5 gennaio 1976
Afragola (NA)

Gerardo D'Arminio

Aveva questa innata vocazione per l'investigazione, un fiuto naturale, un vero e proprio talento, doti che lo aiuteranno, nel prosieguo del suo percorso nell'Arma, a sviluppare una grande lucidità nel leggere le dinamiche e i fatti criminali. Insomma, Gerardo era nato per fare il Carabiniere. E a 20 anni già lo era.

Tra Montecorvino Rovella e Afragola ci sono un centinaio di chilometri. Un piccolo paese della campagna salernitana il primo, alle pendici dei monti Picentini; uno dei maggiori centri dell’entroterra napoletano il secondo, nel cuore della piana dei Regi Lagni. Due territori diversi, per caratteristiche geografiche, per storia, per vocazione. Nel 1937 a Montecorvino vivevano poco meno di 8 mila persone. Cento chilometri più a nord, ad Afragola, ce n’erano già oltre 30 mila (oggi sono più del doppio). Tra questi due poli, con in mezzo tante tappe intermedie a costellare la sua brillante carriera, si dipana la vita di Gerardo D’Arminio, un carabiniere con la stoffa del grande investigatore. 

Gerardo era nato a Montecorvino, appunto, il 12 dicembre del 1937. Sin da giovanissimo avvertì il richiamo e il fascino della divisa. Fu una scelta dettata anche dal desiderio di assicurarsi un lavoro stabile, in un contesto nel quale trovare una sistemazione non era affatto facile. Ma lui sapeva che quella era la sua strada, indipendentemente da ogni altra valutazione. Si sentiva portato per quel lavoro, nutriva un profondo senso della giustizia. E poi aveva questa innata vocazione per l’investigazione, un fiuto naturale, un vero e proprio talento, doti che lo aiuteranno, nel prosieguo del suo percorso nell’Arma, a sviluppare una grande lucidità nel leggere le dinamiche e i fatti criminali. Insomma, Gerardo era nato per fare il Carabiniere. E a 20 anni già lo era.

Due anni più tardi la promozione a vicebrigadiere e l’inizio del suo pellegrinaggio in giro per l’Italia. Dapprima a Chieti, poi a Isernia, in diversi paesini della Sicilia, e infine Palermo. È qui che, in particolare, si distingue, mettendo in mostra tutte le sue doti di straordinario e coraggioso investigatore. Nel 1963 si cala nella botola che portava al nascondiglio del pericoloso boss mafioso Michele Cavataio, mettendogli le manette ai polsi. Poi nel 1966 aveva affiancato il tenente colonnello Giuseppe Russo al Nucleo investigativo, che da poco stato creato. Sono anni importantissimi per la sua formazione, durante i quali si dedica ad approfondire dinamiche, strategie, protagonisti della mafia siciliana. Un’esperienza fondamentale per quello che accadrà dopo nella sua vita e che gli farà meritare sul campo la promozione a maresciallo. 
Nel 1970 si sposta in Campania, dapprima a dirigere la Stazione di San Giovanni a Teduccio e poi a dirigere la squadra antidroga del Nucleo investigativo. Qui si getta a capofitto in una delicatissima indagine che mira a individuare i legami tra la mafia siciliana e la camorra campana. Scopre le rotte del traffico internazionale di droga e il canale attraverso il quale, partendo dal Perù, l’eroina arrivava a Milano passando per Francoforte. Arresta uno dei principali protagonisti di quel traffico, tale Antonio Ammaturo, spregiudicato e pericoloso boss della camorra. Un successo dopo l’altro. 

Nel dicembre del 1974, Gerardo viene destinato al comando della Stazione Carabinieri di Afragola, incarico che ricoprì fino al luglio del 1975. Vi si trasferisce con tutta la sua famiglia, stabilendosi in una casa di corso Garibaldi, a pochi passi dalla piazza principale della città. Nel frattempo, infatti, aveva sposato Anna Benvenuto e con lei aveva messo su la sua splendida famiglia. Da quel matrimonio erano nati quattro figli: Giuseppina, Annalina, Carmine e Marco. Una famiglia serena e tranquilla, alla quale Gerardo, nonostante i gravosi e pressanti impegni di servizio, si sforzava in ogni modo di assicurare la sua presenza. Era un padre amorevole e premuroso, capace di grandi gesti d’affetto e di tenerezza. Come quando, la sera della vigilia dell’Epifania del 1976, quando da sei mesi aveva lasciato il comando della Stazione di Afragola per tornare al Nucleo investigativo di Napoli, rientrò a casa ancora in tempo per comprare i regali ai suoi bambini. Fu l’ultima occasione di abbracciare la sua famiglia. 

Il 5 gennaio del 1976

Gerardo amava andare in bicicletta. Una passione che voleva a ogni costo trasferire a Carmine, il primo dei suoi due figli maschi, che all’epoca aveva appena 4 anni. Poco prima delle 21 di quel  maledetto 5 gennaio 1976, prese con sé il bambino e si diresse in un negozio di giocattoli in piazza Gianturco, nel cuore di Afragola, città dove, nonostante il trasferimento a Napoli, aveva deciso di restare. Pochi minuti più tardi, intorno alle 21.15, la tragedia. In piazza arriva una Fiat 500 di colore giallo. Dal finestrino spunta la canna di un fucile a pallettoni. Gerardo si era fermato a parlare con Luigi Giugliano, fratello del boss Giovanni, vittima di un agguato mortale nel 1973. Accade tutto in pochi secondi. Dalla 500 vengono esplosi 7 o 8 colpi di lupara. Il maresciallo viene raggiunto da alcuni di questi al collo e alla spalla. Carmine vede suo padre crollare a terra in una pozza di sangue. In piazza è il caos. Due passanti caricano il militare sulla loro auto e lo portano di corsa al Loreto Mare, nel vano tentativo di salvargli la vita. Gerardo vi arriverà già cadavere, ucciso a sangue freddo a soli 38 anni, davanti agli occhi terrorizzati di suo figlio. A casa, i suoi cari, lo scopriranno dalla televisione. 

Vicenda giudiziaria

Le indagini partono immediatamente e vanno avanti a ritmo serrato. Gli inquirenti sono decisi a chiudere il cerchio attorno agli assassini del maresciallo D’Arminio nel minor tempo possibile. La notizia si diffonde rapidamente, arrivando fino in Sicilia. Perquisizioni, fermi, controlli: Afragola viene messa sotto assedio. All’alba del giorno successivo, la macchina utilizzata dai killer viene ritrovata abbandonata. Al suo interno, sul sedile posteriore, il fucile utilizzato per l’agguato e alcune cartucce. L’auto risulta intestata ad Antonio Moccia, fratello di Gennaro, uno degli esponenti di spicco della camorra locale. Nessuno ne aveva denunciato il furto. Il cerchio si stringe intorno ai tre giovanissimi rampolli della famiglia Moccia, figli di Gennaro e Anna Mazza: Luigi, Angelo detto Enzo e Antonio. Enzo, in particolare, braccato dalle Forze dell’Ordine, alla fine si autoaccusa dell’omicidio, rilasciando una versione che sembra studiata apposta per scagionare i suoi fratelli e alleggerire la posizione di tutti. Sostiene di essere giunto in piazza a bordo della 500 da solo e di non aver agito per uccidere il maresciallo, della cui presenza anzi non si sarebbe nemmeno accorto. Il suo obiettivo sarebbe stato invece quel Luigi Giugliano con cui si stava intrattenendo casualmente il militare, antico rivale della famiglia Moccia. Una “semplice” azione dimostrativa. Ma la versione non convince affatto gli investigatori e configge con le testimonianze raccolte, che invece indicavano di certo la presenza almeno di un’altra persona in auto. I tre fratelli vengono arrestati, interrogati e sottoposti a vari confronti. Enzo, il primo a confessare, resterà in carcere 11 anni. Appena uscito, verrà ammazzato. 

Per la famiglia di Gerardo - la primogenita, Giuseppina, aveva 7 anni al momento del delitto; il più piccolo, Marco, appena 14 mesi - fu un colpo durissimo.

Memoria viva

E tuttavia, la memoria di Gerardo - cui è stata conferita la Medaglia d’argento al valor militare - negli ultimi anni sembra essere tornata a dare uno scossone alle coscienze e all’impegno delle persone di buona volontà. La storia di questo giovane e coraggioso carabiniere dalla brillante carriera - una decina di encomi solenni e due promozioni conquistate sul campo - rivive nell’impegno del Presidio di Libera di Afragola e Casoria. Nel maggio del 2016, in sua memoria, in piazza Gianturco, è stato installato un busto. Lì c’è anche una targa che ne ricorda il sacrificio: “A Gerardo D’Arminio, eroico maresciallo dei Carabinieri, caduto in questa piazza per il suo attaccamento al dovere”. Iniziative di memoria che vengono portate avanti anche nella terra natia di Gerardo, a Montecorvino, dove ora vive la sua famiglia. 
La storia del Maresciallo D’Arminio è raccontata nel libro di Raffaele Sardo "Al di là della notte” edizioni Tullio Pironti.

Mio fratello era uno che lottava contro la criminalità e che a detta di tutti quando c’era lui a comandare la stazione di Afragola i crimini erano diminuiti di parecchio. Era considerato un esperto di mafia perché era stato quattro anni a Palermo (…) Per lui la divisa che indossava era tutto. Prima della divisa c’era la famiglia. Che ora è come se fosse morta con lui. Qui è come se ci fosse perennemente il lutto. Non esistono più feste, non esistono più giornate di sole. Non esiste più niente. È tutto spento. Si va avanti per inerzia. La nostra vita s’è fermata a quel 5 di gennaio del 1976.
Orsola D’Arminio - sorella di Gerardo