimasti uccisi dalle mafie, indica una direzione di impegno a difesa del lavoro e della dignità dei lavoratori. Ad alcune di queste iniziative hanno partecipato anche i familiari di Giuseppe, testimoni diretti di quella memoria viva.
Mio nonno non si volle mai iscrivere al partito fascista. Dopo la guerra, si adoperò con altri per animare la vita sociale e politica di Ventimiglia, schierandosi con i braccianti e i contadini poveri, che sognavano un futuro migliore. Per anni a casa mia non si è mai potuto parlare del suo assassinio, perché mia nonna e mia madre chiudevano subito il discorso, trovando meno doloroso credere che fosse stato ammazzato per sbaglio. Un modo per esorcizzare la paura, per non fare i conti con la realtà. Sono contento che oggi la Cgil ricordi mio nonno come dirigente politico e sindacale, ridandogli il posto che merita nella storia.
Il 5 dicembre del 2018, il Comune di Palermo ha dedicato a Giuseppe una strada. Per la prima volta, con gli occhi bagnati dalla commozione, era presente Alfonsina, 92 anni, la sua unica figlia ancora in vita.
A lui è intitolata la sezione della CGIL di Ventimiglia.