Giuseppe Giovinazzo nasce a Cittanova, piccolo comune in provincia di Reggio Calabria, il 26 gennaio del 1954. È il più grande di tre fratelli e i suoi genitori sono dei gran lavoratori. E così anche Giuseppe inizia presto a lavorare, fa il muratore. È un bel ragazzo moro, alto più di 1 metro e 80, magro, e soprattutto dolce e rispettoso. La sua vita trascorre serena tra lavoro, famiglia e amici. Un giorno, mentre sta lavorando alla ristrutturazione di una casa vede una ragazza che gli fa sussultare il cuore: proprio lì di fronte, c’è una sarta da cui una bella ragazza mora, Teresa, si reca tutti i giorni per imparare il mestiere. In quel periodo e in quel luogo accadeva di frequente che le ragazze, finita la scuola, imparavano un mestiere durante le vacanze estive, andando o dalla sarta o dalla ricamatrice. Teresa e Giuseppe da quel momento si incontrano ogni giorno, si conoscono e si innamorano. Teresa rimane subito affascinata dal suo modo di parlare pacato, dal profondo rispetto che ha nei suoi confronti perché è più piccola di lui, ma soprattutto dal fatto che Giuseppe è educato e di parola. Sono molto giovani ma il loro amore è forte e vero, tanto che, quando i rispettivi genitori vengono a sapere che i due si frequentano, consigliano loro di sposarsi presto.
Il matrimonio con Teresa
Siamo nel 1975 e di lì a poco entrerà in vigore la nuova legge sul diritto di famiglia, che modifica anche le norme sull’età minima per contrarre il matrimonio. Teresa ha appena 15 anni e Giuseppe 21 e dopo l’entrata in vigore della nuova legge dovranno aspettare 3 anni per convolare a nozze e vivere liberamente la loro relazione. Così stringono i tempi e il 13 settembre dello stesso anno si sposano: una bellissima cerimonia e una festa gioiosa vissuta con parenti e amici.
Dopo il matrimonio decidono di comprare un pezzo di terra in periferia per costruire la loro casa; così Teresa inizia a lavorare come bracciante agricola per contribuire alle spese e Giuseppe d’inverno fa due lavori. Torna dal cantiere edile verso le 17,00, posa tutti gli attrezzi, mangia qualcosa e va a lavorare fino a notte inoltrata in un frantoio. Poi torna a casa, dorme qualche ora e si alza nuovamente perché alle 6,00 deve essere sul cantiere di San Ferdinando per iniziare una nuova giornata. Eppure non gli pesa perché lo fa per la sua amata moglie che nel frattempo è rimasta incinta di Salvatore, il loro primogenito. Giuseppe inizia a costruire la loro casa con tanti sacrifici e l’aiuto dei due fratelli che, quando sono liberi, di sabato e di domenica, o d’estate quando le giornate sono più lunghe, lo affiancano nel lavoro.
È sempre presente e capace di piccoli gesti di attenzione e premura quotidiana. Il piccolo Salvatore ogni sera si mette sulle scale per aspettare il papà perché, anche se non ci sono soldi, gli porta sempre un cioccolatino. E la domenica pomeriggio, quando finalmente non lavora, lo porta ai giardini pubblici o a fare un giro con la macchina per farlo divertire e per passare più tempo possibile insieme a lui.
Teresa e Giuseppe, nonostante i tanti sacrifici e le difficoltà economiche, sono una coppia giovane felice e con tanti sogni e progetti per il loro futuro. Giuseppe sogna di aprirsi un’impresa edile tutta sua, per poter essere più libero e potersi dedicare di più alla sua famiglia. Il loro sogno è di allargare la famiglia e di terminare i lavori della loro nuova casa, che con pazienza vedono realizzarsi.
Dopo tre anni dall’inizio dei lavori, anche se la casa non è ancora finita decidono di andarci a vivere comunque, perché così possono risparmiare l’affitto. È il 26 maggio del 1980 e Teresa e Giuseppe sono felici ed emozionati di quel trasloco. Nella nuova casa mancano ancora molti lavori ma loro sono entusiasti di quel piccolo traguardo. Fanno tanti sacrifici e, anche se a volte non è semplice, il loro amore li ripaga di tutto e sono speranzosi di poter presto avere una vita migliore.
Il 13 settembre, nella loro nuova casa, festeggiano il quinto anniversario di matrimonio e c’è un motivo in più per festeggiare: Teresa è incinta, di tre mesi, il loro sogno di allargare la famiglia si sta così avverando!
Il 10 ottobre del 1980
Quel giorno di ottobre, l’autunno prende il sopravvento; piove a dirotto, ma Giuseppe la mattina decide ugualmente di andare a lavorare. Verso mezzogiorno torna a casa per pranzare, come sempre, gioca un po' con Salvatore, dedica delle attenzioni alla sua amata Teresa, e poi, nonostante la pioggia incessante, decide di recarsi comunque sul cantiere, per verificare se si può fare qualcosa, ultimare qualche lavoro. Poco dopo rientra a casa; quella pioggia battente impedisce di lavorare perciò, con i colleghi, hanno organizzato di andare a mangiare tutti insieme una pizza, preparata dai genitori di uno di loro che abitano in campagna. Giuseppe e un amico andranno a prenderla per poi mangiarla tutti insieme in un garage in paese. Così, verso le 16 del pomeriggio Giuseppe esce, accompagna Teresa e Salvatore da nonna Rosa, li saluta con un bel bacio dicendogli che sarebbe passato presto a riprenderli per andare insieme a casa. Ma Giuseppe quella promessa non la manterrà, qualcun altro deciderà per lui.
La sera, verso le 21, non vedendolo arrivare, Teresa si inizia a preoccupare; è strano che non sia ancora andato a prenderli, è troppo tardi e non è un comportamento da Giuseppe non avvisare. Così Teresa chiede al suo papà, Vincenzo, di andare a cercarlo e lui, concorde nella stranezza della situazione, si reca subito al garage dove sa che si sarebbero riuniti Giuseppe e i suoi amici. Ma quel garage è buio, non c’è nessuno, così ritorna da Teresa e le dice che sicuramente suo marito sta per arrivare perché erano già andati via tutti. Eppure, dopo un’ora e mezza da quella rassicurazione, di Giuseppe ancora neanche l’ombra e la preoccupazione cresce in Teresa e in tutta la sua famiglia. Vincenzo esce di nuovo, questa volta per andare a cercarlo in paese ma lungo la strada incontra uno dei fratelli di Giuseppe, che sta proprio andando da Teresa. I Carabinieri erano andati a casa della famiglia di Giuseppe per comunicare loro che Giuseppe era stato ucciso e che bisognava andare al cimitero per riconoscere il corpo. Sulla patente di Giuseppe c’è ancora l’indirizzo di casa sua da ragazzo e per questo i militari si recano a casa della madre, anziché in quella dove vive con sua moglie. Vincenzo è sgomento, incredulo; va subito dai Carabinieri per informarsi, sperando che ci sia un equivoco, invece anche a lui dicono che Giuseppe è morto ed è al cimitero. Ritorna a casa da sua moglie Rosa e da Teresa che lo aspettano; non sa come dare questa terribile notizia a sua figlia. Lo accompagna il fratello di Giuseppe, ma sono entrambi stravolti e all’inizio non riescono a dire niente. Finché, a seguito anche delle incalzanti domande delle due donne, sono costretti a dire la verità: Giuseppe è stato ucciso mentre andava in campagna a prendere le pizze con il suo amico Girolamo Galasso. I due amici non sono mai arrivati a destinazione e sono stati ritrovati, qualche ora dopo il loro assassinio, in contrada Vatone, a bordo dell’auto di Girolamo. Nient’altro ancora si sa, nessuna motivazione, nessuna risposta, solo che Giuseppe non c’è più, è stato ammazzato all’età di soli 26 anni, lasciando soli la sua amata moglie, di appena 20 anni e incinta di 4 mesi e il suo adorato Salvatore, di appena 3 anni e mezzo.
Dopo quella notizia Teresa, che già aveva una gravidanza a rischio, si sentirà male ma poi sua figlia nascerà dopo 5 mesi, sana e forte, verrà chiamata Giuseppina, come il suo papà che non conoscerà mai.
Il papà di Giuseppe, devastato da quel dolore morirà a giugno dell’anno successivo, stroncato da quella perdita.
Questo barbaro omicidio destò grande sorpresa e commozione in paese, considerato che i ragazzi erano totalmente estranei ad ambienti malavitosi e anzi, molto conosciuti e apprezzati per la loro dedizione al lavoro e alla famiglia.
L’intero paese era sconvolto. Io ero giovanissima, ero incinta di quattro mesi e avevo un bambino di 3 anni e mezzo. Inoltre tutti conoscevano Giuseppe e sapevano che mio marito era una brava persona, un gran lavoratore, che viveva per la sua famiglia. Mi ritrovai improvvisamente sola in quella casa ancora da finire, alla periferia del paese, con tremila lire nel portafoglio e sei milioni di debiti. Decisi di ritornare dai miei. E piano, piano, dopo aver avuto la mia bambina a marzo, con l’aiuto di mia madre, a settembre ritornai a lavorare, a raccogliere olive, e pagai tutti i miei debiti ringraziando chi mi aveva aspettato. Riuscii ad andare avanti per i miei figli, con tantissimi sacrifici.
Vicenda giudiziaria
Nei verbali dei Carabinieri si leggerà che Giuseppe e il suo amico, totalmente estranei agli ambienti mafiosi, mentre andavano in campagna per prendere la pizza, incontrarono casualmente qualcuno o furono testimoni inconsapevoli di qualcosa che nessuno ha mai rivelato. E per questo sono stati uccisi.
I colpevoli non sono mai stati individuati, né qualche pentito ha mai fatto chiarezza su questo omicidio: nessun processo è stato mai celebrato per fare giustizia sulla morte di un giovane marito e padre di famiglia.
Soltanto nel 2002, la sua famiglia è riuscita a ottenere il riconoscimento di vittima di mafia da parte del Ministero dell’interno.
Memoria viva
Nel 2007, Teresa ha contribuito, assieme ad altri familiari di vittime innocenti di mafia, alla costituzione dell’associazione “Piana libera”; associazione nata con l’obiettivo di aiutare e accompagnare tutti coloro che hanno perso un loro caro per mano della ‘ndrangheta.
Di papà mi rimane solo qualche breve fotogramma, nient’altro. Tutti coloro che lo hanno conosciuto mi dicono che era una brava persona e a me è mancato, e non poco. Anche oggi che ho quarant’anni, mio padre mi manca. Se lui ci fosse stato magari avrei potuto studiare, fare una vita diversa. Ma mia madre ha fatto tantissimo per noi. Lei è stata capace di grandi sacrifici per farci andare avanti e per quel che ha potuto, non ci ha mai fatto mancare nulla. Poi abbiamo avuto altre persone che ci sono state vicine: mio zio Giuseppe che c’è sempre stato, in qualunque situazione, e nonna Rosa e nonno Vincenzo che ci hanno accolto a braccia aperte nella loro casa.