Quanto vale uno scooter? Una domanda apparentemente banale, a cui in tanti darebbero una risposta altrettanto banale: qualche migliaia di euro. Il punto, in questa storia, non è però il valore economico di un motorino. Il punto, in questa storia, è la violenza criminale che non accetta opposizione, non ammette il desiderio di libertà di chi si ribella, di chi non cede. La violenza criminale che crede di disporre della vita delle persone perbene e innocenti, e che, di fronte a chi non ci sta, ha bisogno di dimostrare chi comanda, costi quel che costi. Una cultura di morte che non ha alcun rispetto per la sacralità della vita e che la vita è disposta a calpestarla e negarla.
Paolino avrebbe compiuto 18 anni il 12 aprile del 2003. Erano giorni febbrili di attesa e preparazione per una festa di compleanno che il destino aveva voluto coincidesse con un’altra ricorrenza assai importante per la famiglia Avella: le nozze d’oro dei nonni. Papà Alfredo, mamma Rosaria e il fratellino Fabrizio, all’epoca di appena 10 anni, erano totalmente presi da quei preparativi. Sarebbe stata una festa indimenticabile e, nell’attesa, i giorni trascorrevano tranquilli. Alfredo con la sua professione di avvocato, Rosaria con quella di insegnante. E Paolino, studente liceale. Questo bel ragazzo non ancora maggiorenne, frequentava la 3D del liceo scientifico “Salvatore Di Giacomo” di San Sebastiano al Vesuvio, una manciata di chilometri dalla casa di Pollena Trocchia dove viveva con la sua famiglia. La matematica proprio non gli piaceva, ma non si scoraggiava e cercava sempre e comunque di migliorarsi.
“Ragno” lo chiamavano i suoi amici e ne aveva tanti. Non passava inosservato, piaceva alle ragazze, che lo guardavano passare nei corridoi del liceo. Sempre protettivo e gentile con le sue amiche. La sua comitiva si incontrava sempre al Bar Centrale di San Sebastiano. Lì passavano il tempo insieme, a sognare del loro futuro, a ridere, a scherzare, ad ascoltare la musica. Paolino canticchiava spesso la canzone degli Aerosmith “I don’t want to miss a thing”, una delle sue preferite.
Le estati Paolino le trascorreva a Praia a mare, un piccolo paesino sul mare calabrese, in provincia di Cosenza. Con la sua bicicletta percorreva tutti i giorni il lungo mare per incontrare i tanti amici che aveva conosciuto anche nella località delle vacanze estive. I primi amori, i primi baci che negli anni dell’adolescenza significano tutto.
Un ragazzo alla mano, ben educato e compito, molto considerato dai suoi professori e circondato dall’affetto di tanti amici. Tra loro, Andrea, più giovane di un paio di anni, il più caro dei suoi amici. Chissà quanti sogni, quanti desideri e quante speranze condivise, magari facendo progetti aspettando quel 12 aprile.
Il 5 aprile del 2003
E invece Paolino quelle 18 candeline non è riuscito a spegnerle. Perché la violenza criminale ha creduto di avere il diritto di spegnere la sua vita così giovane, di negargli i sogni e i desideri che si coltivano nel fiore della giovinezza. È successo tutto a 7 giorni da quel compleanno mai festeggiato. Il 5 di aprile era un sabato. Paolino era andato a scuola con il suo Piaggio Liberty 125. Una mattinata tranquilla, come tante. Quando la campanella ha suonato la fine delle lezioni, Paolino e Andrea sono saliti a bordo del motorino per fare un giro e poi tornare a casa. A pochi metri dal liceo, i due sono stati affiancati da un’altra moto, più potente e più veloce. In sella c’erano due balordi che subito lasciarono intendere ai ragazzi di consegnare lo scooter. Ma Paolino non aveva alcuna intenzione di farlo. Forse pensò di poterli tenere a bada il tempo di raggiungere la vicina caserma dei Carabinieri e di scoraggiarli da un gesto di sopraffazione che lui proprio non riusciva a concepire. Ecco, deve essere stata quella reazione istintiva di difesa della propria libertà e della propria dignità ad aver fatto scattare nella testa dei due criminali l’idea dell’offesa insopportabile, della sfida. Nella loro cultura di morte e violenza era inconcepibile che un ragazzo potesse scegliere di non cedere. La reazione fu quasi immediata: un colpo di acceleratore e un calcio allo scooter. Il Liberty di Paolino sbanda e va a schiantarsi contro un albero ai lati della strada. La scena che si presenta ai primi che giungono sul posto, soprattutto studenti del vicinissimo liceo frequentato dai due ragazzi, è agghiacciante. I pezzi dello scooter, distrutto dall’impatto, sono sparsi tutti intorno. A terra, immobile, c’è Paolino. Poco distante, Andrea, che invece si contorce ferito. Sarà trasportato al Loreto Mare e se la caverà. Per giorni continuerà a chiedere di Paolino, senza sapere che il suo amico non ce l’aveva fatta. Era morto così, a 18 anni non ancora compiuti. I suoi genitori vengono rintracciati poco dopo l’arrivo del ragazzo in ospedale. Gli dicono che è in rianimazione. Ma quando arrivano, il loro ragazzo è già morto. Le risultanze delle indagini appureranno che Paolino è morto per le gravissime lesioni riportate al fegato e alla milza. Qualcuno scrive che non indossava il casco, ma non è vero: Paolino lo indossava il casco e aveva regolarmente il patentino per guidare quello scooter. È quella maledetta abitudine a pensare che la vittima, in fin dei conti, qualcosa che non andava doveva pure averla. Ma Paolino non aveva nulla che non andava. Paolino amava la vita e la libertà.
Vicenda giudiziaria
Pur se con qualche complessità, alla fine il processo ha assicurato alla giustizia i due malviventi responsabili della morte di Paolino. Uno di loro all’epoca non aveva ancora 18 anni e, dinanzi al Tribunale dei minorenni che lo ha condannato definitivamente, ha ammesso la sua colpevolezza. Dichiarazioni che però non vengono confermate nel processo a carico di Luigi Minichini, l’altra persona a bordo della moto, già maggiorenne. La circostanza rende impossibile utilizzare quella dichiarazione di colpevolezza resa dal suo coimputato minorenne e il primo grado finisce con un’assoluzione. Verdetto capovolto in secondo grado, con una condanna a 12 anni e un’altra pronuncia di secondo livello della Corte d’Assise d’Appello di Napoli a 9 anni. La sentenza stabilisce che i malviventi hanno una responsabilità precisa nella morte di Paolino, perché la loro aggressione è stata la causa di quella morte e non l’incidente stradale. Quando nel giugno del 2014 il terzo grado di giudizio conferma la condanna a carico di Minichini, quest’ultimo si rende irreperibile. Verrà arrestato due mesi dopo a Barra, dove viveva.
Memoria viva
Il giorno del funerale, oltre 2000 persone affollano la chiesa della Santissima Annunziata di Pollena Trocchia. Tantissimi sono coetanei di Paolino. In mattinata, gli studenti sfilano in corteo per le strade della città. La sera, invece, le Amministrazioni comunali promuovono una fiaccolata. I Comuni di San Sebastiano e Pollena proclamano il lutto cittadino. La reazione emotiva delle comunità, scosse da quel lutto terribile, è forte ma è fondamentale che non resti passeggera. E così il coraggio e la forza della famiglia diventano la molla per trasformare il dolore e la memoria in impegno e responsabilità. Quando la scuola di Paolino è stata ristrutturata, la sua aula non sarà toccata fino alla maturità dei suoi compagni di classe, le frasi scritte dai suoi amici sui muri per ricordarlo hanno continuato ad accompagnarli per gli anni successivi.
Nasce l’Associazione Onlus Paolino Avella che, insieme agli studenti e ai docenti dei due Istituti frequentati dal ragazzo (la Scuola Media Statale "Viviani" di Pollena Trocchia e il Liceo “Di Giacomo" di San Sebastiano al Vesuvio), si propone di sviluppare percorsi di legalità capaci di incidere sulla popolazione in generale dell'area di interesse, e in particolare sulle fasce pre-adolescenziali e adolescenziali. Viene istituito anche un premio dedicato alla memoria di Paolino. Nel 2014 parte, con il tutoraggio di Radio Siani, il percorso di Radio Paolino, una web radio promossa dai Comuni di San Giorgio a Cremano e San Sebastiano al Vesuvio nell’ambito del progetto “Giovani contro la violenza”. I ragazzi che compongono la redazione, tutti di età inferiore ai 35 anni, sono stati selezionati attraverso un avviso pubblico.
Alfredo Avella, il papà di Paolino, per anni è stato Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Pol.I.S. e Presidente del Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti di criminalità.
A Nola gli è stato dedicato il parco del rione Gescal nel 2013.
Non è facile andare avanti quando si è colpiti personalmente da una grave perdita come quella legata alla morte di un figlio. Ci vuole coraggio. Il coraggio di credere ancora nella vita e nelle istituzioni. Ecco spiegato il motivo della costituzione di tanti enti, come associazioni e fondazioni, volti non solo alla repressione di questi episodi, ma anche a tutelare i familiari delle vittime. Oggi vogliamo ricordare chi, come mio figlio, ha perso la vita per mano della criminalità ma soprattutto vogliamo celebrare la vita, quella vita che non va mai negata ma va vissuta con sacrificio e senso di responsabilità per noi stessi e per chi è intorno a noi.