Giovanni Panunzio nasce a Foggia il 4 febbraio del 1941. Presto rimane orfano di padre e per questo, ancora ragazzino, capisce di dover aiutare la sua modesta famiglia. Inizia distribuendo il pane casa per casa e poi lavora come aiuto-carpentiere nei cantieri. È un ragazzo intraprendente Giovanni, anche se non ha la possibilità di finire la scuola, si mette da solo a studiare le tecniche per migliorarsi sul lavoro tanto che, presto, diventa carpentiere.
Giovanni impara velocemente e si applica con costanza così, dopo anni di continuo lavoro, riesce a metter su una sua impresa di costruzioni: dapprima inizia a costruire in provincia e poi, qualche tempo dopo arriva in città.
Lavora con dedizione e impegno, diventando così, a soli 51 anni, uno tra i più importanti costruttori del capoluogo foggiano, dando lavoro a più di 70 persone.
L'inizio delle minacce
Siamo alla fine degli anni ’80 e la pressione della mafia locale, sempre più organizzata e ramificata in Capitanata, si imprime sull’imprenditoria edile foggiana, stretta tra la necessità di regolamentare la città con un piano regolatore e la morsa del racket.
La vita di Giovanni sembra percorrere su binari sicuri, trascorre le sue giornate dividendosi tra il lavoro e la sua amata famiglia, che nel frattempo si è allargata con l’arrivo dei suoi quattro figli, ma tutto viene improvvisamente stravolto una sera qualunque di dicembre del 1989, quando Giovanni viene raggiunto da una telefonata. Gli vengono fatte richieste estorsive da parte della mafia foggiana, la cosiddetta “Società”, per due miliardi di lire. Giovanni non cede al ricatto. Iniziano così a susseguirsi i primi avvertimenti, minacce sempre più frequenti, sia personali sia rivolte alla sua famiglia. Un giorno due persone gli si avvicinano e gli puntano addosso una pistola che però, per un caso fortunato, s’incepperà. Un omicidio fallito. Giovanni inizia ad aver paura, si confida con le Forze dell’Ordine e gli viene assegnato un trattamento di semi-scorta: deve avvisare la Questura di ogni suo spostamento. Giovanni sa che rischia la vita ma sceglie ugualmente di schierarsi dalla parte giusta, sceglie di rompere il muro dell'omertà e di puntare il dito contro la mafia foggiana e di affidare le sue paure, i suoi sospetti, le sue certezze a un memoriale che consegnerà ai Carabinieri per denunciare i suoi estorsori. E proprio quel memoriale, nel dicembre del 1991, fa scattare un blitz in città da cui scaturiscono numerosi arresti di esponenti di spicco della mafia locale. Giovanni, con la sua voglia di reagire, ha così incrinato le maglie dell’omertà, rotto la barriera del silenzio colpevole e la risposta della mafia non si farà attendere.
Sono passati 27 anni dall'omicidio di Giovanni Panunzio, e ci ritroviamo nelle stesse condizioni, e nel frattempo ci sono state altre persone che hanno perso la vita. Non ci sono scusanti per la paura, che abbiamo superato quando eravamo soli, oggi ci sono le istituzioni che fanno il loro dovere e le associazioni, oggi ci sono tutte le condizioni per denunciare senza correre grossi pericoli, bisogna avere un pizzico di coraggio in più. Dobbiamo contrastare sin da subito i piccoli reati.
Il 6 novembre 1992
È il 6 novembre del 1992, è sera, Giovanni è ad assistere a un’accesa seduta del Consiglio Comunale cittadino dove deve essere approvato il nuovo piano regolatore della città. Non aspetta la conclusione della seduta, esce dalla sala consiliare, sale sulla sua Y10 e si dirige verso casa. È il giorno del suo anniversario di matrimonio e vuole fare una sorpresa a sua moglie. Sta percorrendo via Napoli, via centrale della città, situata poco distante dal Comune, quando i killer entrano in azione sparando quattro o forse più colpi di pistola. Giovanni, colpito alle spalle, al collo e al polso, si accascia sul volante; a nulla servirà la corsa contro il tempo per raggiungere il vicino ospedale. Alle 22:40 la mafia interrompe la vita di quell’uomo che deve esser punito due volte: per non aver pagato il pizzo e per aver osato parlare.
Vicenda giudiziaria
Con l’omicidio di Giovanni viene fuori la fragilità di una città che si scopre – nuovamente, dopo l’omicidio di un altro imprenditore edile, Nicola Ciuffreda, il 14 settembre del 1990 - preda della paura. L'indomani mattina i cittadini foggiani devono prendere coscienza della reale forza della criminalità locale, di come quest'ultima sia radicata anche nell'imprenditoria e nella politica.
Grazie alla testimonianza di Mario Nero - un uomo che quella sera stava portando a spasso il suo cane proprio in via Napoli, assistendo così all’omicidio di Giovanni e che diventerà testimone di giustizia - il processo viene non solo celebrato, ma anche concluso arrivando a condannare con sentenza definitiva l’esecutore materiale.
E grazie alla sentenza del maxi - processo Panunzio per la prima volta viene sancita l'esistenza di una criminalità organizzata di stampo mafioso radicata sul territorio dauno, diversa e indipendente dalle altre storiche mafie meridionali, che da quel momento in poi verrà chiamata la Società.
Memoria viva
I familiari di Giovanni sono stati sempre attivi affinché la sua memoria non cadesse nell’oblio.
Nel 2015, grazie all’impegno di un gruppo di volontari e di Giovanna Belluna, nuora di Giovanni e moglie di Michele Panunzio, è nata l’Associazione “Giovanni Panunzio – Eguaglianza Legalità Diritti” che si propone di agire nel territorio della Capitanata per offrire il proprio contributo al contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata, soprattutto quelli legati al racket, nonché al contrasto delle discriminazioni contro le persone socialmente svantaggiate, anche a causa dell’illegalità diffusa, con un’attenzione per le questioni legate al genere.
Alla memoria di Giovanni è stata inoltre intitolata l’Associazione Antiracket di Portici.
La Meridiana ha pubblicato un libro dal titolo "6_Novembre_1992. Il coraggio di un uomo" scritto da Michela Magnifico.