17 dicembre 1980
Giugliano (NA)

Filomena Morlando

Mena aveva solo 25 anni quando è stata uccisa. "La persona sbagliata al momento sbagliato" è stato detto tante, troppe volte. Cosa c'è di sbagliato in una giovane donna che passeggia tra le vie del suo paese? Di sbagliato c'è solo chi si è servito di lei, chi l'ha usata per salvarsi la vita. Di sbagliato ci sono le sparatorie di camorra in mezzo alle strade, incuranti della vita degli altri.

Filomena Morlando, da tutti chiamata Mena, nasce a Giugliano in Campania, uno dei più popolosi centri a nord di Napoli, il 19 aprile del 1955.
La sua è una famiglia normale, come tante; papà è un impiegato delle poste e mamma fa l’insegnante, e ha due fratelli, Angelo e Francesco.
Ha un sorriso pulito, è gentile e dolcissima e sogna di fare la maestra elementare. Così, non appena consegue il diploma comincia a fare qualche supplenza nelle scuole private della zona. 
Ha tanti sogni e progetti, vuole diventare maestra di ruolo e per questo studia e si impegna con dedizione e costanza, sogna di costruirsi una famiglia tutta sua. Una delle sue grandi passioni è la musica, ballare la fa sentire viva.
Abita con la sua famiglia in un’abitazione di un piano in via Monte Sion, quasi al centro storico di Giugliano. Ha una vita serena, circondata dall’affetto dei bambini della sua classe e dall’amore della sua famiglia.
Il Natale del 1980 è ormai alle porte e Mena non può fare a meno di pensare ai piccoli regali da fare alla sua famiglia e ai suoi amici più cari; le piace infatti far loro delle sorprese per vederli sorridere. Mena è una ragazza generosa e altruista, nei suoi pensieri viene sempre prima la felicità dei suoi cari. In quei giorni è particolarmente felice perché con i bambini della sua classe sta preparando la recita di Natale e lei ne è entusiasta e emozionata; non vede l’ora di vederli recitare con i vestiti di scena davanti agli occhi emozionati dei loro genitori.

Il 17 dicembre del 1980

Nel tardo pomeriggio del 17 dicembre Mena esce di casa per una commissione; sua mamma deve recarsi in lavanderia per ritirare dei vestiti, ma Mena si propone di andare al suo posto. Fa freddo e non vuole che la mamma esca  solo per quello: “Ci vado io – le dice – non preoccuparti, è qui vicino, faccio due passi e torno subito! Ci vediamo tra poco!”. Decide di andarci a piedi perché la lavanderia si trova a pochi passi da casa, così si incammina, assorta nei suoi pensieri. Sta passando davanti al piazzale antistante alla Chiesa di Sant'Anna e si perde a guardare le luminarie che sono state già montate e che rendono l’aria fredda e pungente di dicembre più calda e accogliente, quando all’improvviso sente degli spari. Sembrano mortaretti e, dato il periodo natalizio, è probabile che lo siano visto che i ragazzini ne sparano in grandi quantità. Invece, questa volta, non lo sono. Sono veri e propri colpi di pistola: Mena infatti si trova coinvolta nell’agguato diretto a colpire Francesco Bidognetti, boss emergente della camorra casalese, in quel periodo in soggiorno obbligato proprio a Giugliano. Sono momenti concitati: Mena non fa in tempo a rendersi conto di ciò che sta accadendo né a scappare quando viene presa come scudo dal boss che, per difendersi dai proiettili, si nasconde dietro di lei. Viene così colpita in pieno da due proiettili calibro nove e muore sul colpo, a soli 25 anni, a una settimana dal Natale, portando con sé tutti i suoi sogni e progetti per il nuovo anno. Viene soccorsa e trasportata all’ospedale, ma il suo cuore ha già smesso di battere. 
Il vero obiettivo dell’agguato ne esce invece illeso: riesce a scappare e a farla franca. 
A terra rimangono solo i bossoli di pistola, ma nessuno parla, nessuno ha visto o sentito niente, anche se sono le 18 di un pomeriggio vicino al Natale, in una via centrale del paese.
Mena viene uccisa dalla furia omicida dei clan locali che si fanno la guerra per spartirsi il territorio e gli appalti per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto in quello stesso anno.
Ma Mena viene uccisa due volte, dal silenzio e dalla paura dei suoi concittadini e dalla stampa locale che, il giorno dopo, definendola in modo irrispettoso «la maestrina», insinuano che, è stata uccisa per motivi passionali.
Nessuno vuole pronunciare la parola camorra anche se, dai i bossoli ritrovati e dalla dinamica dei fatti, non ci vuole molto a capire che si tratta di un agguato mafioso.
I genitori di Mena non resistono a tutto quel dolore; da quel giorno non si riprenderanno più e moriranno, a breve distanza di tempo, di crepacuore.

Vicenda giudiziaria 

Per troppo tempo la stampa ha ingiuriato il nome e la storia di Mena parlando del suo caso nei termini di un omicidio passionale. Solo due anni dopo dal suo omicidio, i giornali daranno la notizia che per quel delitto è stato arrestato un uomo; si tratta di Francesco Bidognetti, colui che sarebbe diventato uno dei boss dei casalesi. Quei proiettili erano destinati a lui.
Grazie al lavoro delle Forze dell’Ordine e della Procura si riesce a ricostruire che Mena si era trovata nel pieno di un regolamento di conti tra Francesco Bidognetti, all'epoca boss emergente della camorra casalese in soggiorno obbligato a Giugliano, e vecchi esponenti della Nuova Camorra Organizzata, come Battista Marano, che era legato al clan Mallardo, affiliati al boss Raffaele Cutolo.
In seguito il boss verrà assolto, ma la ricostruzione del giorno dell’agguato è stata poi confermata da numerosi collaboratori e accertata giudiziariamente, tanto che Mena sarà poi riconosciuta “Vittima di mafia” dal Ministero dell’Interno.

Memoria viva

I familiari di Mena, e in particolare il fratello Francesco, si sono battuti negli anni perché Mena fosse riconosciuta quale vittima innocente di camorra. 

Andate via. Liberate queste terre dalla vostra schifosa oppressione. Ridateci la dignità di uomini liberi. Regalate un sogno ai vostri figli perché vivano in pace senza vergognarsi dei loro padri. Il vostro potere è le vostre ricchezze sono effimere, non vi apparterranno per sempre. Siete destinati, prima o poi, al carcere duo o a essere ammazzati. Ed io vi chiedo: “Ne vale la pena di fare questa vita? Credo proprio di no.
Francesco - fratello di Mena, rivolgendosi ai boss mafiosi

Nel mese di giugno 2014, l'associazione Libera ha inaugurato il nuovo presidio a Salerno e lo ha dedicato alla sua memoria. Così come alla sua memoria è dedicato il presidio di Libera a Giugliano, la sua città.
La storia di Mena Morlando è raccontata nel libro di Raffaele Sardo "Come nuvole nere", edito da Melampo e promosso dalla Fondazione Polis nel 2013, e nell'opera del magistrato Raffaele Cantone "Solo per giustizia", pubblicata da Mondadori nel 2010.  

Mena è stata «ammazzata dalla camorra», ma non è un’eroina né avrebbe voluto diventarlo. Va ricordata perché ha pagato anche per noi, per la nostra indifferenza su ciò che ci accadeva (e ancora ci accade) intorno.
Raffaele Cantone - magistrato