Omicidio pedagogico. Colpirne uno per educare tutti gli altri. È una strategia di morte alla quale, purtroppo, la camorra ha fatto ricorso spesso, per evitare che le scelte di coraggio e di libertà dei singoli potessero diventare contagiose e condizionare anche gli altri. Un rischio che i clan proprio non possono accettare, in una terra dove il dominio si esercita anche attraverso gesti simbolici, che dimostrano senza mezzi termini chi comanda, decidendo anche della vita e della morte delle persone. Qui, in questa terra, il coraggio di dire no è un atto rivoluzionario.
Mario era nato il 23 ottobre del 1936 a San Cipriano d’Aversa (CE), una terra difficile, dove la presenza asfissiante della camorra davvero condizionava la vita delle persone, le loro scelte professionali. La sua era una famiglia semplice e onesta di contadini, che educò questo figlio ai valori del sacrificio e del rispetto, a riconoscere nel lavoro uno strumento di libertà e dignità, ad amare la propria terra. E Mario aveva vissuto, sin da ragazzino, sulla sua pelle questi valori.
Ancora diciottenne, cominciò a lavorare nel settore agricolo. Poi, man mano, inseguì il sogno di allargare e consolidare la sua attività professionale, dapprima avviando un’impresa legata al trasporto della pietra e della sabbia e poi, verso la fine degli anni ’70, dedicandosi al trasporto delle merci e alle attività di servizi alle industrie e di recupero materiali. A 26 anni, nel 1962, riesce a comprare il suo primo camion. Da allora, i successi si susseguono, fino a portarlo a lavorare con alcune importanti aziende nazionali, tra cui in particolare il gruppo Montedison.
Mario ormai è un imprenditore di successo. Di successo ma anche generoso e disponibile. Come quando, dopo il tremendo terremoto che sconvolse la Campania il 23 novembre del 1980, mise gratuitamente a disposizione i propri mezzi per il soccorso alle popolazioni colpite e la rimozione delle macerie.
Nel 1962, sposò Antonietta Cirillo. Dal loro matrimonio nacquero quattro figli. La prima e l’ultima sono femmine, Teresa e Luisa. In mezzo, due gemelli maschi, Antonio e Nicola. È un uomo rigoroso Mario, nella vita e nel lavoro. Il coraggio di inseguire ostinatamente i propri sogni e i propri progetti aveva orientato tutta la sua esistenza. L’integrità, il rifiuto di ogni compromesso erano stati elementi determinanti nella costruzione e nel successo delle sue attività imprenditoriali. Nel suo modo di vedere, non c’era alcuna ragione per la quale dovesse piegarsi alle richieste dei clan. Richieste che pure erano arrivate ma alle quali questo imprenditore onesto non aveva mai voluto minimamente cedere. La camorra non poteva accettarlo: bisognava fermare immediatamente quest’uomo coraggioso che rischiava di diventare un esempio.
Il 26 giugno del 1985
Il 26 giugno del 1985 Mario uscì di casa di buonora. Si mise alla guida della sua Citroen bx e alle 8.30 parcheggiò l’auto nella piazza principale di Casapesenna, proprio di fronte al bar Oreste. Scese dalla macchina, ma non fece in tempo a salire i quattro gradini che davano accesso al locale. I suoi assassini lo avevano seguito, armi in pugno, sin da quando aveva lasciato la sua abitazione. “Mario, Mario Diana”, urlarono, per accertarsi si trattasse della persona giusta. Mario si voltò e in quell’istante i killer fecero fuoco. Bastarono due colpi di un fucile semiautomatico calibro 12. Il primo, esploso dall’interno dell’auto, lo colpì al torace. Mario si accasciò. Il secondo colpo fu esploso alla testa da distanza ravvicinata. Doveva essere un’esecuzione spietata. Pedagogica, appunto. Mario morì così, a 49 anni.
Vicenda giudiziaria
Ci sono voluti 20 anni per conoscere il nome di chi aveva voluto ed eseguito quell’esecuzione. Soltanto nel 2005 vengono finalmente fuori i nomi dei colpevoli. Divenuti collaboratori di giustizia, si autoaccusano del delitto Giuseppe Quadrano, già in carcere per l’omicidio di don Peppe Diana, e Dario De Simone. I due chiamano in causa Antonio Iovine, all’epoca dei fatti giovanissimo. De Simone, in particolare, parla di Mario come di “un uomo perbene”, il cui esempio di rigore e integrità doveva essere punito e cancellato.
Il 30 dicembre del 2008, la Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere condanna all’ergastolo Iovine - che poi a sua volta diventerà collaboratore di giustizia - e a 14 anni De Simone e Quadrano. Condanne poi confermate anche in secondo grado, con sentenza del 20 ottobre del 2014, e in Cassazione, il 13 novembre del 2015. La condanna di Iovine era diventata già definitiva per mancata impugnazione della sentenza di primo grado.
Nel 2002 Mario era stato già riconosciuto vittima innocente.
Oggi come allora mi piace ricordarlo con la sua mano che mi stringe come il più prezioso dei tesori.
Memoria viva
La famiglia si è costituita parte civile nel processo contro gli assassini di Mario. Ma, soprattutto, non ha mai smesso di tenere viva la memoria di quest’uomo perbene. Lo ha fatto, in particolare, dando vita, nel 2013, alla Fondazione Mario Diana, che si occupa di progetti di sostenibilità ambientale, di formazione per i giovani, di sviluppo sociale e culturale e di sostegno, anche attraverso borse di studio, a chi fa più fatica. È un modo concreto di realizzare i sogni e le speranza di Mario anche adesso che non c’è più.
La sua storia di coraggio e dignità è raccontata anche nel libro “Come nuvole nere” del giornalista Raffaele Sardo.