31 gennaio 2002
Lauro (AV)

Francesco Antonio Santaniello

Una vita fatta di sacrifici, senza lamentarsi mai. Cercando di dare sempre il meglio di sé per ciò che aveva più importanza per lui: la sua famiglia. Questo era Totonno. Un uomo che si era fatto da sé e costretto ad andare via dalla sua terra alla ricerca di un futuro migliore. Aveva imparato alla vita che ciò che si guadagna con onestà e con fatica, nessuno può portartelo via.

All’inizio degli anni 2000 Quindici contava circa 3000 abitanti. Negli anni successivi, la popolazione di questo piccolo paese del Vallo di Lauro, in provincia di Avellino, è drasticamente diminuita. È un territorio difficile, dove costruirsi un futuro non è per niente semplice. L’emigrazione è dunque un fenomeno strutturale. Si parte alla ricerca di una prospettiva di vita diversa. E del resto a Quindici, a rendere tutto più complicato, ci si è messa anche una faida che da oltre tre decenni contrappone due clan di camorra spietati e sanguinari, i Cava e i Graziano. Decenni di violenza, morte, paura. E così da Quindici in tanti sono partiti per trovare fortuna altrove. Alcuni però, a Quindici, ci sono anche tornati. Perché le proprie origini è difficile dimenticarle. 

È su questa traiettoria di andata e ritorno che si sviluppa la vita di Francesco Antonio Santaniello, classe 1952. Totonno - è così che lo chiamavano tutti - nasce a Quindici da una famiglia di contadini.  È il terzo di sei fratelli e, in una famiglia così numerosa, l’imperativo è lavorare per mettere il piatto in tavola. Il lavoro, la fatica, il sacrificio sono del resto tratti distintivi di questa storia. Ancora quindicenne, Totonno decide dunque che è il momento di fare una scelta drastica: partire, andare a cercare fortuna altrove. E così, nel 1967 raggiunge suo padre in Germania, dove comincia a lavorare come manovale. Un lavoro duro, ma onesto e Totonno ne è orgoglioso. Impara presto e la fatica non gli pesa, anzi. Vive la fatica e il sudore come un segno di dignità. E poi la vita comincia a riservargli delle sorprese che sembrano decisamente ripagarlo di tutti quei suoi sacrifici. Una di queste sorprese ha il volto di una bella ragazza, Carolina Grasso. È anche lei è Quindici ed anche lei è emigrata in Germania con tutta la sua famiglia. I due si innamorano e decidono di costruirsi una vita insieme. 

Il matrimonio con Carolina

Si sposano nel 1977 e per farlo tornano a Quindici. Ma non è un ritorno definitivo e così la traiettoria si ripete: 1300 km verso nord, fino a Bietigheim, nella regione di Baden Wittenberg, dove i novelli sposi si stabiliscono e riprendono la vita di sempre. Poi nel 1978 una nuova bella sorpresa. Anzi, una sorpresa doppia. Carolina infatti partorisce due splendide gemelle: Rosalinda e Graziella. Francesco continua a lavorare e a mettere da parte risparmi. Lo fa nel mentre coltiva il sogno di tornare definitivamente nella sua terra di origine. Un sogno mai davvero abbandonato e per il quale ha continuato a sudare. Un sogno che, finalmente, si realizza nel 1982. La famiglia decide che è arrivato il momento di tornare a casa. Un anno dopo, nasce il terzo figlio, un maschio. La gioia di Totonno è incontenibile e l’arrivo di Arturo nella vita di questa famiglia semplice e onesta è un’altra straordinaria sorpresa. E poi Francesco ha in mente altri progetti. È un uomo determinato, intraprendente, dinamico; un lavoratore instancabile e ambizioso. Ed è proprio questa ambizione positiva che lo spinge a realizzare l’altro grande sogno della sua vita: riuscire a costruire un’attività tutta sua, diventando un piccolo imprenditore. 

Il sogno di una vita

Per centrare questo obiettivo, Totonno investe tutte le sue energie e i risparmi di una vita di fatica: progetta, pianifica, addirittura prende la licenza media necessaria a fargli ottenere le autorizzazioni per l’apertura dell’attività. Così, nel 1992 nasce la Edil Santaniello. Impianta l’azienda in un terreno che aveva trovato in via Pietà, a Lauro, pochissimi chilometri da Quindici. È davvero un vulcano e lo dimostra anche alla guida della sua azienda, che cresce di giorno in giorno. Totonno lavora bene e con impegno, è una persona onesta e perbene e la gente si fida di lui. L’attività procede a gonfie vele e si allarga, diventando leader nel settore e consolidando rapporti con diverse e importanti aziende estere, dai paesi orientali all’Austria, dalla Cina all’Europa continentale. Arturo cresce con una strada tracciata, quella di raccogliere la grande eredità di suo padre, costruita giorno dopo giorno con il sudore della fronte. Sembra davvero che tutto vada a gonfie vele. Fino a un giorno di gennaio del 2002, quando la vita di questa famiglia viene tragicamente segnata dall’imponderabile. 

Il 31 gennaio del 2002

Il 31 gennaio del 2002 Francesco rientra nei capannoni di Lauro nel pomeriggio, dopo un’intensa giornata di lavoro. In azienda c’è anche Arturo, all’epoca diciottenne. In quel periodo stanno lavorando alla costruzione della casa di Rosalinda, che doveva sposarsi. Intorno alle 18.00 qualcuno riesce a entrare nel capannone dove si trova Francesco. È un’esecuzione vigliacca. Chi spara non ha il coraggio di mostrarsi in volto. Usa un silenziatore ed esplode quattro colpi di una calibro 22, tra dei quali raggiungono Totonno alla schiena. L’ultimo lo colpisce alla spalla. L’uomo non muore subito. Quando Arturo, che non aveva sentito nulla, lo ritrova riverso in un lago di sangue, Totonno respira ancora. Viene soccorso immediatamente e portato all’ospedale di Nola. Ma per lui non ci sarà nulla da fare. Morirà così, a 50 anni. 
La notizia del suo omicidio è una doccia fredda per la sua famiglia e per l’intera comunità di Quindici. C’è incredulità e sconcerto per una morte alla quale nessuno riesce a dare una spiegazione. Ma c’è anche un’altra cosa che arriva prepotente a turbare la vita, già devastata, di questa famiglia: la calunnia. Francesco infatti ha una parentela ingombrante. È il cugino diretto di Biagio Cava, capo indiscusso e riconosciuto del clan, figlio di Vincenzo Cava che, con suo fratello Salvatore, del clan era stato tra i boss più influenti, prima di essere barbaramente assassinato dai Graziano, nel 1985, con 30 colpi di pistola al volto. Un ramo totalmente diverso della famiglia, con il quale Totonno aveva accuratamente evitato ogni contatto. E però, per i calunniatori, quella parentela non poteva non centrare nella sua morte. Qualcosa - come si dice troppo spesso in questi casi - aveva pure dovuto fare per meritarsi di morire. Voci che infangano il nome di una persona perbene e distruggono la sua famiglia, che decide di difendersi e difendere la memoria di Totonno richiudendosi in un lungo silenzio di dolore e sofferenza.

Vicenda giudiziaria

Ma l’ipotesi della vendetta trasversale o di qualche ragione compromettente alla base dell’omicidio viene spazzata via dagli inquirenti, che non hanno dubbi: Totonno non aveva alcun legame con quei criminali. Gli investigatori seguono altre piste. Una porta agli interessi mafiosi per la pioggia di miliardi arrivati nel Vallo di Lauro dopo la frana di Sarno del 1998. Quindici, sul fronte opposto della montagna, era stata duramente colpita dall’alluvione. Ma è una pista che non trova molti riscontri. L’altra ipotesi, che sembra più coerente anche alla personalità di Francesco, è che si sia opposto al pagamento del pizzo. Non avrebbe mai potuto accettare di piegarsi. Le indagini però non sono ancora arrivate a consegnare alla famiglia Santaniello verità e giustizia. 

Accettare quello che era accaduto era impossibile perché non c’era un perché. Ancora oggi, che indagini e processi sono in corso, continuiamo a chiederci quale sia il motivo per cui qualcuno abbia sancito la sua condanna. Sono stati anni estremamente duri quelli successivi, con Arturo costretto a crescere troppo in fretta e una famiglia sopraffatta da un duplice dolore, quello per la morte di Francesco e quello per le calunnie. Ci siamo abbracciati forte, ci siamo stretti l’uno all’altra. Dormivamo tutti e quattro nello stesso letto. Io, mia madre e mia sorella volevamo soprattutto tutelare Arturo che, allora aveva solo 18 anni ed era in una fase della sua crescita estremamente delicata. Mamma ci disse: non chiedetevi perché. Dobbiamo solo andare avanti.
Rosalinda - figlia di Totonno

Ed è andata avanti questa famiglia, che, dopo 12 anni di dignitoso silenzio, ha trovato la forza di trasformare il dolore in impegno. Accanto a loro, i volontari di Libera Avellino, che hanno aiutato i familiari a diventare testimoni di speranza, continuando a chiedere, con loro, verità e giustizia. 

Memoria viva

Il nome di Francesco è ricordato, insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Francesco ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa a Francesco che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendoli vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.