Il borgo marinaro dell’Addaura è probabilmente uno dei luoghi più belli e incontaminati di Palermo. Una piccola frazione sul lungomare che da Mondello conduce al centro della città, di cui costituisce l’insediamento più antico. Pesca e turismo sono le risorse che da sempre sostengono l’economia di questo prezioso pezzo di Sicilia. Ma questo luogo non è noto solo per la sua bellezza. Fu qui, all’Addaura, che il 21 giugno del 1989 venne sventato un attentato al giudice Giovanni Falcone. Poco più di tre anni prima, però, qui la mafia aveva già colpito. Una storia meno nota, ma altrettanto drammatica.
È la storia di un giovane di 26 anni. Si chiamava Francesco, classe 1960, ed era il figlio di Gaetano Alfano, un imprenditore proprietario di un’azienda di medie dimensioni, con 40 dipendenti e un’avviata produzione di carpenteria metallica. Un giovane normale, pulito, con una vita impegnata e onesta. Amava lo sport Francesco, e in particolare amava il calcio. Allenava una piccola squadra di calcetto, la Virma. Un impegno che viveva con particolare serietà. Quella stessa serietà che metteva del resto in tutti i suoi interessi e in tutte le sue passioni. Un ragazzo determinato, che si dava da fare. Lavorava come rappresentante di vini e di articoli di cuoio e dava una mano nel ristorante di proprietà del padre di Germana, la sua giovane fidanzata.
Germana, 24 anni, era la figlia di Ippolito Ferreri. Un cognome assai noto nell’ambiente della ristorazione. Ippolito, infatti, era proprietario di due importanti ristoranti, tra i più noti di Palermo. All’Addaura, la famiglia Ferreri, come tante altre famiglie palermitane benestanti, aveva una villa che utilizzava come residenza estiva, ma dove era piacevole soggiornare anche nei miti inverni siciliani. Ed è qui, tra le ville dell’Addaura, dove tre anni più tardi verranno trovate e disinnescate le bombe destinate a Giovanni Falcone, che si consuma la tragedia di Francesco.
Il 29 gennaio del 1986
Il 29 gennaio del 1986 era un mercoledì. Francesco era salito a bordo della sua Seat Ibiza per andare a prendere Germana all’Addaura. Insieme, si sarebbero spostati verso il Campo di Marte, a Partanna Mondello, dove avrebbero dovuto assistere a una partita di calcio. Poco più di cinque chilometri che però Francesco non riuscì mai a percorrere. Con Germana si diresse verso via Gualtiero da Caltagirone, dove aveva parcheggiato l’auto. Fecero appena in tempo a salire, poi uno, o forse due sicari, si avvicinarono alla macchina ed esplosero 4 colpi di pistola calibro 38 che ferirono entrambi. Infine, il colpo di grazia, sparato a bruciapelo attraverso il finestrino.
Il rumore dei proiettili attirò immediatamente l’attenzione di Ippolito Ferreri, che si precipitò fuori di casa e si trovò di fronte a una scena raccapricciante. Germana era ferita gravemente, ma si salvò, soccorsa da suo padre e trasportata d’urgenza in ospedale. Per Francesco, invece, purtroppo non ci fu nulla da fare. Era morto sul colpo. A 26 anni.
Vicenda giudiziaria
Come riportano le cronache dell’epoca, la pista seguita dagli inquirenti fu quella di una vendetta legata al racket delle estorsioni. In pratica, Francesco sarebbe stato ucciso per punire suo padre Gaetano, che si era rifiutato di pagare il pizzo. Pochi giorni prima dell'uccisione di Francesco, un altro giovane, Paolo Bottone, 26 anni, anch'egli figlio di un imprenditore meccanico, era stato assassinato con modalità del tutto simili, al punto da indurre gli inquirenti a collegare i due delitti e a inquadrarli nello stesso ambito, quello delle estorsioni.
Tesi però sempre respinta sia da Tommaso Bottone, padre di Paolo, che da Gaetano Alfano: “una pista inconsistente - spiegò al quotidiano La Repubblica il 30 gennaio del 1988, a due anni dal barbaro assassinio di suo figlio - perché nessuno meglio di me può sapere se è stata avanzata o no una richiesta di pizzo”. Il giorno prima, in occasione dell’anniversario della morte di Francesco, aveva deciso di chiudere i battenti della sua azienda per un giorno: “un gesto simbolico che serve soltanto a non mettere mio figlio tra i tanti morti dimenticati di questa città”.
Che quel gesto sia servito oppure no, rimane il fatto che, a due anni dal suo omicidio, non erano stati individuati né mandanti né esecutori del delitto. Senza ottenere verità e giustizia, di anni ne sarebbero passati ancora tanti. Perché, esattamente come per Paolo, anche la morte di Francesco, ucciso a 26 anni il 29 gennaio del 1986 per ragioni ancora misteriose, è rimasta drammaticamente impunita.
Memoria viva
Non conosciamo molto della vita di Francesco prima del suo omicidio. Vorremmo ricostruirla per permettere a tutti di conoscere che persona fosse, quali erano le sue passioni, i suoi progetti e i suoi sogni. Questo renderebbe il racconto su di lui più completo e la costruzione di una memoria collettiva sulla sua vicenda di vita sarebbe ancora più vitale.
Chiediamo, quindi, l'aiuto di chiunque possa darci il proprio contributo, condividendo con noi informazioni su Francesco Alfano.