28 agosto 1980
Carini (PA)

Carmelo Iannì

Un uomo, un padre, un imprenditore. Allegro e sornione, che amava stare tra la gente. Un uomo che non ha mai avuto paura della fatica ed era riuscito a costruire con tanti sforzi e sacrifici una bellissima famiglia. Ma soprattutto un uomo onesto, che fece la scelta di aiutare le forze dell'ordine in una delle più importanti operazioni anti - droga della lotta contro la mafia. Una scelta che, secondo le logiche mafiose, doveva pagare con la vita ed essere da esempio per chiunque altro pensasse di fare la stessa scelta.

Carmelo Iannì nasce a Palermo il 24 febbraio del 1934. Il padre morì molto giovane e Carmelo diventò subito “grande”, prendendosi cura della madre e delle 5 sorelle. Non ebbe paura di assumersi la responsabilità di capo famiglia e questo lo segnerà per sempre. La morte del padre non intaccò il suo spirito ottimista, la voglia di guardare sempre avanti e prendersi cura degli altri, senza trovare mai scorciatoie. Ma dandosi da fare, sempre. Era un inguaribile idealista.

Era sempre circondato da amici, non si tirava mai indietro per aiutare chiunque potesse e si divertiva a giocare a calcio. Non era un grandissimo calciatore, ma si dava da fare e ce la metteva tutta, come in ogni cosa che faceva: dava il massimo.

Era giovanissimo quando conobbe Giovanna, la donna che decise di sposare e da cui ebbe tre bellissime figlie: Liliana, Roberta e Monica. Era protettivo e affettuoso nei confronti delle sue figlie, non voleva che mancasse loro nulla, soprattutto la serenità e l’allegria.

Gli piaceva stare in mezzo alle gente, era un grande intrattenitore e così sfruttò queste sue doti naturali nel crearsi una stabile posizione lavorativa. Era un imprenditore, gestiva alberghi. Nel 1977, sostenuto e aiutato dalla moglie e dalle figlie, prese in gestione l’hotel Riva Smeralda a Villagrazia di Carini. Amava il suo lavoro, perché era un modo per stare in mezzo alla gente. Organizzava spettacoli e festival all’interno della sua struttura, che spesso presentava lui stesso.

L’arrivo dei marsigliesi

Un luogo privilegiato Carini, alle porte di Palermo e vicino all’aeroporto. L’albergo era per lo più frequentato da ospiti stranieri. Nell’agosto del 1980 arrivarono in hotel tre uomini provenienti dalla Francia e la cosa non lo stupì, vista la clientela che era solita frequentare il suo albergo. Finché non fu contattato dalla Squadra Mobile di Palermo che gli chiese di poter infiltrare sotto copertura degli agenti, che avevano il compito di seguire ogni movimento dei tre francesi.

Non ci pensò due volte Carmelo, era il suo modo per fare la sua parte e dare una mano per cambiare in meglio la sua terra, per le sue figlie.

Negli anni ‘70 e ‘80, la Sicilia era diventata il centro nevralgico del traffico di eroina. Punto di passaggio obbligato della droga, prima di prendere i mercati dell'Europa del Nord e degli Stati Uniti. La mafia dell’isola, secondo un rapporto dell’epoca della DEA, forniva un terzo del fabbisogno di eroina del mercato americano, quattro tonnellate di eroina pura all’anno. Non c’erano dubbi sul fatto che esistessero delle raffineria che lavoravano a pieno ritmo, ma fino a quel momento non era mai state individuate. Sono anni bui, in cui la stessa esistenza della mafia era negata, anche da uomini dello Stato che invece avrebbero dovuto contrastarla.

L'arrivo a Palermo di Andreè Bousquet, il miglior chimico marsigliese in circolazione, insieme ad altri due uomini, era stato segnalato dall’anti - narcotici marsigliese ai colleghi italiani. I francesi erano sulle loro tracce, convinti del fatto che stessero aiutando Cosa nostra a trasformare l’oppio che arrivava in Sicilia in eroina. I tre chimici erano già oggetto di indagini per traffico internazionale di droga dal giudice Pierre Michel, ucciso nel 1981.

Carmelo decise di raccontare nulla alla moglie dell’aiuto che stava dando alla Polizia, non voleva spaventarla. E forse non si rese neanche conto del rischio che stava correndo. E così tenne tutto per sé. I poliziotti seguivano ogni spostamento dei tre, che si fermarono circa una ventina di giorni in hotel, conducendo una “vacanza” lussuosa e allontanandosi quotidianamente al tramonto per delle “riunioni di lavoro”.

La notte in cui i tre francesi lasciarono l’albergo, la polizia intraprese un blitz in una villa nei pressi di Trabìa scoprendo una delle più importanti raffinerie di eroina al mondo. La prova schiacciante che la mafia siciliana si stava arricchendo con il traffico di eroina. I “marsigliesi” stavano aiutando Cosa nostra a rendersi indipendente, stavano insegnando ai siciliani come raffinare l'eroina. Ma ciò che rese l’operazione importante fu l’arresto di Gerlando Alberti ‘u paccarrè, storico capo della famiglia di Porta Nuova, che si trovava nella raffineria ed era il loro contatto palermitano.

La sera in cui i tre uomini lasciarono l'hotel la famiglia Iannì riconobbe gli ospiti dell'hotel tra i volti degli uomini arrestati dalla polizia nelle immagini che scorrevano al telegiornale.

Il 28 agosto del 1980

A partecipare all’operazione che portò all’arresto dei “marsigliesi” e di Gerlando Alberti, furono gli stessi agenti che si erano infiltrati nell'albergo con la collaborazione di Carmelo. Una leggerezza che costò la vita a Iannì. Non ci volle molto al boss di Porta Nuova a capire che ruolo avesse avuto l’albergatore e a dare ordine di ucciderlo.

Quattro giorni dopo la retata della polizia, nel primo pomeriggio di uno degli ultimi giorni afosi di agosto, due giovani entrarono nella hall e spararono contro Carmelo davanti agli occhi della moglie e di alcuni ospiti dell’hotel. Monica, la figlia più piccola, era nel viale dell'albergo a giocare e sentì gli spari.

I giorni successivi all'omicidio non si sapeva cosa fosse successo, e l’omicidio di Carmelo venne raccontato dalla stampa in modo del tutto infondato. Fu accusato di essere immischiato in storie di droga, di mafia, addirittura ci fu chi scrisse che era stato ucciso per una questione di “corna”. Nessuno all'inizio era in grado di capire perché era stato ucciso Iannì, finché la squadra mobile alcuni mesi dopo potè rilasciare una dichiarazione senza compromettere le indagini e raccontare del ruolo avuto da Carmelo, del fatto che senza il suo aiuto quell’importante operazione non si sarebbe potuta realizzare.

La vita della famiglia Iannì cambiò totalmente. Un cassetto che rimase chiuso per anni, il dolore era troppo forte per poterne parlare, con nessuno, neanche in casa. Giovanna si rimboccò le maniche e per mantenere le figlie ricominciò a lavorare come sarta, crescendole da sola. Roberta e Liliana iniziarono a lavorare subito dopo essersi diplomate. Solo dopo dieci anni la moglie di Carmelo seppe che lo Stato avrebbe potuto e dovuto aiutarla, perché Carmelo era una vittima innocente della mafia. L'impegno civile delle due sorelle inizia 25 anni dopo, con la decisione di ridare vita alla memoria di Carmelo e partecipare ai tanti progetti e percorsi nelle scuole, trasformando il loro dolore in impegno civile.

Lo ricordo in maniera tenera, mi porto dentro l'immagine di mio padre di quel giorno, serena, tranquilla. Mio padre
Liliana - figlia di Carmelo

Vicenda giudiziaria

Gerlando Alberti fu condannato per essere stato il mandante di quell'omicidio insieme a Vincenzo Citarda. Gli esecutori materiali non sono mai stati identificati. Alberti non collaborò mai con la giustizia, è morto agli arresti domiciliari nel 2012. L'omicidio di Iannì doveva essere da esempio, per spaventare chiunque pensasse di collaborare con la polizia.

Memoria viva

Nel 2019 il Prefetto di Palermo ha consegnato alle figlie di Carmelo la medaglia d'oro al Merito Civile alla sua memoria.

Il 14 maggio del 2012 va in onda la puntata di Lucarelli raccontaEroi normali”, in cui si parla anche della storia dell'imprenditore Carmelo Iannì.