30 marzo 2005
Favazzina (RC)

Daniele Polimeni

Voleva apparire più grande di quello che era, nascondendo spesso le proprie fragilità. Ma dietro quella maschera da duro, si nascondeva un ragazzo dall'anima gentile e sempre disponibile ad aiutare chiunque ne avesse bisogno.

Favazzina è una frazione che dista appena quattro chilometri da Scilla, uno dei borghi più belli del Sud Italia. Lungo la statale, immersa nella vegetazione, c’è una salita ripida che porta all’acquedotto. Si tratta di un posto solitario in cui spesso si appartano le giovani coppiette. Nel 2005 vi trovava la morte, ad appena 18 anni, Daniele Polimeni.

Sgomento, mistero e silenzio. Si declina così la storia di Daniele e della sua famiglia che, dal 2005, è ancora in attesa di ricevere delle risposte che facciano luce su questo crudele omicidio perpetrato ai danni di un ragazzo così giovane. Le indagini, seguite dagli inquirenti di Reggio Calabria, non sembrano essere approdate a nulla e a tutt’oggi i parenti non posseggono alcuna informazione, nessun dato certo circa il possibile movente, gli indizi raccolti o gli elementi rinvenuti sulla duplice scena del crimine. L’accaduto, infatti, si svolge in due momenti e in due luoghi molto distanti tra loro.

Il 30 marzo del 2005

E’ il 30 marzo del 2005 quando Daniele Polimeni scompare a Reggio Calabria, città in cui era nato e risiedeva. Dopo una breve telefonata con la madre in cui annuncia che ritarderà il rientro a casa, non si presenta all’appuntamento con la fidanzata e i suoi due cellulari risultano spenti. Poche ore dopo, intorno alle 23, la sua auto, una BMW usata e intestata alla nonna materna, viene ritrovata in fiamme lungo una strada del quartiere San Gregorio di Reggio Calabria.

Intervengono i vigli del fuoco e i carabinieri. L’auto viene prelevata per i dovuti accertamenti (di cui non si conoscono gli esiti) ma di Daniele non c’è ancora traccia… Sono ore interminabili di disperazione e vane ricerche perché è solo due giorni dopo, il primo aprile del 2005, che il corpo del ragazzo viene ritrovato, carbonizzato, all’acquedotto di Favazzina.

Quando i Carabinieri convocano i genitori per il riconoscimento, cercano di risparmiare alla madre la triste visione del cadavere; ma Anna s’impunta e dice: "E’ mio figlio ed io lo voglio vedere".

L’autopsia confermerà che Daniele, dopo un colpo inferto probabilmente alla nuca, è stato tramortito e poi arso ancora vivo con del gasolio. Le modalità del delitto fanno pensare che si tratti di una vera e propria esecuzione in stile mafioso. Non è difficile né affrettato giungere a questa conclusione anche perché il giovane, reduce da reati minori di droga e piccoli furti, aveva deciso, non appena divenuto maggiorenne, di cambiare città e inseguire i propri sogni come ogni ragazzo che inizi ad affacciarsi alla vita. Daniele purtroppo non ha avuto il tempo di iniziare la sua vita e, insieme a lui, i genitori hanno fermato la loro.

La vicenda giudiziaria

Ad oggi, non si conoscono né il movente, né gli autori del delitto. Le domande su questa oscura vicenda sono innumerevoli. Cosa hanno rilevato le indagini? Quali sono gli esiti dei rilievi condotti sul luogo del ritrovamento dell’automobile e del cadavere? Cosa hanno rivelato i tabulati telefonici? Si è indagato sulle persone vicine a Daniele? Chi erano? Qual era la loro storia? Ma una sola, un’unica domanda insoluta assilla ormai il padre di Daniele: Perché? Pietro Polimeni cerca risposte e si rivolge direttamente alle istituzioni e agli inquirenti che hanno seguito le indagini: 

Faccio un appello, sia alle forze dell’ordine affinché proseguano le loro indagini, sia a coloro che sanno affinché parlino. Voglio sapere perché
Pietro - papà di Daniele

Memoria viva

Dal momento della scomparsa di Daniele, mamma Anna Adavastro e papà Pietro, hanno scelto di essere in prima linea contro le mafie e, a fianco di tutti i familiari delle vittime innocenti, hanno girato l’Italia per manifestare in piazza e raccontare la loro storia. Di strada ne hanno fatta parecchia da quel 30 marzo del 2005. Hanno camminato tanto, con i piedi e con il cuore.

Adesso all’acquedotto di Favazzina, quel luogo in cui il dolore si era intrecciato alle erbacce mai curate e al grigiore dell’abbandono, sorge un enorme murales con la scritta “tenacia e colore contro rassegnazione e omertà, realizzato dall’artista Teresa Ribuffo.

Il luogo è stato ripulito dal degrado in cui versava e nel punto in cui è stato ritrovato il corpo di Daniele è stato piantato “il fiore di Mnemosine”, una stele commemorativa dedicata interamente al suo ricordo e alla sua storia. Lo stesso è accaduto a piazza Castello, divenuta ormai il simbolo cittadino della lotta alla ‘ndrangheta, dove si trovano le installazioni di “Mnemosine – i fiori della memoria”, che ricordano Daniele ed altre vittime. L’iniziativa “Mnemosine” è stata fortemente voluta da Anna, con il patrocinio e l’assistenza di Libera, ed è stata ideata da Rosi Florio dell’Associazione “Il Pesce Rosso”, realizzata insieme con papà Pietro Polimeni e con la collaborazione dell’artista teatrale Santo Nicito.

A Daniele è intitolato il Presidio di Libera a Cuneo e, nel nome suo e di mamma Anna, il coordinamento reggino di Libera si impegna ancora oggi a chiedere verità e giustizia.

Nel 2019, a 168 mesi dall’omicidio, i manifesti funebri con il viso sorridente di Daniele hanno fatto capolino sui muri di Reggio con queste parole: “chissà se i tuoi assassini e chi ancora li copre con omertoso silenzio sono riusciti, in questi anni, a guardarsi allo specchio, a sorridere, come se niente fosse, alle loro madri, ai loro affetti, a trascorrere notti tranquille, o se, inconsapevolmente, hanno fatto compagnia alle nostre notti insonni ed agitate dal dolore con le loro notti altrettanto insonni ma agitate dalla vergogna e dal rimorso per ciò che di così cattivo e crudele hanno commesso”. In calce, la scritta “ci manchi” e due nomi, quelli di Daniele e di Anna. Anche se non c’è più, la sua eredità è tutta in quella richiesta di verità e giustizia, ed ogni anno, papà Pietro insieme con Rosi Florio, la migliore amica di mamma Anna, continuano a tappezzare la città di manifesti per ricordarli.

Pensavo che negli ultimi anni ci potessero essere delle novità, aspettavo notizie, ma niente, non ho saputo più niente. Ho creduto mio preciso dovere scuotere le coscienze, o almeno tentare, con l'unico mezzo che mi è venuto in mente ossia i manifesti, che non intendono ricordare anniversari, ma i mesi trascorsi nell'attesa. Ho rivolto le mie parole nei vari anni alle forze dell'ordine, ai cittadini, agli amici di Daniele, ai suoi assassini, a tutti, nessuno escluso, chiedendo loro un cenno, un minimo sforzo per iniziare a capire il perché. Basterebbe che, per una volta, costoro ascoltassero la loro coscienza, invece di ignorarla, basterebbe un messaggio anonimo.
L'omicidio di mio figlio Daniele è una vicenda che deve far preoccupare non poco la nostra città. Daniele non proveniva da una famiglia mafiosa né malavitosa; per nove mesi io e mio marito ragionammo su quale nome dare a nostro figlio in modo da non dare adito a omonimie, considerato il cognome che a Reggio è molto diffuso. Purtroppo Daniele è cresciuto in una città dove i sogni vengono deviati, dove è troppo facile farsi adescare e sedurre. Io non ho molto tempo a causa di una brutta malattia, ora devo agire
Anna - mamma di Daniele in un'intervista del 2014