Aniello era nato a Sarno, a pochi chilometri da Salerno, nel 1924. A 24 anni aveva deciso di arruolarsi nel Corpo delle guardie di pubblica sicurezza. Era il 1948, l’anno dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. L’Italia provava lentamente a venire fuori dalle macerie, non solo materiali, della Seconda Guerra Mondiale. Erano anni duri, nei quali tanti giovani meridionali vedevano in quella divisa una possibilità di trovare lavoro e dignità, una prospettiva di vita. Aniello era il terzo di sette figli. Aveva studiato e quel diploma di avviamento professionale conseguito con tanti sacrifici era per lui motivo di orgoglio e soddisfazione. Nel dicembre del 1948 decise di salire su un treno per Roma, destinazione Caserma Castro Pretorio.
Non fu facile per lui, giovane molto vivace, abituarsi alla disciplina militare. Ma la determinazione non gli mancava e sapeva che quel percorso gli avrebbe aperto una strada nuova. Nuova e lunga. Proprio come i chilometri che, terminato il corso, dovette percorrere in giro per lo stivale. Fu in Sicilia, in servizio presso il contingente impegnato a seguire le tracce del bandito Salvatore Giuliano, e poi alla polizia di frontiera di Bardonecchia (TO) e Ventimiglia (IM).
Il ritorno a Salerno
L’amore però lo riportò nella sua terra, a Siano, un piccolo paese del salernitano attaccato alla sua città natale di Sarno. Di Siano è infatti Elisabetta Leo, la ragazza di cui si innamora e che decide di sposare. È il 1955. Di lì a poco, Aniello riuscì a ottenere il trasferimento al Commissariato di Pubblica Sicurezza di Torre del Greco, in provincia di Napoli. Ed è qui a Torre che comincia la sua carriera di agente in borghese, sin da subito chiamato a svolgere delicate mansioni nell’ambito di piccole e grandi indagini, dimostrandosi un prezioso collaboratore di magistrati e funzionari di pubblica sicurezza. Viene assegnato alla squadra di polizia giudiziaria e dimostra immediatamente grandi doti investigative, diventando un profondo conoscitore della realtà delinquenziale di Torre del Greco. Quindi la promozione ad appuntato delle guardie di pubblica sicurezza.
“Al di là di un innato intuito investigativo, era la memoria storica di Torre del Greco. Conosceva ogni angolo del territorio, personaggi, pregiudicati, legami, connivenze”. Il racconto è dell’ispettore superiore della Polizia di Stato Bernardo Acanfora, che fu suo superiore dal finire degli anni Settanta. Che poi aggiunge un dettaglio interessante: “conosceva soprattutto i soprannomi dei delinquenti. A volte quando un’indagine sembrava arenata su un nomignolo sconosciuto, Aniello Giordano riusciva a costruire un’identità intorno a piccoli, scarni indizi disponibili”. Ma forse il miglior riconoscimento della sua professionalità, e non solo di quella, si trova tra le righe di una nota datata 23 giugno 1979 e inviata dal Pretore dirigente di Torre del Greco Petraccone (una carriera brillante conclusa in Cassazione) al Procuratore della Repubblica di Napoli.
L’Appuntato di P.S. Giordano Aniello è senza dubbio elemento di eccezionale calibro, di cui ci si può ampiamente fidare in qualsiasi circostanza, avendo acquisito, attraverso una lunga ed intensa milizia nella polizia giudiziaria, una vasta e preziosa esperienza che, unita alla elevata cultura professionale, alle notevolissime capacità pratiche che gli hanno consentito di conservare quanto mai chiaro il senso della realtà anche nelle più imprevedibili circostanze, all’impegno massimo nell’espletamento della mansioni affidategli, all’alto spirito di sacrificio, gli hanno permesso di ottenere risultati altamente positivi, risolvendo con rapidità e perspicacia delicate indagini. Ha alto senso della dignità, della rettitudine, della lealtà, nonché della responsabilità; possiede spirito di iniziativa ed elevate attitudini all’autodeterminazione che, non disgiunte dal senso di disciplina, lo rendono elemento di valida collaborazione perché capace di espletare mansioni anche elevate in relazione al grado. Non ha mai dato luogo a doglianze o dicerie di sorta per cui gode di stima e affetto soprattutto da parte degli operatori di questo ufficio giudiziario, avendo contribuito a mantenere alto il prestigio del Corpo
Aniello rinunciò a una promozione e passare al ruolo di sottoufficiale, mosso dalla preoccupazione di poter essere destinato a una nuova sede, magari lontano da sua moglie e dai suoi tre figli, Michele, Antonio e Lucia.
La sua carriera di poliziotto si concluse nel 1983. Il pensionamento gli consentì di dedicarsi ancora di più a Elisabetta e ai suoi figli. Il primogenito, Michele, si era avviato alla carriera giornalistica dopo la laurea. Antonio invece da poco aveva raggiunto il traguardo della la Maturità d’Arte Applicata con il massimo dei voti. Infine Lucia, che all’epoca studiava per diventare Ragioniera.
L’imprevedibile
La vita a volte sembra davvero paradossale. Aniello Giordano aveva trascorso quasi 40 anni della sua vita in Polizia, tante volte impegnato in operazioni delicate e pericolose, dalle quali era sempre uscito con ottimi risultati. Poi l’imprevedibile. Il 17 dicembre del 1987 Aniello Giordano è nel Mobilificio “2P” di Torre del Greco. Michele si era sposato da poco e il padre avrebbe voluto regalargli un salotto. Con lui nel mobilificio c’erano tanti altri clienti. Improvvisamente due giovani armati e a volto scoperto fanno irruzione nel negozio e sparano all’impazzata. Rimangono coinvolti nel raid il titolare del mobilificio Pasquale Polese, suo cognato Ciro Rizzo e un dipendente, Giuseppe Russo. E poi Aniello, che appare subito ferito gravemente. La corsa in ospedale e l’intervento chirurgico cui viene sottoposto non riescono a salvargli la vita. Aniello muore tre giorni più tardi a causa delle gravi ferite all’addome e agli organi interni. Gli altri tre feriti invece si salvano. Il raid, scrivono gli investigatori è di chiara matrice camorristica.
Dopo la morte di Aniello, sua moglie Elisabetta, con una forza straordinaria, aiuta a poco a poco i figli a superare il dolore e la disperazione. Michele, Antonio e Lucia, e con loro i tanti nipoti di Aniello che oggi compongono la sua famiglia, continuano a coltivare i principi della giustizia.
Vicenda giudiziaria
Le indagini condotte dagli stessi colleghi di Aniello accertano che i killer hanno sparato perché il proprietario si era rifiutato di pagare una tangente. In quegli anni sul territorio di Torre del Greco operano i clan Galliano e Gargiulo. L’azione criminale è chiaramente inquadrata come il tentativo di terrorizzare i commercianti e convincerli così a pagare il pizzo. Eppure, nonostante il preciso quadro investigativo sull’origine camorristica dell’omicidio e del triplice tentato omicidio, gli autori rimangono tuttora sconosciuti.
Memoria viva
A Eboli, in provincia di Salerno, il presidio di Libera porta il nome di Aniello.
Siamo rimasti soli dopo l’omicidio di nostro padre, solo noi e i nostri familiari, intorno mancavano solidarietà, impegno antimafia, mancava l’associazione Libera, che sarebbe nata nel 1995. Poi, a poco a poco ci siamo sentiti meno isolati. Libera ci ha circondati non solo di sostegno e comprensione ma innanzitutto ci ha aiutato e ci aiuta a guardare oltre il nostro dolore, affinché ogni giorno, ciascun familiare di vittime di mafia, possa avere la forza di combattere la battaglia quotidiana per la legalità, con piccoli o grandi gesti, con semplici o importanti azioni. Questo impegno è per noi fondamentale e accompagna quotidianamente il ricordo struggente di nostro padre. E siamo felici quando il suo ricordo può costituire - innanzitutto per le nuove generazioni - un segnale per alimentare forme di battaglie civili contro tutte le mafie