I giorni di Natale di quel 1967 erano passati tranquilli. Giuseppe e Vittoria li avevano trascorsi a casa dei genitori di lei, insieme alle figlie Antonietta e Carmelinda. Giuseppe amava quei momenti di intimità familiare, in cui godersi la serenità dei suoi affetti. Era lontano dalla sua terra, quella Sicilia che non aveva mai comunque smesso di portare nel cuore. Anzitutto perché lì, in Sicilia, ancora si trovava la sua famiglia di origine: suo papà Graziano, sua mamma Carmela, i suoi fratelli Edoardo e Saro. E poi sua sorella Caterina, solo da pochi anni trasferitasi in Svizzera. Tornare a casa significava dunque poter riabbracciare tutti loro e immergersi, una volta di più, nelle atmosfere uniche della sua terra. E così, ogni volta che poteva, faceva le valigie e tornava a Santa Teresa di Riva, in provincia di Messina, dove era nato il 6 aprile del 1929.
Doveva andare così anche in quel 1967 e forse in quelle ultime ore di lavoro del 29 dicembre Giuseppe Piani stava proprio programmando i dettagli della partenza per festeggiare il capodanno a Misserio, la frazione di Santa Teresa dove aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza. Le valigie erano pronte e di lì a poche ore sarebbe iniziato quel viaggio, come sempre insieme a Vittoria e alle loro figlie.
L’Arma dei Carabinieri
Era un Carabiniere scelto Giuseppe. Si era arruolato nell’Arma poco più che maggiorenne, subito dopo il servizio militare. Ed era stato proprio per inseguire il suo progetto di lavoro e di vita che, poco dopo, aveva lasciato la Sicilia per prestare servizio prima a Gaeta, poi a Bergamo, Genova, Milano, Salerno e, infine, a Torre del Greco, in provincia di Napoli. Qui conobbe Vittoria, di cui si innamorò e che sposò nel 1959. Con lei aveva deciso di trasferirsi a Sarno, in provincia di Salerno ma non lontano da Torre del Greco, dove prestava servizio nella squadra di Polizia Giudiziaria della Tenenza dei Carabinieri. Da quel matrimonio erano nate due stupende bambine, Antonietta e Carmelinda. Tutti i tasselli sembravano essere perfettamente al loro posto, a comporre il puzzle di una vita tranquilla e serena divisa per lo più tra il lavoro che amava, e nel quale credeva fermamente, e la sua famiglia.
Quel 29 dicembre del 1967 Giuseppe era al lavoro nel suo ufficio. Toccò proprio a lui prendere la telefonata anonima che, intorno alle 16.30, avvisava i militari della presenza, all’interno della barberia Ascione di Torre del Greco, di un pregiudicato ricercato dalle Forze dell’Ordine perché destinatario di un ordine di carcerazione firmato dall’Autorità Giudiziaria. Giuseppe Cosenza, così si chiamava l’uomo, doveva scontare dieci giorni di carcere. Giuseppe posò la cornetta e chiamò il collega brigadiere Antonio Pizzo: c’era da andare a prelevare Cosenza e portarlo in caserma. I due fecero per andare, ma si accorsero che, in quel momento, non erano disponibili auto di servizio. L’operazione però andava conclusa e il Carabiniere scelto Piani non ci pensò due volte: afferrò le chiavi della sua Fiat 500 e, con il collega, si recò sul posto dove la soffiata aveva segnalato la presenza del pregiudicato. Pochi minuti dopo i due erano all’interno della barberia. “Arrenditi, sei in arresto”. Cosenza, che aspettava il suo turno per radersi, non oppose alcuna resistenza. Si arrese, appunto. Chiese però di non essere ammanettato. I due militari lo accontentarono. In fondo l’uomo non aveva reagito in alcun modo e del resto avrebbe dovuto scontare solo dieci giorni di carcere. Nulla che potesse metterli in allarme insomma. Cosenza seguì i due, che non gli misero le manette e non lo perquisirono. L’uomo si sistemò sui sedili posteriori, Giuseppe alla guida, il brigadiere Pizzo al suo fianco. Pochi metri solo e poi la tragedia, assolutamente inaspettata.
Cosenza aveva evidentemente programmato tutto in quei pochi minuti. Sotto al giubbotto che indossava nascondeva una pistola. La estrasse senza essere visto ed esplose 8 o 9 colpi a distanza ravvicinatissima. 5 proiettili colpirono Pizzo, ferendolo gravemente. Gli altri raggiunsero alle spalle Giuseppe, colpendo gli organi vitali. Il carabiniere perse quasi immediatamente conoscenza. L’assassino si catapultò fuori della macchina e si diede alla fuga. Pizzo tentò una reazione, tirò fuori la sua arma e sparò, ma a vuoto. Poi stramazzò al suolo. Seppur ferito molto gravemente, si salvò. I due militari furono soccorsi da un giovane di passaggio, che li caricò sulla sua auto per portarli in ospedale. Ma per Giuseppe non ci fu nulla da fare. Morì colpito alle spalle, senza alcuna possibilità di reazione, a 38 anni.
La serenità di quella famiglia era stata distrutta per sempre da una violenza tanto inaudita quanto inattesa. Le cronache degli ultimi giorni dell’anno furono occupate da questa storia drammatica, che sconvolse tutta Italia. Una giovane vita spezzata per dieci giorni di carcere. I funerali di Stato si tennero il 31 dicembre, dapprima a Torre del Greco e poi a Sarno, alla presenza delle più alte cariche dello Stato. Da Misserio arrivarono per dare l’estremo saluto a Giuseppe anche suo padre Graziano e i suoi fratelli Saro ed Edoardo. In Sicilia rimase la madre malata. Vittoria e le figlie Antonietta e Carmelinda accompagnarono Giuseppe nel suo ultimo viaggio verso il cimitero di Sarno, dove oggi riposa “nella schiera degli eroi, da dove prega per i suoi cari”, come recita l’epitaffio sulla sua tomba.
La sua famiglia, e in particolare sua figlia Antonietta, hanno trasformato il dolore della perdita in impegno quotidiano. Un impegno che ha trovato gambe in Libera, nella rete dei familiari delle vittime innocenti e in tante iniziative di solidarietà e di volontariato che Antonietta segue in prima persona nella città di Sarno, dove tuttora vive. È così che la memoria di quest’uomo giusto diventa, ogni giorno, strumento vivo e concreto per costruire percorsi di giustizia e di cambiamento.
Vicenda giudiziaria
La fuga di Giuseppe Cosenza durò poche ore: fu arrestato nella sua casa di Torre del Greco il primo giorno del 1968. Provò a fuggire sparando nuovamente ai carabinieri che erano andati a prelevarlo, ma non ebbe scampo. Fu processato per direttissima e condannato all’ergastolo.
Memoria viva
L’Arma conferì al Carabiniere scelto Giuseppe Piani, ucciso nell’adempimento del dovere, la promozione al grado di Appuntato e la Medaglia d’oro al valor militare. Nella motivazione si parla di un uomo dalle spiccate doti morali, militari e di carattere, che si dedicava al suo lavoro con energia infaticabile, slancio ed entusiasmo. Un Carabiniere fedele, leale e generoso.
Il 28 maggio del 2010 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito a Giuseppe Piani la Medaglia d’oro al merito civile alla memoria, indicando in lui un “nobile esempio di altissimo senso del dovere e di elette virtù civiche”.
La storia di Giuseppe è raccontata nel libro di Raffaele Sardo "Al di là della notte", edizioni Pironti e promosso dalla Fondazione Polis.
La perdita di un genitore è un grande dolore per ogni figlio. L'uccisione del proprio padre per mano di un altro uomo è inaccettabile. Ogni 29 dicembre per me si rinnova la stessa sofferenza. Per una bambina, quale ero io, le parole "il tuo papà ha dato la vita per lo Stato" erano incomprensibili. Mio padre non era un eroe, era semplicemente una persona perbene, con un forte senso del dovere. Ma con l'affetto di tanti mi sono sentita meno sola."