Il My Toy è una discoteca della provincia napoletana. Può ospitare fino a 2000 persone. Un locale enorme, che nei sabato sera dei giovani che vivono da quelle parti è un punto di ritrovo abituale. Come in tanti altri luoghi del genere ovunque in Italia, ci si va per ballare e divertirsi, per “acchiappare” qualche bella ragazza, per staccare dalla routine quotidiana. Ci si va in comitiva, per stare insieme. Oppure in branco, per imporre anche lì la legge del più forte. E in terra di camorra, la legge del più forte troppo spesso è quella dei clan, o meglio dei rampolli dei clan. Giovani e giovanissimi dai cognomi pesanti, figli o nipoti di boss di rango. E devi sperare di non averci a che fare, perché se invece succede non si sa come può andare a finire. A volte male. Anzi, malissimo. Come se fosse normale che, se vuoi andare a divertirti, devi fare attenzione a quale sguardo incroci il tuo.
Ferdinando Liguori era un ragazzo di 22 anni dalla fedina penale pulita. In quei primi mesi del 2000 il suo futuro sembrava aver preso la strada tranquilla di un lavoro onesto e stabile. Era un operaio Ferdinando e stava coronando il sogno di un contratto di lavoro presso la Magrini, un’azienda di componentistica elettronica dove già lavorava suo padre Gennaro. Era con lui che viveva Ferdinando. Con lui, con sua madre Giuseppina, il fratello e due sorelle. La famiglia Liguori abitava in una palazzina popolare di via ex Tranvie a Casavatore, un paesone di circa 20 mila abitanti in provincia di Napoli, a una manciata di chilometri dalla città. Chi lo ha conosciuto lo ricorda come un ragazzo perbene, che pensava a lavorare e a dare una mano a casa. Certo, quando vivi in contesti difficili può accadere che la tua vita incroci anche quella di chi fa scelte diverse. Si diventa amici, si cresce insieme. L’importante però era fare attenzione a rimanere sulla strada giusta. E Ferdinando lo aveva fatto: lui era un ragazzo per bene, che in certe brutte storie non voleva entrarci.
Il 5 marzo del 2000
Quel maledetto 5 marzo del 2000 era un sabato. Ferdinando, come tutti fanno nel fine settimana, sente gli amici per organizzare la serata. L’idea è quella di andare a mangiare una pizza. L’appuntamento è sotto casa della famiglia Liguori. Arrivano in quattro a bordo di una Fiat Punto. Ferdinando saluta i suoi e scende per raggiungere gli amici. E lì, sotto casa, la comitiva cambia programma: alla pizza preferiscono una serata in discoteca. La meta diventa il My Toy di Giugliano, sulla Circonvallazione esterna di Napoli.
Quando i ragazzi arrivano in discoteca sembra una serata come le altre. Nel locale ci sono 1300 persone e la serata va avanti tranquilla. Fino a quando, nei pressi del bar, succede qualcosa. Una decina di ragazzi cominciano a discutere, volano parole grosse, spintoni, qualche pugno. C’è di mezzo anche la comitiva di Ferdinando. Forse uno sguardo di troppo a una ragazza, qualche apprezzamento eccessivo. I buttafuori intervengono immediatamente. Sedano la rissa e accompagnano fuori i protagonisti. La rissa riprende nel parcheggio del locale, ma la sicurezza interviene nuovamente a calmare gli animi e a invitare tutti a tornare a casa. È notte fonda e la serata in discoteca sembra finita. Male, ma finita. Non sarà così.
Ferdinando sale a bordo della Fiat Punto insieme ai suoi amici. È seduto dietro, sul lato sinistro della macchina. Si allontanano dal parcheggio e imboccano la Circonvallazione. Qualche chilometro più avanti, l’auto viene affiancata da una Smart. Dietro, un’altra vettura, una Mercedes. Improvvisamente, il passeggero della Smart estrae una pistola, prende la mira verso la Punto e spara. Cinque colpi di pistola che colpiscono la fiancata sinistra e il cofano. Due proiettili penetrano la scocca e colpiscono Ferdinando, uno all’addome e l’altro alla gamba. Dalla Mercedes qualcuno racconterà di aver sentito delle urla di approvazione, mentre la Smart si allontana a tutta velocità.
Ferdinando è ferito gravemente e gli amici se ne rendono conto. Prendono la strada dell’ospedale più vicino, dove i medici faranno di tutto per salvargli la vita. Morirà un’ora più tardi, intorno alle 6 di mattina, con l’arteria femorale tranciata in due dal piombo del proiettile. Poco prima, nella casa di via ex Tranvia il trillo del citofono aveva svegliato Gennaro. La corsa in ospedale, senza sapere esattamente cosa fosse accaduto, fu vana. Al suo arrivo, Ferdinando era già morto sotto i ferri.
Vicenda giudiziaria
Le indagini partono immediatamente. Gli inquirenti ricostruiscono la dinamica dell’accaduto attraverso il racconto degli amici di Ferdinando e di alcuni testimoni. La pista seguita porta a Secondigliano: da lì sarebbero arrivati i giovani protagonisti della rissa e poi dell’agguato alla comitiva di Ferdinando. Si parla del coinvolgimento diretto di Pietro Licciardi, il poco più che ventenne figlio del potente boss di Secondigliano, Gennaro. Qualcuno fa il suo nome, dice di averlo riconosciuto mentre sparava dal finestrino della Smart. Tra i testimoni, c’è anche una ragazza. Quella notte viaggiava a bordo della Mercedes che aveva seguito la Punto. Le viene mostrata la foto di Licciardi, lei conferma. Grazie a queste prime testimonianze, viene emessa un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Pietro Licciardi, che intanto, dalla mattina stessa dell’omicidio, si rende irreperibile. Il processo prende le mosse in un clima di omertà e paura. Lo mette nero su bianco il PM nella sua requisitoria, parlando di un “contesto omertoso forte ed evidente”. Richiamati a testimoniare, due degli amici di Ferdinando si avvalgono della facoltà di non rispondere. Gli altri danno risposte vaghe. La ragazza che aveva riconosciuto Licciardi in foto ritratta. Verrà accusata e condannata per falsa testimonianza. Ma il danno è fatto. Agli atti rimane scritto che “il dibattimento è stato condizionato da un pesante clima di totale omertà e paura, manifestate da tutte le persone informate dei fatti”. La sentenza arriva nell’ottobre del 2002 e assolve l’unico imputato dell’omicidio di Ferdinando, Pietro Licciardi. Per lui l’accusa aveva chiesto 21 anni di carcere, pur non riconoscendo l’aggravante mafiosa. Invece, il rampollo del boss se la caverà. Accadrà lo stesso anche nel successivo grado di giudizio. La morte di Ferdinando non ha ancora un colpevole. Le assoluzioni gettano nella disperazione totale i genitori di questo ragazzo di 22 anni ucciso per uno sguardo di troppo. Alla lettura delle prima sentenza, Giuseppina urla tutta la sua rabbia prima di sentirsi male. Nei mesi e negli anni successivi accuserà gli amici di Ferdinando di averlo tradito.
La richiesta di verità e giustizia non si ferma. Gennaro e Giuseppina tentano tutte le strade per dare un nome e un volto all’assassino di loro figlio. Nel 2018, a 18 anni dall’omicidio, si rivolgono alla trasmissione RAI “Chi l’ha visto” nel tentativo di smuovere qualcosa. Fanno un appello a chi ha assistito ai fatti, chiedono di farsi avanti. Ma non serve a niente. Quella morte è ancora impunita. Come se fosse normale che, se vuoi andare a divertirti, devi fare attenzione a quale sguardo incroci il tuo.
Mio figlio lavorava con me, non passava le sue giornate per strada. Aveva un lavoro e uno stipendio sicuro a fine mese. Non è giusto morire a 22 anni per un divertimento.
Memoria viva
Il nome di Ferdinando è ricordato, insieme alle oltre 1000 vittime innocenti delle mafie che ogni anno in occasione del 21 marzo, la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, riecheggiano in tanti luoghi. Per noi Ferdinando ha un vero e proprio diritto al ricordo, un diritto che restituisce “dignità” a ogni nome che ricordiamo, che rappresenta la promessa a Ferdinando che non dimenticheremo la sua storia, i suoi progetti di vita, portando con noi i suoi sogni e rendendoli vitale pungolo del nostro impegno quotidiano.
Ferdinando era un ragazzo speciale, aveva appena 22 anni. Quella notte mi hanno tolto la vita. Da quando lui non c’è più, per me e mio marito la vita si è spenta.
Mi rivolgo a chi sa qualcosa, vorrei chiedergli se hanno una coscienza. Io e mio marito e tutta la famiglia vi preghiamo: diteci qualcosa, parlate, fate in modo che sia fatta giustizia per mio figlio.
Non conosciamo molto della vita di Ferdinando prima del suo omicidio. Vorremmo ricostruirla per permettere a tutti di conoscere che persona fosse, quali erano le sue passioni, i suoi progetti e i suoi sogni. Questo renderebbe il racconto su di lui più completo e la costruzione di una memoria collettiva sulla sua vicenda di vita sarebbe ancora più vitale.
Chiediamo, quindi, l'aiuto di chiunque possa darci il proprio contributo, condividendo con noi informazioni su Ferdinando Liguori.