Padula è un paesino di poco più di 5 mila abitanti in provincia di Salerno. Si trova a un centinaio di chilometri dal capoluogo di provincia, arroccato su una collina da cui domina la fertile pianura del Vallo di Diano. Un centro piccolo ma fortunato, impreziosito com’è dalla presenza della famosissima Certosa di San Lorenzo, la più grande in Italia e tra le principali d’Europa. Un complesso monumentale di enorme prestigio, nel 1998 dichiarato patrimonio dell’umanità dal’UNESCO. Ma la Certosa non è l’unico elemento cui è legata la fortuna e la notorietà di questo caratteristico borgo della provincia campana. Da qui parte infatti un ponte ideale che lega Padula agli Stati Uniti e, in particolare, a New York, alla quale questa cittadina ha donato uno dei suoi figli migliori, la cui fama travalica i confini del tempo e dello spazio.
È infatti qui, a Padula, in una bella casa su più livelli nascosta tra gli stretti vicoli del centro cittadino, che il 30 agosto del 1860 nasce Giuseppe Petrosino. Con i suoi tre fratelli, è il frutto del matrimonio tra Prospero Petrosino e Maria Giuseppa Arato. Una famiglia modesta, ma non povera. Anzi, la maestria e l’abilità sartoriale di Prospero, unico sarto del paese, gli avevano consentito di assicurare alla sua famiglia una vita assolutamente dignitosa, di cui quella casa era in qualche modo la dimostrazione evidente. I quattro figli di Prospero e Maria Giuseppa erano addirittura riusciti tutti a studiare, a imparare la musica, a suonare uno strumento. Privilegi di pochi all’epoca, in un contesto in cui analfabetismo e ignoranza erano estremamente diffusi. Giuseppe, in particolare, è un ragazzino curioso, attento e intelligente. Tratti di una personalità brillante che caratterizzeranno tutta la sua esistenza. Nonostante questa relativa tranquillità, però, Prospero aveva ambizioni ancora più grandi per sé e la sua famiglia, alla quale era desideroso di garantire un futuro ancora più roseo. Ed è per questa ragione che, pur non spinto da un bisogno immediato di sopravvivenza, nel 1873 mette su una nave tutta la sua famiglia e parte alla volta di New York.
Dall’altra parte dell’Oceano
Sono gli anni in cui l’emigrazione italiana negli Stati Uniti raggiunge il suo picco. Si calcola che tra il 1860 e il 1915 furono 4 milioni gli italiani che salparono alla volta del continente americano e di questi il 70% circa proveniva dal meridione. Carichi di umanità disperata che intravedeva in quel viaggio l’unica possibilità per una vita dignitosa e un futuro migliore.
Giuseppe Joe Petrosino cresce nel sobborgo di Little Italy e immediatamente si dà da fare per aiutare la famiglia. Si arrangia come può, dapprima lavorando come venditore di giornali poi riuscendo a mettere su una piccola postazione di lustrascarpe. Il luogo in cui decide di avviare questa attività però non è scelto a caso. Il suo banchetto lo sistema esattamente di fronte al Dipartimento di Polizia. Lo fa perché da tempo coltiva un sogno, quello appunto di diventare poliziotto. Sapeva bene Joe che, per un italiano, più che un sogno si trattava di una illusione. Eppure lui continuava a crederci e a lavorare a quella possibilità. Lustrava le scarpe e intanto faceva amicizia con gli agenti. Non solo, comincia anche a passare qualche informazione ai poliziotti. Lavora in strada, in mezzo ai suoi connazionali, e non è raro per lui ascoltare e raccogliere notizie su qualche affare criminale che poteva interessare il Dipartimento. Insomma, in breve tempo riesce a conquistarsi la fiducia di molti agenti. Del resto Joe era cresciuto portandosi dentro un grande senso della giustizia e un profondo orgoglio per le sue origini italiane. Ciò che gli faceva apparire particolarmente odiosa quella nomea di “mafiosità” affibbiata alla comunità italiana. Dunque, quegli italiani le cui gesta criminali alimentavano questo stereotipo gli erano insopportabili e lui li avrebbe combattuti, con ogni mezzo.
La cittadinanza statunitense
Nel 1877 ottiene la cittadinanza e si guadagna un lavoro di netturbino. All’epoca, i netturbini erano alle dipendenze del Dipartimento di Polizia e per lui questo fu un ulteriore passo verso la realizzazione del suo sogno. Si fa più intensa la sua attività di informatore nel mentre crescono le difficoltà della Polizia a far fronte al dilagare della criminalità organizzata italiana, che intanto si organizza in una vera e propria struttura criminale: la Mano Nera, una potente organizzazione dedita per lo più al taglieggiamento delle attività commerciali, comprese quelle italiane. I poliziotti sono quasi tutti ebrei o irlandesi e l’incapacità di capire e farsi capire dagli italiani diventa un elemento ulteriore di difficoltà per le indagini. Joe è italianissimo, è istruito e parla perfettamente le due lingue. Si rivela così una risorsa preziosissima per il Dipartimento. Ed è grazie a un gesto eroico - il primo di una lunghissima serie - che riesce a conquistarsi finalmente la divisa, sventato, scopa alla mano, un agguato pianificato dalla Mano Nera ai danni del capo della Polizia. Così nel 1883 gli viene consegnato il distintivo. Joe si fa strada immediatamente e arriva a stringere un rapporto diretto di stima e amicizia con l’allora assessore alla Polizia, Theodore Roosevelt, che poi, nel 1901, diventerà Presidente degli Stati Uniti.
L’amicizia con Theodore Roosevelt
Anche grazie a questa amicizia di peso, ma sopratutto per le sue straordinarie doti investigative, Joe fa carriera. Nel 1895 viene liberato dalla divisa e destinato ad attività di indagini. La sua fama si diffonde e i criminali cominciano seriamente a preoccuparsi di lui. Compie centinaia di arresti, sventa attentati, libera i commercianti dalla morsa del racket. Diventa ben presto un mito, circondato da un alone di mistero che alimenta ricorrendo a metodi di indagine straordinariamente innovativi, alcuni dei quali utilizzati ancora oggi: travestimenti, appostamenti, irruzioni, operazioni di disinnesco di ordigni e bombe. In questi anni decide anche di mettere su famiglia e sposa Adelina Saulino, da cui avrà la sua unica figlia, anch’ella di nome Adelina. Poi, nel 1905, ottiene la promozione al grado di Tenente e fonda l’Italian Branch (poi chiamata Italian Squad), la prima squadra di poliziotti composta interamente da agenti italiani. La sua lotta contro il crimine organizzato e la Mano Nera si fa ancora più intensa. Indaga sui legami della mafia newyorkese con quella siciliana e comincia a indagare, in particolare, su un certo Vito Cascio Ferro, boss originario di Bisacquino, in provincia di Palermo, anch’egli emigrato negli Stati Uniti e diventato ben presto elemento di spicco della Mano Nera, con appoggi e amicizie assai importanti. Joe è convinto che prima o poi riuscirà ad incastrarlo, scoprendo e smascherando legami e coperture che gli garantivano potere e appoggio.
La missione in Italia
Convinto che la forza della Mano Nera non possa prescindere dai suoi collegamenti con la Sicilia, è forse per inseguire proprio una di queste piste investigative che comincia a pianificare un viaggio in Italia. Si muove in assoluta segretezza, per non allertare mafiosi e criminali. Ma una fuga di notizie dà in pasto alla stampa la missione di Petrosino. Joe però non cambia idea e parte ugualmente. Arriva in Italia e la sua prima tappa è Padula, dove lo aspetta la sua famiglia di origine. Si ferma qualche giorno a casa prima di partire per Palermo. Lascia a Padula una delle tre valige di pelle con cui è arrivato in Italia e alcuni effetti personali, promettendo a suo fratello di ripassare prima di ripartire per gli Stati Uniti. Ma a Padula Joe non tornerà mai più.
La sera del 12 marzo 1909, intorno alle 20.45, Joe è in Piazza Marina, a Palermo. Per strada, in molti aspettano l’arrivo del tram. Improvvisamente la folla è richiamata da 3 colpi di pistola esplosi in rapida successione, seguiti da un ultimo colpo pochi secondi dopo. La gente scappa e, quando la piazza si svuota, qualcuno nota sul selciato il corpo di un uomo. È Joe. I colpi lo hanno raggiungo al collo e alla spalla. L’ultimo, quello mortale, alla testa. Per lui nessuna possibilità di scampo.
La notizia dell’uccisione del poliziotto italo-americano si diffonde rapidamente. Avrà due funerali, uno in Italia e l’altro a New York. Negli Stati Uniti al corteo funebre partecipano 250 mila persone: due ali di folla commossa salutano il feretro, accompagnato da Roosevelt, allora al suo ultimo anno di mandato presidenziale. Joe viene salutato come un eroe. Nel cimitero dove è sepolto, tra tante lapidi basse, secondo lo stile americano, il suo è l’unico monumento funebre ad avere un piedistallo.
Vicenda giudiziaria
Le indagini per l’omicidio di Joe Petrosino, all’epoca quarantanovenne, si indirizzano immediatamente su Vito Cascio Ferro. Al suo arresto, gli viene trovata addosso una foto di Joe. Ma le accuse contro di lui cadono grazie all’alibi fornitogli dall'onorevole Domenico De Michele Ferrantelli. L’onorevole afferma che, nel momento in cui Petrosino veniva ucciso, Cascio Ferro era ospite in casa sua. Nel 2014, a distanza di più un secolo dall'assassinio del detective, alcune intercettazioni telefoniche svolte nell'ambito di una più vasta operazione di polizia, hanno confermato il coinvolgimento di Cascio Ferro quale mandante dell'omicidio Petrosino e di Paolo Palazzotto quale esecutore materiale del delitto.
Memoria viva
Quella di Joe è diventata, negli anni, una figura mitica della lotta alla mafia. È sconfinata l’influenza che la sua storia ha avuto sulla cultura di massa: fumetti, serie tv, opere teatrali, film interpretati da alcuni tra i più grandi attori della storia del cinema. E poi intitolazioni, associazioni nazionali e internazionali, parate, premi. A più di 110 anni dalla sua morte la sua storia continua a essere testimonianza viva di orgoglio, dedizione, coraggio, in Italia come in America e ovunque nel mondo.
A Padula, la sua casa natale è diventato un museo dove sono conservati cimeli, oggetti personali e una divisa di Joe. Ad animare questo luogo di memoria, l’ultimo suo pronipote vivente, Nino Melito Petrosino, autore anche di un libro che ne narra la vicenda: “Joe Petrosino, l’incorruttibile”. Da decenni, Nino gira il mondo per raccontare la storia di questo poliziotto di valore e qui, a Padula, accoglie centinaia di visitatori ai quali racconta, senza mai stancarsi, le gesta eroiche di un bambino partito da Padula alla conquista dell’America.
Zio Joe nel 1891 al New York Times affermava: “Se noi fossimo una sola voce erigeremmo un muro contro cui questi soggetti sbattano la testa e così potremmo essere vincitori. Purtroppo però costoro sono mantenuti in piedi dalle nostre defaillance”. Dato che zio Joe era il tipo che gradiva farsi capire anche dall'ultimo della strada aggiunse: “Fino a quando qualcuno di noi si vende, la mafia prolifica”. Nella galleria virtuale della mafia e dell'antimafia della Casa Museo a Padula abbiamo una sezione che si intitola “la connivenza” ben rappresentata da questo episodio: l'onorevole Raffaele Palizzolo, palermitano, arriva a New York per una serie di incontri. Zio Joe che aveva una mappatura precisa di tutti i mafiosi sapeva bene che era un pezzo da novanta della mafia, e gli vietò l'autorizzazione a tenere comizi. L'onorevole dopo quattro giorni prese la nave e se ne tornò in Sicilia. Naturalmente fu richiamato dai superiori ma rispose: “Non guardo alle cariche, ma ai curriculum e alle azioni che interessano le persone”. Una lezione sempre valida anche e soprattutto per i giovani d’oggi.