16 gennaio 2007
Napoli (NA)

Luigi Sica

Lo chiamavano tutti Maradona, ma in realtà il suo idolo era un'altra stella del calcio: Fabio Cannavaro. Era a lui che Luigi si ispirava, coltivando giorno per giorno la passione per il calcio. Una passione profonda, per la quale questo "guaglione" del quartiere Stella di Napoli era disposto a tutto.

Luigi giocava in una squadra di dilettanti e si allenava tutti i giorni inseguendo il sogno del pallone. E qualcosa sembrava anche si muovesse nella direzione giusta quando gli fu fissato il provino per le giovanili del Parma. Ma il suo destino purtroppo era un altro. 

Luigi Sica era nato nel luglio del 1990 da una famiglia umile, onesta, perbene. Suo padre Ciro fa il muratore. La mamma Anna si occupa di Luigi e dei suoi due fratelli, Salvatore e Giovanni, e della sorella Annalisa. Una vita semplice, spesso assai faticosa. Così, finita la terza media, Luigi decide di dare una mano alla famiglia e comincia a lavorare. Lo fa in un piccolo laboratorio di pelletteria. Ma il calcio non si tocca, quello resta una priorità. E così, ogni pomeriggio, si allena su un campetto di Secondigliano, dove insegue la palla e il suo sogno di diventare un calciatore professionista. 

Il 16 gennaio del 2007

Va esattamente così anche la sera del 16 gennaio del 2007. Luigi rientra a casa dopo l’allenamento. Si siede a tavola con il resto della famiglia per la cena. Poi, intorno alle 21, decide di uscire per incontrare qualche amico. Nulla di diverso da quello che accadeva tutti i giorni. Raggiunge via Santa Teresa degli Scalzi, nella piazzetta dove si ritrovano abitualmente i ragazzi della Sanità. Ce ne sono parecchi anche quella maledetta sera. Gruppetti sparuti di ragazzini a bordo dei loro motorini che trascorrono così le loro serate, troppo spesso senza avere alcuna alternativa.

Poco lontano da Luigi e dai suoi amici c’è Ciro. Ha 15 anni Ciro e anche lui appartiene a una famiglia che tutti descrivono tranquilla. Vive a Materdei e si arrangia dando una mano in un’officina meccanica. Con Ciro c’è Mariano, un ragazzo ancora più piccolo di lui, appena 14 anni. All’improvviso una lite, forse per uno sguardo di troppo. Roba da ragazzini, insomma, e invece di lì a poco si consuma la tragedia. Ciro si becca una paio di schiaffi da Luigi. Poi si allontana, ma lo fa minacciando vendetta. “Io ti uccido”, gli urla. Sembra una frase fatta, di quelle che si dicono per fare i grandi. E invece di lì a poco Ciro torna in piazza, ma stavolta ha tra le mani un coltello a serramanico. Gliel’ha dato Mariano, l’amico di. 14 anni, forse dopo averlo comprato su chissà quale bancarella, come se fosse un giocattolo. Va diritto verso Luigi, Ciro, e gli pianta tre coltellate: la prima alle spalle, la seconda al collo e la terza, quella fatale, al cuore. Luigi si accascia al suolo immediatamente. Attorno a lui, un lago di sangue. Sono da poco passate le 22.00. Luigi morirà poco dopo all’ospedale San Gennaro di Napoli. 

Ciro scappa stringendo ancora tra le mani il coltello insanguinato. Intanto sotto casa di Luigi arriva a tutta velocità un motorino. Qualcuno urla al balcone di casa Sica: “correte, a Santa Teresa c’è Luigi in un lago di sangue”. Sulle prime i genitori pensano a un incidente. Ma si sbagliano. 

Quando il padre di Ciro riceve la telefonata dai Carabinieri non sa nulla di quanto accaduto. Rimane senza parole e si mette alla ricerca di suo figlio, che intanto aveva trovato rifugio a casa di alcuni amici. Quando lo trova, lo prende con sé e lo porta in Questura a costituirsi. Mariano farà la stessa scelta qualche giorno dopo. 

Papà Ciro e mamma Anna ancora oggi non si danno pace. 

Vivo soffrendo. Ho sempre fatto la casalinga e continuo a vivere in casa. Mio marito lavora a metà tempo e per noi non è facile tirare avanti, combattiamo giorno per giorno. Luigi era la mia gioia, come lo sono adesso gli altri miei figli: amava il calcio, era una promessa del pallone. Quando lo hanno ammazzato era un ragazzo felice, dopo due mesi doveva partire per Parma, dove doveva fare un provino. Sognava di diventare un grande calciatore. E invece… A me sono rimaste la sua divisa e le sue scarpette. Le guardo, le odoro per risentire il profumo di mio figlio. Poi le rimetto a posto. E poi ricomincio daccapo. Vivo aggrappata a quel poco che mi resta di lui. E sopravvivo solo grazie ai tre figli che mi sono rimasti. A nessuna mamma dovrebbe toccare la condanna di vivere senza il proprio figlio.
Anna - madre di Luigi

Sul finire del mese di marzo del 2007, sull’onda emotiva provocata da questa morte innocente, il Cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, lancia un appello ai giovani della città, li invita a far cadere le lame, a posare in chiesa i pugnali. Nelle parrocchie si posizionano delle ceste nelle quali deporre i coltelli. In tanti lasciano lì questi strumenti di morte. Sembra un primo germoglio di speranza. “Sembrava veramente che qualcosa potesse cambiare - dirà mamma Anna in quell’intervista ricordando quei giorni. Io credevo che mio figlio sarebbe stata l’ultima vittima della violenza cieca e senza scopo che ammazza troppi ragazzini”. 

Nulla potrà dare indietro ai suoi cari la vita di Luigi. Ma questa memoria viva, che si nutre di un impegno concreto per ricordare a tutti che c’è un’alternativa a questa strada di violenza e di morte, a questa storia assurda può dare un senso.

Vicenda giudiziaria

La vicenda è chiara e non ha bisogno di grandi ricostruzioni. Chiare sono anche le responsabilità di chi ha scelto di usare questa violenza cieca e inaudita. Ancora nel 2007, Ciro viene condannato con rito abbreviato a 15 anni di carcere. La pena sarà ridotta a 14 anni in appello. Chi ha armato la sua mano, l’amico quattordicenne Mariano, a 10 anni, ridotti poi a 9 anni e 6 mesi in appello. 

Meno chiare, forse, sono altre responsabilità, quelle più profonde e troppo spesso taciute di una cultura che condiziona la vita di ragazzini che crescono e si formano alla scuola della strada. Una strada dove si fanno fatica a intravedere alternative e dove la violenza è l’unico strumento per regolare rapporti e relazioni. Una strada dove le offese si possono pagare con il sangue. “Non potevo fare la figura dello scemo”, dirà Ciro agli inquirenti, “l’offesa davanti ai miei amici era stata troppo grande”. Grande come il baratro che questa vicenda spalanca nella vita di due famiglie.

Memoria viva

C’è chi, in tutti questi anni, ha continuato a coltivare la memoria di questo ragazzo come tanti, di questa giovane vita strappata dalla cultura della violenza tipica della mentalità camorristica. Nel 2013, sul luogo del delitto, è stato piantato un mandorlo e posata una lapide commemorativa. Sarà più volte vandalizzata, fino a quando, nel 2019, la Fondazione Pol.I.S., il Comune di Napoli e la III Municipalità ne installeranno una nuova: “A Luigi Sica, vittima innocente della violenza criminale, affinché il ricordo dei suoi cari divenga memoria collettiva”. 
Nel 20120, la casa editrice Guida pubblica il libro di giuliana Covella “Otto centimetri di morte. La fine del sogno di Luigi Sica”.