Claudio Volpicelli era un agronomo. Era un ragazzo perbene: nessun’ombra, nessuna relazione ambigua, nessuna macchia sulla sua fedina penale. A Vittoria, grosso centro di produzione ortofrutticola, di vini e di olio affacciato sul Canale di Sicilia a una trentina di chilometri da Ragusa, era conosciuto così, come un bravo professionista, attento e scrupoloso. La produzione agricola continua ad alimentare l’economia nella Piana di Vittoria, teatro di questa storia tragica. Le serre qui si perdono a vista d’occhio. Impossibile tenerne il conto. Distese infinite di queste strutture destinate all’agricoltura e ricoperte da chilometri di teli di plastica. Un materiale altamente tossico, il cui smaltimento negli anni è diventato un affare enorme. Ci lavorano molte aziende del territorio, che si spartiscono un business difficilmente quantificabile. Una di queste ditte è quella di Giovanni Donzelli. La sua azienda - una delle tante riconducibile più o meno direttamente a lui - si occupa di raccolta e smaltimento della plastica di copertura delle serre. Giovanni Donzelli, già all’epoca dei fatti - siamo alla fine degli anni ’80 - è ritenuto un imprenditore vicino agli ambienti criminali. Negli anni ’90 è stato condannato per mafia: gli inquirenti ne hanno accertato la vicinanza al clan Carbonaro - Dominante, che per lungo tempo ha avuto il monopolio nel business della plastica. Un clan “anomalo”, riportano le cronache risalenti al novembre del 1994, quando la cosca, ritenuta responsabile della quasi totalità delle azioni criminali degli ultimi decenni nel territorio ragusano, è stata sgominata nel corso dell’operazione Squalo. Né Cosa nostra né Stidda, la definirono gli inquirenti. Una struttura criminale regionale, con una forte autonomia decisionale rispetto al contesto mafioso della Stidda agrigentina.
Ecco, con questi ambienti, con questo contesto profondamente inquinato dalla presenza mafiosa, che a Vittoria aveva il suo epicentro, Claudio non c’entrava assolutamente nulla. Lui faceva il suo lavoro di agronomo e lo faceva bene e onestamente.
Il 6 ottobre del 1989
Avrebbe continuato a farlo se la sera del 6 ottobre del 1989 non avesse occupato quella maledetta sedia. Erano circa le 19.20 quando un commando di killer fece irruzione nei locali della ditta Donzelli, aprendo il fuoco proprio contro chi sedeva in quella postazione. Claudio fu freddato così, senza avere neanche il tempo di rendersi conto di cosa stesse accadendo. Ucciso con una violenza inaudita ad appena 30 anni.
Vicenda giudiziaria
Ci vollero poche ore per convincere gli investigatori che lui in quella storia non c’entrava niente. Claudio era stato ucciso per uno scambio di persona, perché i killer su quella sedia credevano ci fosse Donzelli. Era lui il vero obiettivo dell’agguato. Tempo dopo lo avrebbe confermato lui stesso, rivelando di aver subito minacce e intimidazioni da alcuni imprenditori concorrenti. E poi lo avrebbero confermato alcuni esponenti della stessa famiglia Carbonaro, dopo la decisione di collaborare con la giustizia: furono loro i mandanti del raid.
A sparare fu Vincenzo Spina, all’epoca dell’agguato appena ventenne. Nel 1998, nel processo nato dall’operazione Squalo, è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Claudio. Nel maggio del 2020 si è tolto la vita, impiccandosi nel carcere di Rebibbia, dove era detenuto al 41 bis.
Memoria viva
Negli ultimi anni, l’affare della plastica nella Piana di Vittoria è finito molto spesso sotto la lente d’ingrandimento del giornalista Paolo Borrometi. Con la sua testata giornalistica di inchieste online LaSpia.it ha approfondito le dinamiche oscure dietro questo business, in particolare proprio attorno alla figura proprio di Giovanni Donzelli. Inchieste che gli hanno procurato minacce e intimidazioni da parte della mafia ragusana e siracusana, costringendolo a una vita sotto scorta. Molte delle sue inchieste sono dedicate proprio alla memoria di Claudio Volpicelli. Il suo nome compare anche nel libro "Un morto ogni tanto", che Borrometi ha pubblicato nel 2018.