La vita di Ambrogio Mauri incarna il tratto fondamentale della sua terra di origine: la dedizione e la passione per il lavoro. Per Ambrogio Mauri «il lavoro veniva prima di tutto».
Inizia a lavorare giovanissimo, quando a soli 19 anni eredita dal padre una piccola officina, a conduzione familiare. Ambrogio ne prende la direzione e ben presto le attività crescono e si ampliano, fino a trasformare la piccola officina familiare in una grande azienda all'avanguardia, diventando uno tra i maggiori costruttori di autobus di linea del nord Italia.
Ambrogio ama il suo lavoro, è un imprenditore caparbio e coraggioso, che negli anni introduce nel mercato italiano importanti innovazioni tecnologiche: la lega leggera, il condizionamento, il piano ribassato, la marcia autonoma, e molte altre ancora.
Negli anni '70, tuttavia, i primi problemi di corruzione, ancora invisibile agli occhi di tanti. Nel corso degli anni la corruzione diventa sempre più presente, diventando un sistema, con le sue regole ferree: "O paghi o non lavori".
Ma Ambrogio decide di non adeguarsi al sistema, di seguire un rigido codice etico di comportamento e sceglie di non piegarsi, mai, alla legge dello scambio. La sua determinazione fa sì che l'azienda venga sistematicamente esclusa dai bandi. Anno dopo anno diventa invisibile, regolarmente ignorata nelle gare d’appalto.
Con la stagione di Tangentopoli che investe l'Italia dei primi anni '90, Ambrogio spera in un cambio radicale di paradigma, finalmente mazzette e ricatti non saranno più l'elemento fondamentale delle gare d'appalto. Finalmente si potrà tornare a lavorare onestamente.
Quando, tuttavia, termina Mani Pulite, tutto sembra tornare come prima. Nel 1996 l'azienda partecipa a una gara dell'azienda di trasporto di Milano, l'ATM per la fornitura di 100 autobus di linea. Una commessa importante, che avrebbe fatto ripartire l'azienda e permesso a tutti i suoi lavoratori di continuare a sostenere le proprie famiglie. Pur essendo l'azienda migliore, l'unica ad avere tutti i requisiti richiesti per vincere la gara, l'appalto sarà assegnato da un altro soggetto. La delusione, la rabbia, l'amarezza sono enormi. Ambrogio si sente sconfitto, senza forze per poter proseguire. Nulla potrà mai cambiare.
La lettera di addio, il testamento morale
Ambrogio non riesce a sopportare quest'ultima beffa e decide, in un atto di protesta estremo, di togliersi la vita. Si suicidò nel proprio ufficio, con un colpo di pistola al cuore. Poco prima di compiere il suo gesto finale, lascia questa lettera ai suoi familiari.
Come tanti ho cercato disperatamente di fare il mio dovere di uomo, di imprenditore. In politica come nella vita. Sempre. Mi trovo con un mondo che non comprendo più. I valori che mi hanno insegnato sembrano scomparsi. Peccato che io non credo più in questo Paese, dove, corruzione e prepotenze imperversano sempre.
Auguro, a chi continua a resistere, di avere maggiore “fortuna” di me.
Potrà sembrare un atto di egoismo. Non lo è. Sono proprio stufo di lottare ogni giorno contro la stupidità e la malafede e non capisco se è incompetenza. Come tanti, ho cercato disperatamente di fare il mio dovere, di uomo, di imprenditore. Sempre. Qualcuno preparato c’è, però sono casi isolati.
Abituato ad essere uno che guardava avanti con fiducia, ora, dopo Tangentopoli tutto è tornato come prima. Più raffinati. Forse chissà saranno anche onesti.
Una cosa è certa la professionalità non pone al primo posto l’interesse pubblico.
C’è chi rinuncia alla vita perché non riesce a lavorare per troppa trasparenza. Non serve a nulla essere professionalmente seri. Il mio vuole essere un gesto estremo della protesta di chi si sente isolato dalla così detta società Civile.
P.S. Una bara povera e un ciuffo di margherite, il resto è solo retorica. Se fosse possibile vorrei essere il primo sepolto nel nuovo cimitero per essere più vicino al luogo dove ho lavorato e... sofferto molto.