A 62 anni compiuti, Raffaele Manna era ancora un lavoratore instancabile. Da qualche tempo aveva deciso di trasferire la proprietà del suo negozio ai suoi tre figli, perché se ne occupassero personalmente. Ma a riposarsi e a stare lontano da quel luogo lui proprio non ci pensava: con tutte le sue difficoltà, quella attività, che aveva svolto con passione e dedizione per tanti anni, gli aveva consentito di mettere su e di mantenere la sua famiglia. Di riposarsi non ne voleva sapere.
L’azienda di famiglia di Raffaele si chiamava Agrimanna. Era, ed è tuttora, un negozio di fitosanitari e articoli per animali: mangimi, prodotti agricoli, semi, fertilizzanti. Si trova in Filichito, a Casalnuovo, periferia nord della città metropolitana di Napoli, sulla strada che collega a Volla.
Per chi vive in terra di camorra non è facile fare impresa, né piccola né grande. Puoi aspettarti che da un giorno all’altro qualcuno ti faccia visita e per ribellarsi ci vuole coraggio. Diventa tutto più difficile. Ma in fondo Raffaele a questo non ci pensava. Di problemi, prima di quel lunedì primo dicembre del 2008, non ne aveva mai avuti. Ecco, prima di quel lunedì. Perché quel lunedì avrebbe cambiato per sempre la vita di quella famiglia di lavoratori onesti.
Il primo dicembre del 2008
Il primo dicembre del 2008 Raffaele era, come sempre, nel suo negozio. Si avvicinava il periodo delle feste ma gli incassi non erano un granché. Quel giorno, ad esempio, in cassa non c’erano più di 180 euro. Poca cosa dopo un’intera giornata di lavoro. Ma tant’è. Raffaele e Sergio, uno dei suoi tre figli, continuavano a darsi da fare, sbrigando gli ultimi clienti ancora in negozio prima della chiusura e del rientro a casa.
Alle 19.30 due persone fanno irruzione nel negozio. Indossano dei cappellini di lana e delle sciarpe a ricoprire completamente il viso. Sono arrivati a bordo di due motorini e fuori, in sella e pronti a ripartire a tutto gas, sono rimaste altre due persone, anch’esse irriconoscibili. Non si vedono i volti, ma non ci vuole molto a capire che sono giovani. Lo confermeranno alcuni testimoni di quei drammatici momenti. I due malviventi all’interno del negozio chiedono che gli venga consegnato l’incasso, mentre tengono sotto tiro con le pistole Raffaele, suo figlio e due clienti. Raffaele mantiene la calma, ubbidisce e consegna i pochi spiccioli che sono in cassa. Ciò che accadrà di lì a qualche secondo però sarà la dimostrazione della rabbia e della disperazione di un uomo che vede mortificata la sua dignità di onesto lavoratore. Soldi alla mano, i due rapinatori fanno per uscire. Il primo esce dal negozio. Il secondo invece si attarda. Volta le spalle a Raffaele, che reagisce d’istinto. Afferra un pesante attrezzo agricolo che trova dietro al balcone e colpisce con violenza il malvivente, che rimane stordito. Barcolla, chiedi aiuto. Il suo complice rientra nel negozio, colto di sorpresa dalla reazione del commerciante. Non ci pensa neanche un secondo. Mira con la sua pistola calibro 7,65 e spara. Quattro colpi, tre dei quali raggiungono Raffaele alla testa. Poi i due scappano. Raffaele respira ancora ma è evidente che le sue condizioni sono disperate. La corsa al vicino ospedale di Pollena Trocchia sarà inutile: l’uomo non arriverà vivo all’intervento chirurgico al quale i medici tentano di sottoporlo. Morirà pochi minuti dopo quella rapina finita male. Una vita per 180 euro.
Quella morte fa rabbia. I cittadini chiedono giustizia, protestano contro un Stato che non riesce a garantire la sicurezza delle persone perbene. Bisogna dare una risposta subito. I Carabinieri di Castello di Cisterna costituiscono immediatamente una task force e si mettono sulle tracce dei quattro malviventi. Ci sono alcune testimonianze ma, soprattutto, c’è una targa.
Vicenda giudiziaria
La fuga dei rapinatori non è andata liscia. Poco lontano dal negozio di via Filichito 53, uno dei due motorini sbanda, colpisce un auto e poi riparte. Il conducente riesce ad annotare la targa e la fornisce ai Carabinieri. I militari sono convinti si tratti di uno dei mezzi usati dai rapinatori. Poche ore dopo, quella targa, insieme all’esame delle registrazioni delle telecamere di sicurezza, li porta nella zona orientale di Napoli, a Ponticelli. Il primo dei quattro malviventi non ha più scampo. Gennaro Apollo, 29 anni, pregiudicato legato al clan Sarno, ha precedenti per truffa. Viene arrestato pochi minuti prima dell’una di notte, a sei ore dalla morte di Raffaele. I Carabinieri, che ritrovano e sequestrano il motorino, non ritengono però sia stato lui a sparare. Apollo non ha scelta e ammette le sue responsabilità, ma si rifiuta di fare i nomi degli altri. I legami con il clan Sarno inducono gli inquirenti a ritenere che i complici non possano che essere anch’essi vicini allo stesso sodalizio criminale. Il 22 gennaio vengono perquisite le abitazioni di Massimo Varlese (36 anni), Diego Solla (19 anni) e Antonio Caiazzo (30 anni), tutti vicini ai clan Sarno e De Luca Bossa. Viene ritrovato anche il secondo motorino. Solla e Caiazzo vengono arrestati il giorno dopo. Varlese invece riesce a fuggire e trova riparo a Roma. Ma ha le ore contate e il fiato degli investigatori sul collo. Si costituisce il 28 gennaio. Gli investigatori chiudono il cerchio: fu proprio Varlese a sparare e uccidere Raffaele Manna. Alla fine del mese di giugno del 2009 si conclude il processo celebrato con il rito abbreviato: ergastolo per Apollo e Varlese, venti anni per Solla e Caiazzo.
Memoria viva
Non conosciamo molto della vita di Raffaele prima del suo omicidio. Vorremmo ricostruirla per permettere a tutti di conoscere che persona fosse, quali erano le sue passioni, i suoi progetti e i suoi sogni. Questo renderebbe il racconto su di lui più completo e la costruzione di una memoria collettiva sulla sua vicenda di vita sarebbe ancora più vitale.
Chiediamo, quindi, l'aiuto di chiunque possa darci il proprio contributo, condividendo con noi informazioni su Raffaele Manna.